Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27645 del 03/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 03/12/2020, (ud. 19/12/2019, dep. 03/12/2020), n.27645

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – Consigliere –

Dott. GILOTTA Bruno – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 12986/2013, promosso da:

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato;

– ricorrente –

contro

C.G., rappresentato e difeso dall’avv. Claudio Lombardi,

del foro di Napoli, entrambi domiciliati in Roma, via F. Meda, 43;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della CTR Campania 89/l5/12 del 26

marzo 2012, avente ad oggetto l’avviso di accertamento (OMISSIS)

I.R.P.E.F. 2003 della Direzione Provinciale dell’Agenzia delle

Entrate di (OMISSIS).

 

Fatto

RILEVATO

che:

con l’avviso di accertamento in oggetto l’Agenzia delle Entrate determinò a C.G. reddito da capitale per Euro 8.155.000,00, derivante dalla rettifica, con separato accertamento, del reddito societario della CEN. BOR. Carni s.r.l. partecipata dal contribuente al 70%.

la Commissione Tributaria Provinciale annullò l’atto impositivo perchè quello a carico della società non era definitivo e perchè l’Ufficio non aveva fornito prova della distribuzione ai soci degli utili.

La sentenza è stata confermata dalla Commissione Tributaria Regionale perchè “l’accertamento in capo alla società non fu notificato presso la sede legale in (OMISSIS), bensì affisso al Comune di (OMISSIS), erroneamente; nè fu notificato con la possibile alternativa al legale rappresentante unico R.C. nel proprio domicilio in (OMISSIS). Ne consegue che inesistente è l’accertamento della società e quindi manca il presupposto onde poterne inferire gli effetti al socio; in ciò anche confortato il Collegio dalla sentenza 253/39/11 relativa al socio B. al 30% esibita dal C. per la medesima fattispecie.”

Per la cassazione di questa sentenza l’Agenzia delle Entrate ricorre per cinque motivi.

Al ricorso il contribuente ha resistito con controricorso.

Per la trattazione è stata fissata l’adunanza in camera di consiglio del 19 dicembre 2019, ai sensi dell’art. 375, u.c., e dell’art. 380 bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. n. 168 del 2016.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo la ricorrente denuncia “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 1 e 19, con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3,” avendo la sentenza delibato in ordine ad un provvedimento non impugnato, con specifico riferimento all’accertamento fiscale divenuto definitivo riguardante la società CEN. BOR. Carni s.r.l..

Il motivo è fondato.

Secondo il principio affermato dalle Sezioni Unite (sentenza 643 del 16/01/2015) in tema di contenzioso tributario, la cognizione incidentale del giudice, a parte quella vertente su atti normativi e generali, è circoscritta (ed in limiti definiti) alle sole questioni appartenenti alla giurisdizione di altro giudice, attesa la struttura impugnatoria del processo, sicchè, come si desume dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 2, comma 3, dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, comma 5, e dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19, comma 3, non può essere disapplicato un atto a contenuto concreto che sia autonomamente impugnabile dinanzi alla commissione tributaria, ma non sia stato oggetto di diretta ed autonoma impugnazione. Ne deriva che la legittimità di un atto a contenuto concreto ed autonomamente impugnabile davanti al giudice adito – nella specie le iscrizioni a ruolo portate dalle cartelle di pagamento non impugnate e il diniego di condono – non resi oggetto di diretta ed autonoma impugnazione, non è suscettibile di delibazione in base a cognizione meramente incidentale, essendo consentita la disapplicazione (e, quindi, la cognizione meramente incidentale) solo di atti e provvedimenti a contenuto normativo o generale, ed è ammissibile la sospensione tra processi tributari, ex art. 295 c.p.c.,” (Cass. n. 9999 del 2006 e n. 9183 del 2011).

Ne discende che in questo caso la Commissione Tributaria Regionale avrebbe potuto e dovuto solo sospendere il processo, ove fosse emerso che l’accertamento nei confronti della società fosse stato impugnato e il relativo giudizio fosse ancora pendente.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 41, lett. e), e del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3,” in quanto la C.T.R. ha ritenuto pregiudiziale la definitività dell’accertamento in capo alla società di utili non contabilizzati per accertarne la distribuzione in capo ai soci.

La doglianza, nei termini in cui è formulata, è infondata.

Pur non vertendosi in tema di litisconsorzio necessario (a differenza di quanto previsto per le società di persone: ex plurimis, cass., n. 16730 del 2018) – sicchè l’impugnazione dell’accertamento nei confronti dei soci di società di capitale a ristretta base sociale non deve essere necessariamente trattata unitamente all’impugnazione dell’accertamento a carico della società – la pregiudizialità di questo secondo accertamento rispetto a quello – conseguenziale – a carico dei soci è logicamente e giuridicamente evidente; creandosi altrimenti le basi per una statuizione definitiva a carico dei soci che potrebbe risultare inconciliabilmente opposta a quella a carico della società. La giurisprudenza citata dalla ricorrente non sembra pertinente, perchè in un caso esprime un obiter dictum (vertendosi su accertamento societario divenuto comunque definitivo); nell’altro caso ribadisce il rapporto non litisconsortile fra i due giudizi (per accertamento nei confronti del socio e per accertamento nei confronti della società) per ritenere (ovviamente) irrilevante il passaggio in giudicato, per mancata impugnazione, dell’accertamento a carico della società, in una materia dove da un lato (trattandosi di utili non contabilizzati) la mancata ritenuta è in re ipsa, dall’altro è sempre consentita al socio la dimostrazione che gli utili non contabilizzati dalla società siano stati posti a riserva occulta, o reinvestiti, ecc.).

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 156, comma 3, e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3,” avendo ritenuto la C.T.R. inesistente l’accertamento in quanto non notificato, ignorando così il principio secondo cui “la mancanza della notificazione di un atto amministrativo d’imposizione tributaria non influisce sulla sua esistenza” in quanto “gli atti amministrativi d’imposizione tributaria sono sottoposti ad un regime procedimentale, che, pur nelle sue peculiarità rispetto a quello generale dell’atto amministrativo, lascia ben distinta la fase di decisione, o di perfezione dell’atto, rispetto alla fase integrativa della sua efficacia”: il vizio della notificazione di un atto tributario, quindi determina solo la preclusione della “efficacia” del provvedimento ma non incide affatto sull'”esistenza” dello stesso, la quale non viene per nulla compromessa da quel “vizio” (cass., 16370/2012).

Il motivo è inammissibile, perchè non coglie la ratio decidendi della sentenza, che risiede non tanto nell’inesistenza dell’atto impositivo, quanto nella sua inopponibilità riguardo alla società e quindi ai suoi soci, siccome non notificato.

Con il quarto motivo deduce “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4”, nella parte in cui la sentenza ha fatto riferimento all’intervenuto annullamento del parallelo accertamento nei confronti dell’altro socio, senza riportarne il contenuto, e “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 58 e 60, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3,” nella parte in cui la sentenza ha sindacato la validità della notificazione dell’accertamento alla società.

Entrambe le censure sono assorbite dall’accoglimento della prima.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo, in esso assorbiti il quarto e il quinto; rigetta il secondo e il terzo, annulla la sentenza e rinvia alla C.T.R. della Campania, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 19 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2020

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