Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27641 del 11/12/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 27641 Anno 2013
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: PICCIALLI LUIGI

SENTENZA

sul ricorso 3366-2008 proposto da:
DE FILIPPO PASQUALE DFLPQL31H03I054Z ved. Bronda
Celeste, DE FILIPPO VINCENZO DFLVCN64P13I158N, DE
FILIPPO ALFONSO DFLLNS60M01I054R, elettivamente
domiciliati in ROMA, VIA DI PIETRALATA 320-D, presso
lo studio dell’avvocato MAZZA RICCI GIGLIOLA,
rappresentati

e

difesi

dall’avvocato

PRIGNANO

MARCELLO;
– ricorrenti contro

MASCOLO ANTONIO MSCNTN72A17H9261, in proprio e quale

Data pubblicazione: 11/12/2013

amministratore pro tempore della proprieta’ “f.11i
MASCOLO”, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI
PIETRALATA 320\D, presso lo studio dell’avvocato RICCI
REGINA, rappresentato e difeso dall’avvocato DE ROSSI
GUIDO RAFFAELE;

nonchè contro

TRICARICO VINCENZO, CANCANI NELLO, DE SIMONE ANTONIO;
– intimati –

avverso la sentenza n. 996/2006 della CORTE D’APPELLO
di BARI, depositata il 26/10/2006;
preliminarmente il Consigliere Dott. LUIGI PICCIALLI
notizia la Corte che e’ pervenuta in Cancelleria, da
parte degli Avvocati di entrambe le parti costituite,
la richiesta di rinvio della causa a nuovo ruolo
essendo in corso trattative, ed udita la relazione
della causa svolta nella pubblica udienza del
12/11/2013 dal Consigliere;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ROSARIO GIOVANNI RUSSO che ha concluso
per l’invito a regolarizzare ex artt. 110 e 182
c.p.c., in subordine per il del ricorso.

– controricorrente –

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificato il 22.6.1977 Celeste Bronda,proprietaria di un immobile in Sarmicandro
Garganico a confine con un fondo appartenente agli eredi di tale Mascolo,citò costoro al giudizio
del Tribunale di Lucera,lamentando che il fabbricato,ivi realizzato nell’anno 1958, non rispettava
le distanze legali di cui all’art. 907 c.c. dalle vedute esistenti in quello di essa istante ed aveva

all’arretramento della fabbrica,all’ eliminazione delle infiltrazioni ed al risarcimento dei danni.
La domanda,alla quale dei numerosi convenuti avevano resistito solo Vincenzo Tricarico e Nello
Cancani,nella contumacia dei rimanenti,dopo un in lungo iter istruttorio,nel corso del quale erano
stati prodotti documenti dalle parti,espletate prove orali ed una consulenza tecnica di ufficio,con
sentenza del 10.5.2001,venne accolta soltanto nei capo relativi alle lamentate infiltrazioni ed al
conseguente risarcimento e rigettata nel rimanente,con condanna dei convenuti al pagamento del
50% delle spese del giudizio,per il resto compensate.
Proposti appelli,in via principale dalla Bronda,in via incidentale dal Tricarico e dal Cancani,
separatamente costituitisi con il medesimo difensore,nella persistente contumacia degli altri eredi
Mascolo,l’adita Corte di Bari,con sentenza dei 6/26.10.2006,rigettava i reciproci gravami e
compensava interamente le spese del giudizio.
La corte territoriale,per quanto ancora in questa sede rileva, confermava la decisione reiettiva della
domanda attrice ex art. 907 c.c.,escludendo che l’edificio della Bronda godesse nel 1958, epoca
della costruzione di quello dei convenuti,di servitù di veduta a carico del fondo Mascolo,tanto
desumendo dalla circostanza che in occasione di un sopralluogo del locale pretore espletato in tale
anno, nel corso di una controversia tra i danti causa delle parti poi estinta,era emerso che due delle
aperture in questione erano dotate di grate metalliche ,che lo stesso Bronda aveva ammesso essere
state apposte in precedenza per motivi di sicurezza e di aver rimosso soltanto dieci giorni prima,
esibendole anche al giudice,mentre la terza ne era ancora dotata. Dai rilievi fotografici in quella
circostanza acquisiti e dalla relazione del c.t.u. espletata nel giudizio di primo grado,proseguiva la
1

determinato infiltrazioni in danno dello stesso,per cui chiese la condanna dei convenuti

corte, si rilevava che le grate erano a “maglie fitte”,tali da non consentire alcuna possibilità di
affaccio, circostanza che era stata confermata da alcuni testi,mentre le diverse deposizioni degli
altri si riferivano a periodi successivi alla fine degli anni cinquanta;infine,proprio il documento
prodotto dall’appellante,una scrittura privata del 1913 intervenuta tra i danti causa delle parti,
confermava che già in quell’anno era stata prevista l’apposizione di quelle grate.

Filippo e Vincenzo De Filippo,qualificandosi rispettivi vedovo e figli, e dunque eredi, di Celeste
Bronda,deceduta il 1.8.2007 e notificando l’impugnazione soltanto a Vincenzo Tricarico,a Nello
Cancani e ad Antonio Mascolo,quese ultimo in proprio e nell’assunta qualità di “amministratore
pro tempore della proprietà F.11i Mascolo”.
I primi due intimati non hanno svolto attività difensiva,mentre ha resistito con controricorso il
terzo, in proprio e nella suddetta asserita qualità.
Nell’imminenza della pubblica udienza,cui non hanno partecipato i difensori delle parti,è
pervenuta alla Corte un’istanza congiunta degli stessi di rinvio della discussione,in pendenza di
assunte trattative per la definizione transattiva della controversia.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il principio della ragionevole durata del processo,recepito dall’art. 111 co. 2 Cost.,la cui
violazione espone lo Stato a responsabilità patrimoniale nei confronti delle parti,induce questa
Corte a disattendere la,non meglio documentata,né ribadita in udienza, richiesta di rinvio della
causa,risalente ad oltre trentasei anni,tanto più in considerazione che la controversia coinvolge
diritti non solo delle parti costituite,ma anche di numerose altre, la maggior parte delle quali non
ritualmente evocate nella presente sede,tenuto conto della,non documentata,qualità di
rappresentante della comunione “Mascolo” dell’unico controricorrente.
Il medesimo principio,avendo la durata della controversia superato ogni ragionevole limite e non
tollerando ulteriori rinvii,e considerato che il ricorso,per quanto si dirà di seguito,si prospetta
manifestamente infondato,impone l’immediata decisione (v. SU. 21670/2013), esimendo la Corte
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Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione Pasquale De Filippo,Alfonso De

dall’invitare,come pur richiesto dal P.G., i ricorrenti a documentare l’assunta qualità di eredi
dell’attrice appellante ed il decesso della stessa,nonché a regolarizzare il contraddittorio nei
confronti dei numerosi eredi Mascolo,appellati nel giudizio di secondo grado e non validamente
evocati nel presente, dispendiose attività che risulterebbero inutili,in vista del certo esito negativo
dell’impugnazione.

c.c.,lamentando che la corte di merito non avrebbe tenuto adeguato conto della scrittura privata del
1913,dalla quale si desumeva soltanto un impegno alla collocazione delle”reti fisse” alle
“finestre”all’epoca esistenti,né della circostanza,dichiarata da Vincenzo Bronda,padre
dell’appellante,che alle stesse erano state apposte,per motivi di sicurezza,soltanto delle grate
mobili, agevolmente rimuovibili,con la conseguenza che il predetto dante causa avrebbe
mantenuto il diritto di veduta e che,per converso,non essendovi stata ottemperanza all’impegno
assunto con la citata scrittura,i1 relativo diritto si sarebbe estinto per prescrizione;sicchè avrebbe
dovuto essere accolta la domanda ad oggetto dell’osservanza delle distanze ex art. 907 c.c.
Il motivo è palesemente immeritevole di accoglimento,non solo perché nei quesiti conclusivi ex
art. 366 bis c.p.c. dà per scontate premesse in fatto su circostanze controverse (e difformi da
quelle accertate dai giudici di merito),secondo cui la grate sarebbero state amovibili “a
piacimento”, ma anche e soprattutto in considerazione dell’evidente natura di censure puramente
fattuali nelle quali esso si risolve,ponendo in discussione,senza neppure dedurre eventuali vizi di
motivazione,circostanze acclarate dai giudici di merito,segnatamente dalla corte tertitoriale,sulla
scorta dei precisi riscontri processuali,provenienti anche dal dante causa dell’attrice,di cui è
menzione in narrativa. Sicchè,una volta ricostruiti i fatti nei termini esposti dal giudice di
appello,nel senso dell’esistenza di tre grate fisse (una delle quali ancora presente e constatata de
visu dal pretore ed altre due analoghe rimosse solo da poche( giorni,per ammissione della stessa
parte),tali da impedire l’affaccio, nell’anno 1958,vale a dire diciannove anni prima dell’inizio del
presente processo,deve concludersi che correttamente i giudici di merito abbiano escluso la
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Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2946 e 1158

sussistenza nel 1977 di un diritto si servitù di veduta acquisito per usucapione,poco o punto
rilevando l’eventuale precedente prescrizione decennale dell’obbligo assunto dal dante causa
dell’attrice con la scrittura privata del 1913.
Con il secondo motivo si lamenta omissione o insufficienza di motivazione,per non essersi tenuto
conto,o per averla “superficialmente” esaminata, della suddetta dichiarazione resa dal Bronda nel

Zuccaro,i1 primo riferente che nel 1939 le grate non erano presenti e che le aveva poi notate nel
1946,gli altri che le stesse “venivano tolte e rimesse per fare le pulizie”.
Anche tale motivo,che difetta del “momento finale di sintesi” ex art. 366 bis c.p.c. richiesto nei
casi di cui all’art. 360 coI n. 5 c.p.c. (v.,tra le altre,Cass. nn. 24255/11,4556/09),è manifestamente
privo di fondamento,risolvendosi nell’inammissibile pretesa di rivisitazione delle risultanze
istruttorie, senza evidenziare carenze logiche o lacune argomentative del ragionamento esposto
dal giudice di merito,cui non ostano le testimonianze (peraltro non trascritte,con inosservanza
dell’onere di autosufficienza) sopra dedotte.
Di tali testimonianze,invero,l’una si riferisce ad un periodo notevolmente antecedente a quello
presa in considerazione e rilevante ai fini dell’accertamento di una servitù, eventualmente
acquisita ed in esercizio all’epoca (1976-77) dei fatti di cui è causa,l’altra è del tutto generica,
quanto ai riferimenti cronologici e,comunque,irrilevante,posto che la riferita rimozione delle
strutture protettive delle finestre in occasione delle pulizie costituiva operazione periodica o
saltuaria,non significativa di una pronta ed agevole possibilità di apertura delle finestre, tale da
consentire l’abituale ed agevole affaccio,senza necessità di compiere particolari operazioni o
manovre diverse da quelle dell’apertura dei battenti (nella specie lo smontaggio delle grate),come
richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte ai fini del possesso della servitù di veduta.
Il ricorso va conclusivamente respinto.

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corso dell’ispezione pretorile del 1958,nonché delle testimonianze rese da tali Di Tullio e

Le spese del presente giudizio vanno tuttavia compensate,in considerazione delle assunte
trattative di definizione della lite e,comunque, del palese disinteresse al giudizio manifestato
dalle parti.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa interamente le spese del giudizio.

Così deciso in Roma il 12 novembre 2013.

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