Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27641 del 29/10/2019

Cassazione civile sez. trib., 29/10/2019, (ud. 13/06/2019, dep. 29/10/2019), n.27641

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5509/2015 proposto da:

INTERNATIONAL MARINE SYSTEMS S.R.L., rappresentata e difesa dall’avv.

Francesco Petillo presso il cui studio sito in Roma, Via Panama 86,

ha eletto domicilio;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio

n. 4587/04/14 pronunciata l’1.7.2014 e depositata il 9.7.2014.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13.6.2019 dal Consigliere Dott. Giuseppe SAIEVA.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. La S.r.l. International Marine Systems, esercente in (OMISSIS) attività di commercio al minuto e all’ingrosso di articoli sportivi, impugnava l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate di (OMISSIS) rideterminava in Euro 104.225,00, le imposte dovute per l’anno 2003 per IVA, IRPEG ed IRAP, oltre ad accessori e relative sanzioni, per ricavi non contabilizzati e non dichiarati derivanti dalle somme corrisposte all’opponente dagli utilizzatori di posti barca per una secondaria attività, consistente nella locazione di posti barca di proprietà di terzi.

2. La Commissione Tributaria Provinciale di Roma rigettava il ricorso della contribuente, il cui appello interposto dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio veniva ugualmente rigettato con sentenza n. 4587/04/14 pronunciata l’1.7.2014 e depositata il 9.7.2014.

3. Avverso tale decisione la società contribuente proponeva ricorso per cassazione affidandolo a due motivi.

4. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza camerale del 13 giugno 2019, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380 bis 1 c.p.c..

5. L’Agenzia delle entrate, ritualmente costituita in giudizio, resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamentando “l’inapplicabilità della normativa adottata dall’Amministrazione Finanziaria a fondamento dell’azione accertatrice (illegittimamente qualificata induttiva) nei confronti del contribuente”… nei cui confronti “è stata iniziata una verifica specifica… che poi… è stata trasformata in parziale”, mentre, non essendo state nella specie accertate violazioni gravi, ripetute e numerose nella contabilità, ne discenderebbe la nullità dell’atto impositivo, basato sull’applicazione di un erroneo precetto normativo.

1.1. Detto motivo è inammissibile.

1.2. Invero, la stessa contribuente afferma che trattasi di doglianza nuova, non affrontata nel giudizio di merito, sollecitandone la rilevazione d’ufficio.

1.3. Va peraltro osservato che i motivi posti a fondamento della cassazione della decisione impugnata debbono avere i caratteri della specificità, della completezza e della riferibilità alla decisione stessa; ciò comporta l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero delle lamentate carenze di motivazione (Cass. 25 settembre 2009, n. 20652; Cass. 6 giugno 2006, n. 13259).

1.4. Nel ricorso per cassazione il vizio della violazione e falsa applicazione della legge di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, giusta il disposto di cui all’art. 366 c.p.c., n. 4, infatti, deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunciata violazione (Cass. 12 gennaio 2016, n. 287; Cass. 1 dicembre 2014, n. 25419; Cass. 26 giugno 2013, n. 16038; Cass. 28 febbraio 2012, n. 3010).

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c.; del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 35, in riferimento all’art. 132 c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c., ed art. 111 Cost., comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

2.1. Anche tale motivo si appalesa inammissibile.

2.2. Va premesso in diritto che il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi (Cass., sez. U, n. 17931 del 24/7/2013).

2.3. Posto dunque che il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato dai motivi di ricorso che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito, il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità; inoltre esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie previste, sicchè sono inammissibili critiche generiche della sentenza impugnata.

2.4. Nel caso di specie, invero, non risulta possibile enucleare alcuna delle ipotesi indicate.

2.5. Il ricorso è infatti articolato su motivi che esulano da quelli tassativamente indicati nel codice di rito e contiene una indistinta elencazione di vizi e doglianze, non riconducibili con chiarezza ad alcuna specifica parte degli argomenti successivamente enunciati. Com’è noto, l’esposizione cumulativa delle questioni non è consentita in quanto mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., comma 1, per poi ricercare quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse. Va ricordato che viceversa la loro formulazione deve permettere di cogliere con chiarezza le doglianze cumulate, purchè prospettate in maniera tale da consentirne l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi (Cass. n. 19443 del 23/9/2011 e Sez. Un. 9100 del 6/5/2015).

2.6. Più specificamente va comunque stigmatizzato che la ricorrente con la pluralità di doglianze indistintamente elencate, sottopone in sostanza, alla corte di legittimità inammissibili istanze di revisione di valutazioni di fatto rientranti nella competenza esclusiva del giudice del merito, non sindacabili in sede di legittimità.

2.7. Va infine disattesa la doglianza relativa al vizio di motivazione dedotto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, anch’essa inammissibile, atteso che la pronuncia impugnata è una doppia conforme come qualificata dall’art. 348 ter c.p.c., comma 5, disposizione che preclude la possibilità di proporre ricorso per cassazione secondo la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel caso in cui il giudice di primo grado e quello di secondo grado abbiano condiviso le valutazioni in fatto.

2.8. Pure essendo a ciò processualmente onerata, parte ricorrente ha omesso, infatti, di dimostrare e di allegare che il provvedimento impugnato non si fondava sulle stesse ragioni di fatto poste a base della decisione appellata, nè ha dimostrato la loro diversità.

3. Va pertanto dichiarata l’inammissibilità del ricorso con conseguente condanna della società ricorrente al pagamento delle spese di giudizio. Sussistono i presupposti per il versamento da parte della società medesima dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

PQM

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese di giudizio in favore dell’Agenzia delle Entrate che liquida in 4.500,00 Euro, oltre spese prenotate debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 13 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2019

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