Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2764 del 06/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 06/02/2020, (ud. 04/07/2019, dep. 06/02/2020), n.2764

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27387-2017 proposto da:

M.N. SRL, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI

256/B, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO ORSINI, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

CURATELA DEL FALLIMENTO (OMISSIS) SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 6084/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 27/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 04/07/2019 dal Consigliere Relatore Dott. NIILENA

FALASCHI.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Tribunale di Latina, con sentenza n. 933 del 2016, rigettava l’opposizione proposta avverso il decreto ingiuntivo n. 3 del 2011, emesso nei confronti della M.N. s.r.l per il mancato pagamento di alcune fatture, richiesta dalla curatela del fallimento (OMISSIS) s.r.l. e per l’effetto lo confermava con condanna dell’opponente alla refusione delle spese di lite.

In virtù di rituale appello interposto dalla M.N. s.r.l., la Corte di appello di Roma, nella resistenza del fallimento appellato, con sentenza n. 6084 del 2017, rigettava l’impugnazione.

Avverso la sentenza della Corte di appello di Roma, la M.N. s.r.l. propone ricorso per cassazione, fondato su un unico motivo.

La curatela del fallimento è rimasta intimata.

Ritenuto che il ricorso potesse essere rigettato, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), su proposta del relatore, regolarmente comunicata al difensore della ricorrente, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

Atteso che:

– con l’unico motivo la società ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., nonchè dei principi del giusto processo. In particolare, ad avviso della ricorrente, la Corte di merito, non ammettendo in appello l’acquisizione della quietanza di pagamento, sebbene rinvenuta solo nel mese di ottobre 2016, a seguito di ristrutturazione dei locali, avrebbe omesso di ricercare la verità sostanziale, ai sensi dell’art. 111 Cost..

Il motivo è privo di pregio.

La sentenza impugnata, nel giustificare l’inammissibilità della produzione documentale tardiva, ha fatto richiamo del D.L. 22 giugno 2012 n. 83, art. 54, comma 1, lett. 0b), del, come convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134, in virtù del quale “non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che la parte dimostri di non aver potuto produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile”. Infatti, la vecchia formulazione dell’art. 345 c.p.c. non più vigente, in base alla quale il giudice era tenuto a valutare l’indispensabilità della prova, prima di dichiararla inammissibile per tardività, risulta superata dalle modifiche apportate dal citato D.L. n. 83 del 2012.

Nel caso di specie, quindi, deve trovare applicazione il nuovo testo della disposizione in commento, giacchè la modifica dell’art. 345 c.p.c., comma 3, operata dal D.L. n. 83 del 2012, trova applicazione, in difetto di una disciplina transitoria ed in virtù del principio tempus regit actum, per tutte le impugnazioni relative a sentenze di primo grado pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della L. n. 134 del 2012, di conv. del citato D.L. n. 83, e, cioè, dal giorno 11 settembre 2012 (Cass. 14 marzo 2017 n. 6590).

Quindi, nella specie, poichè la sentenza di primo grado è stata pubblicata il 18 maggio 2016, la disciplina applicata dal giudice d’appello a sostegno della propria decisione è stata correttamente individuata.

In particolare, per effetto della citata novella, il testo dell’art. 345 c.p.c., comma 3, è stato modificato sopprimendo le parole “(…salvo) che il collegio non li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa ovvero…”. In sostanza, è venuta meno l’ipotesi della indispensabilità della prova e l’unico caso in cui la produzione documentale in appello è tuttora ammissibile è costituito da una “causa non imputabile” alla parte, ossia dal caso fortuito o dalla forza maggiore, circostanza non provata dalla M.N. s.r.l., ma solo allegata.

Tale regolamentazione restrittiva della prova nuova in appello, peraltro, appare sintonica con l’accentuazione della natura del giudizio d’appello come mera revisio prioris instantiae anzichè come iudicium novum, che sta alla base della coeva riforma dell’art. 342 c.p.c..

L’interpretazione testuale della nuova formulazione dell’art. 345 c.p.c. non può essere superata neppure dalla considerazione, d’ordine sistematico, che l’irrigidimento del divieto di prove nuove in appello determinerebbe un’intollerabile scollatura fra la verità materiale e quella processuale. Infatti, la naturale propensione del processo all’accertamento della verità dei fatti va coniugata con il regime delle preclusioni, che numerose operano nel rito civile. Sicchè, la soppressione dell’ipotesi della “prova indispensabile”, quale eccezione al divieto dei nova in appello, si traduce semplicemente nell’accentuazione dell’onere, già certamente immanente, di tempestiva attivazione del convenuto, in attuazione di un principio di lealtà processuale che impone di dedurre immediatamente tutte le possibili difese. Per tale ragione questa Corte ha affermato il seguente principio di diritto: “Nel giudizio di appello, la nuova formulazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3, quale risulta dalla novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni con la L. n. 134 del 2012, applicabile nel caso in cui la sentenza conclusiva del giudizio di primo grado sia stata pubblicata dal giorno 11 settembre 2012 in poi – pone il divieto assoluto di ammissione di nuovi mezzi di prova e di produzione di nuovi documenti, a prescindere dalla circostanza che abbiano o meno quel carattere di “indispensabilità” che, invece, costituiva criterio selettivo nella versione precedente della medesima nonna, fatto comunque salvo che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile”. (Cass. 9 novembre 2017 n. 26522), da cui non vi è ragione di discostarsi.

In conclusione il ricorso deve essere rigettato.

Non essendo state svolge difese dalla controparte rimasta intimata, non vi è pronuncia sulle spese processuali.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto al T.U. di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della VI-2 Sezione Civile, il 4 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 febbraio 2020

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