Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27640 del 12/10/2021

Cassazione civile sez. trib., 12/10/2021, (ud. 17/12/2020, dep. 12/10/2021), n.27640

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. MELE Maria Elena – Consigliere –

Dott. MARTORELLI Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6068-2014 proposto da:

C.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI VILLA

SACCHETTI 9, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE MARINI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato LORIS TOSI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7/2013 della COMM.TRIB.REG. VENETO, depositata

il 15/01/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/12/2020 dal Consigliere Dott. RAFFAELE MARTORELLI.

 

Fatto

RITENUTO

CHE:

C.F. impugnava l’avviso di liquidazione con il quale l’Agenzia delle Entrate, in relazione all’atto di compravendita a rogito del notaio D.S.F. stipulato in data 9/2/2006 e registrato in data 1/3/2006, liquidava imposte di registro, ipotecarie e catastali, oltre ad interessi per effetto della revoca delle agevolazioni di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 33, comma 3 richieste per l’acquisto di un terreno nel comune di Schio ricadente in area soggetta a piano urbanistico particolareggiato e precisamente al piano di lottizzazione “G23″regolarmente approvato. L’Agenzia delle Entrate avendo verificato l’insussistenza delle condizioni per poter beneficiare dell’agevolazione, considerato che oggetto del contratto di compravendita era un terreno già urbanizzato e quindi direttamente utilizzabile a scopo edificatorio, procedeva al recupero dell’imposta e degli interessi.

Inoltre, in data 11/11/2008 il C. presentava ricorso avverso un l’avviso di liquidazione n. (OMISSIS), chiedendo alla Commissione Tributaria di dichiarare l’illegittimità del citato avviso. L’Agenzia procedeva all’annullamento in autotutela dell’atto impositivo e, conseguentemente, chiedeva l’estinzione del giudizio, poi dichiarata dalla C.T.P. di Vicenza con sentenza n. 44/05/09.

L’Agenzia delle entrate provvedeva, successivamente, ad emettere un nuovo avviso di liquidazione in data 19.12.2007, oggetto dell’odierna controversia, in sostituzione del precedente annullato, con il quale provvedeva ad aumentare il valore del cespite oggetto dell’atto di compravendita registrato in data 1/3/2006, ritenendolo non congruo. Il ricorrente C.F. definiva detto valore in adesione alla rettifica operata dall’Amministrazione.

Con ricorso alla Commissione Tributaria di Vicenza, il C. impugnava l’avviso di liquidazione della maggiore imposta, connessa alla revoca delle agevolazioni di cui all’atto di compravendita del terreno edificabile e la CTP di Vicenza, con la sentenza n. 109/03/09, respingeva il ricorso proposto. In sede di gravame la C.T.R. di Venezia, con sentenza n. 07/04/13, confermava l’impugnata sentenza.

Avverso la su indicata sentenza proponeva ricorso il C. che deduceva:

1. Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 53 bis e della L. n. 241 del 1990, artt. 21 septies e octies laddove la Commissione Tributaria Regionale del Veneto non aveva preso atto della nullità/illegittimità dell’avviso di liquidazione impugnato per difetto di sottoscrizione.

2. Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4: nullità della sentenza e del procedimento. Violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 laddove la commissione tributaria regionale non aveva adeguatamente motivato in merito all’illegittimità dell’avviso di liquidazione per violazione dell’art. 10, commi 1 e 2, dello statuto dei diritti del contribuente. L’Ufficio di Schio, infatti, aveva proceduto ad autotutela in malam partem.

3. Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 e del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 53 bis in quanto la commissione tributaria regionale del Veneto non aveva preso atto che il potere accertativo dell’agenzia delle entrate si era esaurito con l’emissione del primo atto impositivo.

4. Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: violazione della L. n. 388 del 2000, art. 33, comma 3, laddove la commissione tributaria regionale del Veneto aveva subordinato il mantenimento delle agevolazioni alla realizzazione delle opere di urbanizzazione da parte del compratore.

5. Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4: nullità della sentenza e dei procedimento. violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 laddove la commissione tributaria regionale non aveva adeguatamente motivato in merito all’illegittimità dell’avviso di liquidazione laddove aveva ritenuto che la maggiore imposta accertata fosse da qualificare complementare anziché suppletiva.

6. Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: violazione del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 42 e 56 laddove la commissione tributaria regionale del Veneto non aveva preso atto che la maggiore imposta accertata era da qualificare come supplementare.

7. Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4: nullità della sentenza e del procedimento. Violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 laddove la commissione tributaria regionale non aveva adeguatamente motivato in merito all’illegittimità dell’avviso di liquidazione, per erroneità del calcolo delle somme asseritamente dovute.

8. Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4: nullità della sentenza e del procedimento, Violazione del procedimento poiché la commissione tributaria regionale non aveva preso atto dell’illegittimità dell’avviso di liquidazione in quanto esso costituisce immotivata reiterazione di atto già notificato al contribuente.

L’Agenzia si costituiva con controricorso. La ricorrente depositava memoria.

Il ricorso non è fondato.

In relazione al primo motivo, relativo al difetto di sottoscrizione dell’atto, va precisato che, nel caso esaminato, si discute infatti, della copia dell’atto notificato al contribuente, in quanto quella a disposizione dell’agenzia risulta regolarmente sottoscritta. Si tratta, inoltre di avviso di liquidazione emesso in sostituzione di un precedente avviso, a sua volta sottoscritto dallo stesso direttore ( D.O., poi collocato a riposo). Non può considerarsi incerta la paternità dell’atto in quanto sia la copia dell’Agenzia che quella notificata in precedenza al contribuente risultano munite di sottoscrizione. E’ chiara, quindi, la provenienza dell’atto, come risulta anche dalla veste formale dello stesso (timbri, nome e cognome del direttore dell’Agenzia di Schio ecc.), per cui, secondo il disposto della L. n. 241 del 1990, art. 21 octies non deve considerarsi annullabile il provvedimento con vizi del procedimento o sulla forma degli atti, quando per la natura vincolata dello stesso sia palese che il contenuto non avrebbe potuto essere diverso.

Va tuttavia precisato che qui non si tratta di atto a contenuto vincolato, in senso stretto, ma – come ha anche detto la CTR – di atto adottato in una sequenza procedimentale che non ne rende incerta la provenienza e che, pertanto, non merita, per motivi esclusivamente formali, l’annullamento, facendo riferimento tra l’altro ad altro atto revocato e regolarmente sottoscritto dallo stesso soggetto.

In relazione al secondo motivo non sussiste autotutela in malam partem. Va precisato che, nel caso in esame, si discute di due atti distinti: il primo, con cui l’ufficio ha controllato la congruità del valore dichiarato nell’atto di compravendita (atto per il quale vi era stata l’adesione del contribuente, per cui risulta accertato il corretto valore del bene oggetto di scambio) ed il secondo, con cui erano state disconosciute le agevolazioni fiscali della L. n. 388 del 2000 sul presupposto dell’avvenuta pregressa urbanizzazione del terreno. Ne’ può argomentarsi che il fatto che il contribuente abbia aderito all’accertamento di valore poteva indurre il contribuente a ritenere riconosciuta la spettanza del beneficio.

Anche il terzo motivo è infondato in quanto il potere accertativo dell’Agenzia delle Entrate non poteva ritenersi esaurito e non impedisce all’Ufficio di procedere ad un ulteriore accertamento, per il medesimo periodo di imposta, nei termini di decadenza previsti dalla legge.

Con riferimento al quarto motivo non è ravvisabile la violazione della L. n. 388 del 2000, art. 33, comma 3. Va, qui, precisato che lo spirito della normativa citata è quello di favorire l’acquisto di un terreno inserito in un piano particolareggiato, accollandosi, in forza della convenzione, gli oneri di urbanizzazione dell’area al fine di poter procedere all’edificazione. Con la conseguenza che l’agevolazione non va riconosciuta quando vi siano aree ricadenti nei piani già direttamente edificabili, dotate delle necessarie infrastrutture. Nel caso in esame, sul terreno compravenduto erano già state, da parte del venditore, eseguite tutte le opere di urbanizzazione primaria.

Tale situazione risulta documentata, per cui il C. non può fruire dell’agevolazione quando tutte le opere di urbanizzazione erano state eseguite e quindi l’area risultava già utilizzabile direttamente a scopo edificatorio, senza oneri aggiuntivi.

Il quarto e sesto motivo possono essere trattati congiuntamente, stante la connessione logica. Il ricorrente ritiene trattarsi di imposta suppletiva, (diretta a correggere errori riconoscibili in sede di tassazione principale) o complementare (imposizione residuale in quanto liquidata successivamente alla registrazione dell’atto), assumendo che la richiesta di somme a titolo di riscossione frazionata sia illegittima, in quanto l’imposta liquidata con l’atto impositivo impugnato rivestirebbe natura di imposta suppletiva ed il ricorso sospenderebbe la riscossione sino alla sentenza di secondo grado; infatti, l’Agenzia aveva la possibilità di accertare l’urbanizzazione dell’area già al momento della tassazione in principale anche se non lo aveva fatto. Sul punto si rileva che, ex art. 42 del T.U.R., l’imposta principale è quella liquidata sulla base dell’atto da registrare: e’, quindi, l’imposta riscossa in sede di registrazione sulla base di ciò che emerge dall’atto da registrare o di dichiarazioni complementari. L’imposta suppletiva e’, invece, quella liquidata successivamente alla registrazione dell’atto e diretta a correggere errori o omissioni dell’Agenzia commessi in sede di registrazione dell’atto; l’imposta complementare è anch’essa liquidata successivamente alla registrazione dell’atto, in tutti gli altri casi, ed ha quindi natura residuale.

L’imposta in esame non può ritenersi un’imposta suppletiva diretta a correggere gli errori riconoscibili dall’Amministrazione in sede di tassazione in via principale; infatti, dalla lettura dell’atto di compravendita registrato in via telematica, l’Agenzia non è stata in grado di comprendere se il terreno, ivi inserito, fosse già urbanizzato oppure privo di qualsiasi opera. L’imposta deve pertanto ritenersi complementare (e non principale) in quanto applicata sulla base di dati non direttamente desumibili dall’atto sottoposto a registrazione. In tal senso si richiama la S.C. a Sezioni Unite n. 1196/2000. Trattandosi di imposta complementare e non essendo intervenuto il pagamento nel termine di 60 giorni dalla notifica dell’avviso di liquidazione, (a seguito della proposizione del ricorso alla C. T. P. di Vicenza) il contribuente era tenuto a corrispondere all’Erario la maggiore imposta liquidata, gli interessi, oltre le sanzioni per tardivo versamento D.Lgs n. 471 del 1997, ex art. 13.

Con il settimo motivo il ricorrente lamenta, riproponendo censura già dedotta in appello, la sussistenza dell’errore di calcolo, in quanto sostiene che l’Agenzia sia incorsa in errore richiedendo al contribuente una maggiore imposta di registro senza tenere conto di quanto dallo stesso versato in sede di accertamento con adesione.

Sul punto, si rileva che si tratta di due fattispecie diverse: nel primo caso, l’accertamento di maggior valore è basato sulla incongruità del valore dichiarato in atto, mentre, l’accertamento in esame è relativo al disconoscimento dell’agevolazione indicata; i due tipi di accertamento sono, quindi, riferiti a elementi diversi della medesima fattispecie fattuale (ossia la compravendita di un terreno), relativamente alla quale, il contribuente non può godere di alcuno sconto nella successiva liquidazione dell’imposta di registro per il solo fatto di aver pagato una maggiore imposta di registro a seguito di una insufficiente valorizzazione del bene. L’imposta liquidata con l’avviso per cui è causa, pertanto, risulta interamente dovuta.

Con riferimento all’ottavo motivo, non può essere accolta l’eccezione relativa all’illegittimità dell’avviso di liquidazione, quale asserita immotivata reiterazione di atto già notificato al contribuente. Infatti, la reiterazione dell’avviso di liquidazione costituisce l’esercizio, da parte dell’Amministrazione, di un potere di autotutela, diretto a rendere più definito il contenuto della pretesa fiscale. Peraltro, lo stesso contribuente aveva sollevato il vizio di contraddittoria motivazione nell’originario ricorso contro l’atto impositivo, poi annullato dall’Agenzia. Sul punto si rileva, innanzi tutto, che non sussiste vizio di motivazione. L’atto impositivo va considerato sufficientemente motivato quando contiene le informazioni minime atte delimitare l’ambito delle ragioni sostenute dall’agenzia e a consentire al contribuente l’esercizio del diritto di difesa. Diverso è il profilo della prova che va riportata al momento del contenzioso e del contraddittorio processuale. La prova dei fatti non è elemento costitutivo dell’avviso di accertamento.

E’, quindi, evidente che l’atto in esame, è stato notificato in sostituzione del precedente avviso di liquidazione, annullato proprio per rendere pienamente edotto il contribuente dei presupposti fattuali e giuridici del disconoscimento dell’agevolazione ed evitare contestazioni sul punto. Pertanto, nessuna doglianza può essere avanzata dal contribuente quando l’Amministrazione proceda all’annullamento di un atto affetto da qualche vizio che potrebbe inficiarne la legittimità.

Il ricorso va, quindi respinto. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 2.200,00, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio da remoto, il 17 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2021

 

 

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