Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27649 del 20/12/2011

Cassazione civile sez. I, 20/12/2011, (ud. 10/11/2011, dep. 20/12/2011), n.27649

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – rel. Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso iscritto al n. 7728 del Ruolo Generale degli affari

civili dell’anno 2006, proposto da:

s.p.a. ZETA GENERAL SERVICES GROUP, con sede in (OMISSIS), in

persona

dell’amministratore unico, Z.G., Z.A.,

B.M.R., s.n.c. FAMIGLIA ZEPPIERI con sede in

(OMISSIS),

in persona dell’amministratore, Z.M.V., tutti

elettivamente domiciliati in Roma, alla Via Tagliamento n. 14, presso

l’avv. Barone Carlo Maria, che li rappresenta e difende, per procura

a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLE ATTIVITA’ PRODUTTIVE, in persona del Ministro p.t. e

ISTITUTO PER LA VIGILANZA SULLE ASSICURAZIONI PRIVATE E DI INTERESSE

COLLETTIVO (IS.V.A.P.), in persona del legale rappresentante e

F.D., A.D., FO.LO. ed U.

E., tutti ex lege domiciliati in Roma, alla Via dei

Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che li

rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma sez. 1^, n.

269/2005, del 14 dicembre 2004 – 24 gennaio 2005;

Udita, all’udienza del 10 novembre 2011, la relazione del cons. dr.

Fabrizio Forte e sentiti l’avv. Carlo Maria Barone, per i ricorrenti,

l’avv. dello Stato Enrico De Giovanni, per i controricorrenti, e il

P.G. dr. Federico Sorrentino, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 24 febbraio 2000, il Tribunale di Roma rigettava la domanda di risarcimento del danno proposta nel 1994 da Z. G., Z.A., B.M.R., Z. M.V., dalla s.p.a. Zeta General Services Group e dalla s.n.c. Famiglia Zeppieri, quali soci della s.p.a. L’Edera, Compagnia italiana di assicurazioni, nei confronti del Ministero delle attività produttive e dell’IS.V.A.P., quest’ultimo evocato in causa con i suoi dirigenti e funzionari F.D., A. D., Fo.Lo., V.G. e U. E., compensando le spese di causa.

Gli attori, azionisti e titolari del 90% del capitale della s.p.a.

L’Edera, avevano dedotto con la citazione di avere impugnato al Tar del Lazio il decreto del 9 luglio 1993 del Ministro dall’industria, del commercio e dell’artigianato che, su sollecitazione dell’IS.V.A.P., aveva disposto lo scioglimento degli organi della società e il commissariamento della impresa assicuratrice.

Prima di tale provvedimento, l’IS.V.A.P., dopo una ispezione alla società tra giugno e ottobre 1992, aveva contestato alla s.p.a.

L’Edera in data 10 febbraio 1993 l’irregolare funzionamento e la scorretta gestione della impresa assicurativa, con nota sottoscritta dall’ A., intimando l’adozione di misure idonee a rendere la gestione conforme alla legge entro 45 giorni dall’intimazione.

Affermavano gli attori che, in risposta alle sollecitazioni dell’istituto di vigilanza, il 26 marzo 1993 la società aveva provveduto a ripianare le perdite al 31 dicembre 1992 con L. 17.291.021.000, e adottato i correttivi chiesti per la gestione societaria con note inviate all’amministratore delegato e non al presidente della società.

Nel luglio 1993 l’IS.V.A.P. aveva proposto al Ministero lo scioglimento e il commissariamento della società, non dando rilevanza al ripianamento dei debiti da questa deciso e ritenendo insufficiente la riserva sinistri, ammontante a circa L. 9.000.000.000, per cui gli attori, titolari del capitale sociale, erano stati gravemente danneggiati dagli ingiusti comportamenti dei convenuti e dai provvedimenti emessi da alcuni di essi.

Del tutto generici erano stati i rilievi IS.V.A.P. sulla gestione della attività della compagnia assicuratrice e brevissimo era stato il termine concesso con la citata nota del 2 giugno 1993 per contestare il mancato superamento delle irregolarità riscontrate l’anno precedente, la inadeguatezza del patrimonio per soddisfare i rischi assicurati e il conflitto di interessi derivato dalla vendita di un immobile della s.p.a. Zeta General Group alla società assicuratrice, nei cui confronti era stata posta in essere una attività persecutoria dalle persone fisiche convenute, che aveva arrecato danno alla società e al patrimonio degli attori, ulteriormente leso dalla condotta del commissario. Ad avviso degli attori tali atti e comportamenti erano stati illeciti e lesivi del diritto all’integrità patrimoniale della s.p.a. Edera, ma il Tribunale di Roma, respinta l’eccezione dei convenuti del difetto di giurisdizione, con la sentenza di cui sopra, dichiarata inammissibile la prova per testi da loro articolata per smentire il complessivo dissesto aziendale e le irregolarità di gestione rilevati dagli organi di controllo e confermati dalla sentenza del 22 settembre 1996 del TAR del Lazio, che aveva respinto il ricorso contro il provvedimento di commissariamento della società, ha rigettato l’azione risarcitoria, per mancanza dell’illecito costituente causa petendi della stessa. La Corte d’appello di Roma, con sentenza del 24 gennaio 2005, sul gravame degli attori avverso la pronuncia di primo grado, con cui era dedotto che il commissariamento dell’impresa non era fondato sul dissesto aziendale ma su mere irregolarità di gestione, per cui la sentenza del TAR Lazio non rilevava, fondandosi l’azione risarcitoria su comportamenti neppure valutabili dal Tar e costituenti essi la causa petendi dell’azione, fatti da accertare con l’istruttoria non espletata nè ammessa dal primo giudice, ha confermato la decisione di primo grado.

In appello il Ministero e l’IS.V.A.P. hanno dedotto che, dopo la nomina del commissario, vi erano state la liquidazione coatta amministrativa e la successiva dichiarazione dello stato di insolvenza della s.p.a. L’Edera dal tribunale fallimentare con sentenza del 26 gennaio 2001, vicende che avevano confermato la correttezza della decisione di nominare un commissario alla società assicuratrice.

Tali eventi avevano confermato il dissesto a base della nomina del commissario e la legittimità del provvedimento che aveva disposto detta nomina; gli appellati F., A., V., Fo. e U. avevano dedotto in appello l’assoluta legittimità del loro comportamento, domandando il rigetto del gravame.

La Corte d’appello di Roma, con la sentenza oggetto di ricorso, ha respinto il gravame degli attori sul presupposto del rilievo essenziale, nella presente azione risarcitoria, dell’esito del processo amministrativo per l’annullamento del provvedimento di nomina del commissario posto a base dei gravi danni subiti dagli appellanti.

Anche non potendo il giudicato della decisione dei giudici amministrativi sulla natura legittima della nomina del commissario precludere altri accertamenti in sede civile, nessuna condanna poteva esservi, in assenza dello stesso presupposto necessario di essa, costituito dall’accertamento della illegittimità del provvedimento che precede necessaria a qualificare ingiusto il danno e posta a fondamento della pretesa risarcitoria.

Valutare il comportamento, doloso o colposo, dei funzionari evocati in causa, in difetto dell’annullamento dell’atto lesivo delle posizioni soggettive degli istanti, ad avviso della Corte d’appello, non è consentito, in quanto l’atto di nomina del commissario è stato dai giudici amministrativi qualificato conforme a legge e inidoneo ad essere fonte dell’illecito. Presupposto di una qualsiasi condanna al risarcimento del danno dei convenuti in base alla domanda come prospettata doveva essere la illegittimità del provvedimento richiesto dall’I.S.V.A.P. e adottato dal Ministro, di commissariamento della società L’Edera, costituente il fatto dannoso a base dell’azione, nessun danno ingiusto potendo configurarsi nella genericità degli altri pretesi addebiti, identificati nel gravame negli ordini contenuti nelle note dell’Istituto di vigilanza cui la assicuratrice, secondo gli appellanti, si era adeguata o non aveva potuto adempiere per la brevità dei tempi ad essa concessi per superare gli inconvenienti, non Costituendo i rilievi di cui sopra fatti dannosi, da soli suscettibili di dar luogo a richieste di risarcimento. In assenza di un commissariamento illegittimo o ingiusto, negato dal TAR del Lazio, non poteva esservi ingiustizia del danno dal provvedimento che lo aveva disposto ai sensi all’art. 2043 c.c. anche in base ai principi enunciati nella sentenza di questa corte n. 500 del 1999.

La Corte d’appello ha solo rilevato che la correttezza dell’atto impugnato al Tar era stata confermata dal successivo stato di insolvenza della società assicuratrice dichiarato in sede fallimentare, ove erano emersi oltre ogni dubbio, gli addebiti mossi alla società assicuratrice e la loro mancata rimozione da quest’ultima, che aveva determinato la nomina del commissario impugnata al Tar del Lazio. Il gravame era quindi rigettato e le spese erano poste a carico degli appellanti G., A. e Z.M.V., s.p.a. Zeta General Services Group e s.n.c. Famiglia Zeppieri, i quali nella qualità di titolari di quasi tutto il patrimonio della s.p.a. L’edera hanno chiesto la cassazione di tale sentenza, con ricorso di due motivi, notificato il 7 marzo 2006, impugnativa cui replicano con controricorso notificato il 18 aprile 2006 e illustrato da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., il Ministero subentrato all’originario convenuto, l’IS.V.A.P. e i funzionari e dirigenti intimati di cui in epigrafe, che allegano la sentenza n. 4690 del 25 febbraio 2011 di questa Corte che ha respinto, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., l’azione risarcitoria esercitata dai medesimi ricorrenti in riferimento alla liquidazione coatta amministrativa disposta dal Ministero dopo la loro rinuncia all’autorizzazione all’esercizio dell’attività assicurativa, per mancata prova del pregiudizio risarcibile, essendosi già respinta la medesima domanda in appello nei confronti dell’IS.V.A.P.. Le brevi osservazioni per iscritto della difesa dei ricorrenti depositate ai sensi dell’art. 379 c.p.c., per la parte in cui sono leggibili a causa della grafia del difensore, affermano, censurando sul punto le conclusioni del P.M. che hanno richiamato la sentenza del 2011 prodotta dai controricorrenti, che ogni domanda risarcitoria della società in l.c.a. nei confronti delle parti ricorrenti in questa sede è stata respinta, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., dalla indicata sentenza.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Il primo motivo di ricorso deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 28 Cost., artt. 2043, 2350, 2395, 2697 e 2909 c.c., artt. 99, 100, 112, 115, 116, 324 e 342 c.p.c., D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 10, 12, 41 e 48 istitutivo dell’IVA, della L. 12 agosto 1982, n. 576, art. 7 come sostituito dalla L. 9 gennaio 1991, n. 20, art. 2 anche per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia.

Va premesso che nel ricorso si è dedotto che, all’esito del provvedimento impugnato di commissariamento della s.p.a. L’Edera, il commissario nominato aveva posto in essere atti non conformi a legge, quale l’autofatturazione dell’IVA non dovuta in relazione alla voce “organizzazione e gestione sinistri”, esponendo a rilevanti esborsi la società che aveva subito pesanti perdite per tale imposta anche per gli anni pregressi, per effetto di un’imposizione tributaria non dovuta, perdite proseguite anche per gli omessi controlli dell’IS.V.A. P. e del Ministero, diffidati invano ad intervenire per impedire gli atti dannosi del commissario di cui sopra e rimasti inerti a fronte di essi, concorrendo così a danneggiare la società.

Il commissario aveva anche omesso di procedere a ravvedimento operoso per le pregresse imposte, onde limitare i danni della sua azione, provocando altre gravi perdite alla assicuratrice e, anche a fronte di tale condotta scorretta, Ministero e IS.V.A.P. erano rimasti inerti(nonostante le sollecitazioni ad intervenire dei ricorrenti.

Ad avviso della Corte d’appello “l’allegata scorrettezza dell’attività del commissario straordinario” non può assumere rilievo quale motivo di impugnazione del provvedimento che lo ha nominato, dovendosi rigettare il gravame in ragione della conformità alla legge della nomina del commissario stesso, ostativa da sola ad ogni azione risarcitoria per la condotta di questo e per le omissioni e/o inerzie delle autorità di controllo sui comportamenti di lui.

L’affermazione che le relazioni del commissario avrebbero confermato il dissesto dell’impresa e dato luogo alla liquidazione coatta e al fallimento della società, comporta che le condotte che si pretendono illegittime del commissario dopo la nomina, come l’emissione della autofattura IVA con la relativa denuncia per un’imposta per i ricorrenti non dovuta, in rapporto alla “organizzazione e gestione sinistri” delle assicurazioni (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 10), attengono a condotte successive all’atto che si pretende illegittimo e sono quindi irrilevanti per l’annullamento di esso, denegato dal TAR, anche se rientrano nella “causa petendi” dell’azione risarcitoria, con il provvedimento di commissariamento, per cui di tali fatti dovevano tenere conto i giudici di merito. Il commissario ha disapplicato il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 10 danneggiando la s.p.a. Edera gravemente, nell’ inerzia del Ministero e dell’IS.V.A.P. che pure erano stati espressamente diffidati ad intervenire dai danneggiati, con atto notificato il 14 febbraio 1994.

Il danno cagionato dalle determinazioni commissariali in materia di IVA, nell’inerzia dell’IS.V.A.P. e dei funzionari e dirigenti convenuti oltre che del Ministero, così come il mancato ravvedimento dopo le contestazioni dell’Agenzia delle entrate a detto commissario, hanno provocato perdite di oltre due miliardi alla società L’Edera, perdite emergenti dalla produzione di vari avvisi di rettifica dell’IVA che irrogano sanzioni per il comportamento illecito e dannoso del commissario, che ha cagionato un pregiudizio di circa tre miliardi di lire sottratti al capitale sociale.

1.2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione degli artt. 28 e 97 Cost., artt. 1394, 2043, 2350, 2391, 2395, 2697 e 2909 c.c., artt. 100, 112, 115, 116, 324 e 342 c.p.c., della L. n. 576 del 1982, art. 4 come sostituito dalla L. n. 20 del 1991, art. 2 della L. 10 giugno 1978, n. 295, artt. 30, 31, 35, 36, 37 e 68 sull’esercizio delle assicurazioni private, D.P.R. 31 marzo 1975, n. 136, artt. 4, 5, 3 e 6 anche per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia.

La sentenza impugnata ha respinto la domanda, sul presupposto che essa avesse ad oggetto una responsabilità della P.A. da attività provvedimentale e che non vi erano invece atti dell’amministrazione illegittimi, dato che il decreto di commissariamento della società impugnato al Tar del Lazio era stato ritenuto valido e non viziato da illegittimità. Affermano i ricorrenti che in tal modo vi è stato un chiaro travisamento della domanda perchè con essa si era chiesto di sanzionare un’attività dei convenuti, preparatoria e successiva agli atti impugnati dinanzi al G.A., della quale nel merito non si è tenuto invece alcun conto. L’attività dei convenuti, svolta con quella provvedimentale impugnata e ritenuta lecita, aveva ingiustamente leso il patrimonio degli attori e di essa non si è tenuto conto, non accertandosi l’esistenza degli illeciti a base della domanda e, in particolare, di quelli compiuti dal commissario nominato nella gestione dell’impresa.

Il Tar del Lazio ha solo accertato la mancanza del diritto dei ricorrenti a ottenere l’annullamento dell’atto di commissariamento della società L’Edera ma non ha avuto cognizione alcuna dei singoli comportamenti illeciti lesivi del patrimonio societario, che fondano l’azione risarcitoria, ai sensi dell’art. 2043 c.c..

Le sentenze amministrative di cui la Corte d’appello ha tenuto conto non contengono accertamenti dei fatti costituenti causa petendi dell’azione risarcitoria riservati alla cognizione del giudice ordinario che, su di essi, non ha ammesso l’istruttoria.

Irrilevante è il riferimento contenuto nella sentenza del Consiglio di Stato n. 6208/01 alla revoca delle autorizzazioni a svolgere attività assicurativa per la s.p.a. L’Edera e alla messa in l.c.a.

di essa, con la successiva dichiarazione d’insolvenza dal tribunale fallimentare, che proverebbero ulteriormente la legittimità del commissariamento dell’assicuratrice causato da irregolarità gestionali che avevano prodotto i predetti atti della P.A., i quali hanno poi concorso a provocare l’insolvenza che ha distrutto ingiustamente il patrimonio sociale e non derivano dalle predette irregolarità gestionali a base della nomina del commissario.

Del resto questa Corte a sezioni unite (sentenze nn. 3/99 e 1810/03) avevano già rilevato la nullità della revoca delle autorizzazione, per la quale vi era stata pregressa rinuncia, e della liquidazione coatta amministrativa che, come atti inesistenti, non potevano concorrere a dimostrare la pretesa inesistenza degli illeciti oggetto di causa.

Nello stesso senso, andavano considerate le relazioni del commissario che aveva agito anche esso come espressione delle amministrazioni convenute, tanto che in primo grado si era costituito ed aveva chiesto il rigetto della domanda.

L’illecito da accertare era negli addebiti all’Edera mossi ingiustificatamente e costituenti la causa principale o unica della revoca dell’autorizzazione all’attività e della messa in liquidazione, come presupposti del commissariamento. Le infrazioni contestate alla s.p.a. L’Edera erano state quasi tutte oblate e le contestazioni dell’IS.V.A.P. ai bilanci societari, non erano mai divenute impugnazioni di questi ultimi; inoltre, l’incapienza del patrimonio della società era stata rilevata considerando debiti estinti, non sussistendo il preteso conflitto di interessi contestato dall’istituto di vigilanza, in una vendita di immobili di uno dei soci alla s.p.a. L’Edera, per la quale vi era stato parere di congruità dell’U.T.E. e nessuna perdita aveva subito l’impresa assicuratrice.

Detti atti e comportamenti collaterali dei dirigenti dell’Istituto di vigilanza ai provvedimenti amministrativi, neppure sono stati valutati nel merito e risultano denunciati persino dal Presidente del comitato di sorveglianza dell’Edera avv. T. che, nella sua relazione, aveva evidenziato l’atteggiamento di “assoluta chiusura del dott. A.” nei confronti della società e dei soci, concorrendo con tale atteggiamento a ledere il patrimonio dei ricorrenti.

2. Il controricorso non contesta le deduzioni dei ricorrenti sulla causa petendi dell’azione risarcitoria, ma cerca solo di evidenziare che la liquidazione coatta e l’insolvenza della società assicuratrice derivavano dalle gravi carenze e irregolarità della gestione societaria e non da condotte o atti dei soggetti evocati in causa.

3. Entrambi i motivi di ricorso sono in parte infondati e nel resto inammissibili, dovendosi però in premessa negare che la contestuale deduzione in essi, della violazione di legge e del difetto di motivazione, possa determinare di per sè una preclusione della impugnazione una volta che le due censure si mantengano distinte (in tal senso sulla questione, in rapporto ai quesiti di diritto, S.U. 31 marzo 2009 n. 7770). I ricorrenti mantengono infatti correttamente distinte le violazioni di legge denunciate con riferimento a provvedimenti e condotte della P.A. e le censure sulla valutazione, dai giudici di merito, dei comportamenti dei convenuti, sui quali il ricorso denuncia carenze di motivazione della decisione.

Peraltro sono infondati entrambi i motivi d’impugnazione della sentenza nel ritenere frutto del travisamento dei fatti di cui alla domanda il rigetto di essa, perchè basato sulla legittimità, accertata dal TAR del Lazio, del provvedimento di scioglimento degli organi societari e di commissariamento della s.p.a. L’Edera, il quale in tesi costituiva insieme il presupposto e la espressione massima della condotta illecita dei convenuti, causativa del danno ingiusto da reintegrare in favore degli attori.

Affermare che la tutela solo demolitoria del provvedimento amministrativo, come richiesta al TAR del Lazio, non esclude quella reintegratola poi domandata al tribunale di Roma, non esclude che la rilevata legittimità del provvedimento dai giudici amministrativi comporti l’esclusione dell’ingiustizia dei danni connessi a detto atto.

La deduzione della esistenza di una serie di atti e comportamenti, prodromici e successivi al commissariamento, ritenuti dagli attori illeciti e lesivi del patrimonio societario, non è valutabile in cassazione mentre la censura della loro omessa o errata valutazione dal tribunale e dalla Corte d’appello non è fondata, avendo quest’ultima ritenuto dette condotte valutabili ai fini di rilevare l’elemento soggettivo del preteso illecito in concorso del Ministero e dell’IS.V.A.P., costituito dal commissariamento che tale non poteva considerarsi, perchè ritenuto legittimo dal giudice amministrativo.

Nel primo motivo di ricorso si denuncia anche il mancato rilievo nel merito del comportamento illegittimo del commissario per non avere ritenuto applicabile l’esenzione IVA spettante alle imprese assicuratrici in sede di pagamento dei sinistri, determinando in tal modo e con tale condotta illecita esborsi rilevantissimi e perdite miliardarie per la società, che, anche per esse, è divenuta insolvente. Anche a non considerare la giurisprudenza di questa Corte che esclude operi la esenzione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 10 nell’attività liquidatoria sottesa alla definizione dei sinistri, posta in essere dal commissario di una società in liquidazione coatta amministrativa cui si siano revocate le autorizzazioni all’esercizio dell’attività assicurativa o che non svolga più attività di natura tale da giustificare l’esenzione (in tal senso Cass. 8 giugno 2011 n. 12444), statuizione che rende infondata la denuncia del preteso illecito del commissario, comunque non sembra che emerga dal ricorso la prova di un pregiudiziale atteggiamento persecutorio contro la società assicuratrice L’edera nell’attività ispettiva dell’I.S.V.A.P. del 1992 e nella nomina del commissario del 1993.

Lo scioglimento degli organi societari è stato correttamente fondato sulle irregolarità di gestione, esattamente rilevate nello stesso ampliamento eccessivo del portafoglio delle assicurazioni responsabilità civile auto, rispetto agli altri tipi di assicurazioni, circostanza che da sola può giustificare l’esercizio del potere di scioglimento degli organi societari ed escludere l’abuso di potere dedotto per chiedere annullamento del commissariamento e i danni. I compiti ispettivi dell’IS.V.A.P., di cui alla L. n. 278 del 1982, art. 7 come modificato dalla L. n. 20 del 1993, art. 2 sono particolarmente incisivi e tendono ad impedire irregolarità nell’esercizio delle assicurazioni, a tutela non solo dei cittadini utenti del servizio ma anche della concorrenza tra le società che svolgono tale attività. Rilevare un intento persecutorio nell’esercizio di tali compiti e nella scelta della amministrazione straordinaria seguita alle ispezioni, per poi dare luogo alla liquidazione coatta o persino alla insolvenza dell’assicuratrice attribuita agli interventi del controllore e non ai comportamenti della controllata, costituisce, come rilevano i giudici del merito, una situazione non provata e irrilevante anche ad accertare la colpa, o meglio, il dolo di chi ha posto in essere l’attività ispettiva e sollecitato ed emesso il provvedimento impugnato e ritenuto legittimo dai giudici amministrativi.

Il rigetto da questi ultimi giudici, del ricorso contro l’atto di commissariamento della società, è incompatibile con la illegittimità di esso e degli atti prodromici e preparatori, da qualificare anche essi leciti per la decisione dei giudici amministrativi, che hanno denegato la sussistenza della pretesa predeterminazione dolosa o gravemente colposa della P.A. e dei funzionari evocati in causa negli atti di controllo posti in essere affermando la legittimità delle note inviate alla s.p.a. L’Edera da parte dell’IS.V.A.P., che determinarono l’atto ritenuto legittimo.

Quanto all’attività e agli atti successivi allo scioglimento della società e posti in essere dal commissario, che si era in origine costituito in questa causa, chiedendo anche egli il rigetto della domanda e aderendo alle conclusioni dei convenuti, il ricorso è infondato, ove si rilevi la legittimità dei versamenti IVA effettuati dal commissario alla luce della giurisprudenza già indicata.

E’ poi da escludere ogni colpa del commissario per il mancato ravvedimento, cui ostava la stessa situazione di fatto dell’attività ispettiva della guardia di finanza in corso alla data in cui tale ravvedimento si sarebbe potuto porre in essere; nessuna delle condotte collaterali e successive al provvedimento impugnato e qualificato conforme alla legge dal TAR del Lazio, viene correttamente ricostruita in ricorso in modo tale da potersi definire comportamento illecito o atto illegittimo, essendo infondata, come detto, la censura sulla pretesa esenzione IVA di cui il commissario non avrebbe fruito e mancando, in rapporto alle attività dell’IS.V.A.P., precedenti o successive allo scioglimento degli organi sociali della s.p.a. L’edera, la prova di abusi delle funzioni pubbliche esercitate, che possano far qualificare come ingiusti i danni subiti dalla società assicuratrice e le perdite del patrimonio dei ricorrenti.

Nessuna violazione delle norme dei due motivi di ricorso risulta esservi, non emergendo atti illegittimi attribuibili alle amministrazioni convenute e ai loro funzionari nè condotte di tali parti illecite; solo per tale ragione la Corte di merito non ha considerato i comportamenti delle persone fisiche evocate in causa, come espressioni di colpa o dolo dei responsabili, in una vicenda in cui non vi era un illecito provato dei convenuti, come confermato in ordine all’attività provvedimentale e a quella prodromica ad essa, ritenute legittime e lecite dal Tar del Lazio, con decisione confermata dal Consiglio di Stato, mancando comunque la dimostrazione di comportamenti illeciti, collaterali ai provvedimenti impugnati ovvero successivi ad essi, che qualificassero come ingiuste le perdite del patrimonio societario subite dai ricorrenti.

Il ricorso, infondato in ordine alla illiceità dedotta a base della domanda e inammissibile in rapporto alla valutazione dei comportamenti antecedenti e successivi al commissariamento della società, deve quindi rigettarsi, e i ricorrenti dovranno corrispondere in solido le spese del giudizio di cassazione ai controricorrenti, nella misura che si liquida in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti a pagare in solido ai controricorrenti le spese del giudizio di cassazione che si liquidano in Euro. 15.000,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della prima sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 11 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2011

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