Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27646 del 20/12/2011

Cassazione civile sez. I, 20/12/2011, (ud. 09/11/2011, dep. 20/12/2011), n.27646

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – rel. Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.A., elettivamente domiciliata in Roma al Piazzale

delle Belle Arti n. 8, presso l’avv. Pellicanò Antonino, che la

rappresenta e difende per procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

A.G.E.A. Agenzia per le erogazioni in agricoltura, in persona del

legale rappresentante p.t., ex lege domiciliato in Roma, alla Via dei

Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura generale dello Stato e da

questa rappresentata e difesa;

– controricorrente –

avverso la sentenza del giudice di pace di Roma n. 44446/04 del 25

ottobre – 4 novembre 2004;

Udita la relazione del Cons. Dott. Fabrizio Forte e sentito il P.M.

Dott. DEL CORE Sergio, che conclude perchè il ricorso sia dichiarato

inammissibile.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

C.A., con atto di citazione notificato il 15 marzo 1994, conveniva in giudizio dinanzi al giudice di pace di Roma l’A.G.E.A. (Agenzia per le erogazioni in agricoltura), dichiarandosi conduttrice di uliveti siti nel Comune di (OMISSIS), in particelle del locale C.T. individuate nella allegata documentazione catastale, e di avere invano presentato domanda di aiuto alla produzione dell’olio di oliva per la campagna olearia 1992-1993, per una produzione pari a q.li 4,30, non ricevendo alcunchè. La convenuta nel 2002 in risposta alla richiesta di chiarimenti dell’attrice, aveva affermato che non vi era stata la necessaria previa denuncia di coltivazione di lei, senza la quale nulla poteva riconoscersi come aiuto. L’attrice chiedeva quindi la somma di Euro 361,97, oltre accessori per gli aiuti comunitari erroneamente a lei negati, deducendo di aver presentato denuncia di coltivazione per l’annata 1992-93 a mezzo dell’Associazione produttori olivicoli di (OMISSIS), alla quale invece, secondo la convenuta, aveva presentato la prima denuncia di coltivazione solo il 30 novembre 1993.

La stessa Agenzia afferma che la donna era anche iscritta all’associazione produttori olivicoli di (OMISSIS), posizione per la quale aveva ricevuto gli aiuti comunitari fin dalla campagna olearia 1992-1993.

Il giudice di pace di Roma, con la sentenza di cui in epigrafe, espressamente decidendo secondo equità, ha ritenuto non provato dall’attrice il diritto all’aiuto ed ha rigettato la domanda, compensando le spese del grado. Ha affermato l’adito giudice che l’attestazione di molitura dell’olio per cui s’è chiesto l’aiuto, da parte del frantoio riconosciuto in sede comunitaria, pur rilevante nel procedimento amministrativo per ottenere l’aiuto, nel processo non ha valore di prova certa e fino a querela di falso della produzione dell’olio, mancando il potere del frantoio stesso di attribuire pubblica fede a detta dichiarazione.

Ritenuto che vi era contraddizione nella documentazione prodotta tra la scheda, da cui risultavano mancanti per la C., produttore con matricola (OMISSIS), particelle in produzione al 31/12/1993 e quella da cui risultava che la stessa ditta aveva in produzione la p.la (OMISSIS) con produzione dichiarata di olio per q.li 25, il Giudice di pace ha negato la fondatezza della domanda, avendo rilevato che detta particella era per il Catasto interamente coltivata a vigneto, per cui non vi erano indizi sufficienti a dimostrare la esistenza certa del diritto all’aiuto preteso per la produzione olearia. Per la cassazione della sentenza che precede la C. propone ricorso notificato il 19 dicembre 2005 di due motivi e l’A.G.E.A. si difende con controricorso notificato alla ricorrente il 9 gennaio 2006.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Il primo motivo di ricorso lamenta violazione dei principi informatori della materia come emergenti dal Regolamento CE n. 156/66 e dal D.M. 2 gennaio 1985, che comporta violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e dell’art. 113 c.p.c., avendo il giudice a quo solo apparentemente motivato il rigetto della domanda per la omessa denuncia di coltivazione delle olive dalla interessata e la mancata fede pubblica dell’attestazione del frantoio sulla misura dell’olio prodotto nell’annata di riferimento. Il giudice di pace viola l’art. 5 del regolamento comunitario che legittima il coltivatore a chiedere l’aiuto in rapporto alla quantità di olio realmente prodotto, affermando che in base agli atti allegati non poteva accertare che la C. aveva presentato tempestiva denuncia di coltivazione per l’annata 1992-1993 in relazione alla particella per la quale non ha ricevuto l’aiuto.

Non vi sono infatti elementi di fatto contrastanti con quelli che provano il diritto della ricorrente all’aiuto, risultando l’esistenza della denuncia di coltivazione del 30 novembre 1992 e la domanda di aiuto del 2 giugno 1993 per l’aiuto. In ogni caso il fondo, per il catasto destinato a vigneto, è lo stesso per il quale negli anni successivi la C. ha ricevuto gli aiuti, per cui immotivato è stato il rigetto della domanda, dovuto alla disorganizzazione della A.I.M.A., oggi A.G.E.A., che ha impedito di soddisfare le moltissime richieste dei coltivatori, per cui la sentenza è conseguenza di una errata valutazione della documentazione prodotta.

1.2. Il secondo motivo del ricorso denuncia violazione dal giudice di pace dei principi informatori della materia di cui all’art. 113 c.p.c., comma 2, come riletto dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 206/2004 e disapplicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c..

La sentenza viola i principi in materia di prove e quelli che sorreggono il giudizio di equità; la disapplicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. ha dato luogo ad una violazione dei principi regolatori della materia in sede sopranazionale ed interna, essendo carente del tutto la motivazione nella quale non si rileva l’esistenza della prova documentale della domanda di aiuto e della denuncia di coltivazione e non si considera l’inesistenza di prove contrarie al riconoscimento del diritto della C., omettendo di esaminare la produzione documentale di tale parte.

2.1. Il ricorso è inammissibile.

Il giudice di pace di Roma ha deciso espressamente “secondo equità” la presente causa, ai sensi dell’art. 113 c.p.c., comma 2, nella versione vigente alla data della domanda, per la quale il valore della controversia, ai sensi degli artt. 10 e 14 c.p.c., era indicato in meno di L. 2.000.000, somma in cui rientrava l’aiuto di cui era chiesto il pagamento, anche con interessi e rivalutazione monetaria (Cass. 29 novembre 2010 n. 24153 e 26 aprile 2010 n. 9923). La sentenza, ai sensi dell’art. 339 c.p.c., comma 2, nella versione vigente alla data della pubblicazione, non è appellabile ma solo ricorribile per cassazione, ove ecceda dai limiti che la legge pone alla “equità” per la quale il giudice, non vincolato a decidere in base alle “norme del diritto” (art. 113 c.p.c., comma 1), è tenuto, per il principio di legalità, a rispettare le linee essenziali e qualificanti della disciplina del rapporto controverso, cioè i c.d.

“principi informatori della materia”, oltre che le norme processuali cogenti e quelle costituzionali e comunitarie.

Gli indicati principi non corrispondono alle singole norme rilevanti nella materia nè alle regole, accessorie e contingenti, che non la qualificano nella sua essenza, ma costituiscono enunciati desumibili dalla disciplina positiva, il cui mancato rispetto comporta una decisione ingiusta e da cassare, in caso di ricorso per loro violazione in sede di legittimità.

Pertanto le sentenze secondo equità del giudice di pace sono ricorribili per cassazione non solo quando violano le norme sopra indicate ma anche ove siano in contrasto con i principi informatori della materia che qualificano la stessa fisionomia giuridica del rapporto controverso, per cui la loro violazione comporta nullità della sentenza (C. Cost. 6 luglio 2004 n. 206), da ritenere erroneamente decisa nel caso concreto, se non consente di configurare giuridicamente la causa petendi su cui si fonda l’atto introduttivo.

Nel caso concreto i principi informatori della materia deducibili ai sensi dell’art. 111 Cost. come motivo di ricorso (sui quali cfr.

Cass. 13 maggio 2010 n. 11638, S.U. 14 gennaio 2009 n. 564, Cass. 18 giugno 2008 n. 16545), sono certamente compatibili, in rapporto all’aiuto comunitario alle coltivazioni degli olivicoltori, con la rigorosa istruttoria che le norme comunitarie e quelle interne impongono per ottenere il contributo.

Per tali norme deve essere presentata entro il 30 novembre dell’anno cui si riferisce l’aiuto, la denuncia delle particelle in produzione, presupposto indispensabile per proporre, l’anno successivo, la domanda di aiuto che si può liquidare solo a seguito della attestazione, da frantoio autorizzato, della quantità di olive molite per l’anno cui si riferisce la domanda.

3. Il ricorso relativo a sentenza emessa prima del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 è sul piano sostanziale precluso perchè richiama principi informatori della materia non meglio specificati e come tali privi di autosufficienza, da ricavare secondo la ricorrente dalle norme comunitarie e interne sugli aiuti all’agricoltura, denunciando una pretesa omessa motivazione che invece sussiste nella decisione impugnata. Il giudice di pace, in relazione alla incontestata affermazione dell’A.G.E.A. dell’iscrizione della C. in due Associazioni di olivicoltori, dubita che la documentazione prodotta dalla donna in sede amministrativa per ottenere gli aiuti per la campagna olearia 1992-1993, sia sufficiente a provare il credito della coltivatrice all’aiuto, in quanto le norme comunitarie ed interne nella materia sono informate al principio fondamentale della reale esistenza della coltivazione e della produzione di olio che da diritto all’elargizione, che nel caso non sono provate. Il ricorso denuncia surrettiziamente pretesi vizi di violazioni di norme processuali e di principi regolatori della materia, chiedendo nella sostanza di sostituire alla valutazione dei documenti prodotti da parte del giudice di pace, quella della ricorrente, senza indicare ragioni che consentano di superari i dubbi della sentenza di merito in ordine alla prova del diritto della C. azionato in questa sede.

Nel caso di specie l’A.G.E.A. già con la comparsa di costituzione ha negato la esistenza della denuncia di coltivazione per l’annata agricola 1992-1993 in relazione al terreno per cui è chiesto l’aiuto; il giudice di pace, applicando principi generali del diritto processuale ha esattamente rilevato il carattere contraddittorio dei documenti n.ri 2 e 3 prodotti nel merito dalla ricorrente per ottenere il contributo.

Risulta dalla prima scheda n. 2 che al 31 dicembre 1993 in capo alla C., non vi erano particelle in produzione, con esclusione della esistenza di una denuncia di coltivazione anteriore a detta data, mentre emerge da altra scheda che, alla stessa data, la donna aveva dichiarato per la P.la 29, map. 203, una produzione di olio di q.li 25. Il contrasto certo dei due documenti, già da solo giustifica il rigetto della domanda, stante il rigore che la erogazione del danaro pubblico sotto forma di aiuti comunitari, rende indispensabile, ma il giudice di pace nella sua sentenza aggiunge altri elementi che comportano il rigetto della domanda, come quello della non rilevanza, fino a querela di falso, della attestazione del Frantoio riconosciuto in sede comunitaria per la prova delle olive portate a molitura, escludendo anche per tale profilo la produzione di valida documentazione a base della domanda di aiuto. Del tutto irrilevante è la circostanza dell’aiuto ricevuto dalla C. per gli anni successivi, comunque fondato sulla dichiarazione del 1992, ben potendo la donna avere presentato la denuncia di coltivazione con l’Associazione degli olivicoltori di (OMISSIS) invece che con quella di (OMISSIS), determinando con la sua condotta gli equivoci e i dubbi che in concreto hanno impedito l’erogazione dell’aiuto. Il ricorso non supera le ragioni in diritto della sentenza impugnata nè consente di pervenire ad una valutazione diversa dei documenti rispetto a quella congrua e giuridicamente ineccepibile del giudice di pace, per cui deve dichiararsi inammissibile.

3. Per la soccombenza, la ricorrente dovrà pagare alla controricorrente le spese di causa, che si liquidano nella misura di cui in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a pagare alla controricorrente le spese del giudizio di cassazione che liquida in Euro 800,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1A sezione civile della Corte di cassazione, il 9 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2011

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