Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27637 del 03/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 03/12/2020, (ud. 10/12/2019, dep. 03/12/2020), n.27637

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angelina Maria – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. MUCCI Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 28264/2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso

cui è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

R.A.M.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 29/06/12 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE DEL PIEMONTE, depositata il 19 aprile 2012;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10 dicembre 2019 dal Cons. ROBERTO MUCCI.

 

Fatto

CONSIDERATO

che:

1. la CTR del Piemonte ha accolto il gravame interposto da R.A.M., titolare di una gioielleria, avverso la sentenza della CTP di Torino di rigetto del ricorso della stessa contro un avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2004 relativo a IRPEF, IVA e IRAP recuperati a tassazione a seguito di controllo sulla base dello studio di settore, in considerazione della rilevata incoerenza dei crediti IVA con l’andamento del fatturato e con gli indicatori “rotazione di magazzino” e “durata delle scorte”;

2. la CTR ha ritenuto incoerente la ricostruzione operata dall’ufficio poichè: a) a fronte dell’affermata incongruenza di magazzino non è possibile procedere, come nella specie, per mere ipotesi, dovendosi invece verificare nel concreto le rimanenze per supportare idoneamente l’accertamento; b) la supposizione, da parte dell’ufficio, della vendita e omessa contabilizzazione della merce scomparsa nella notte tra il 31 dicembre 2004 e il 1 gennaio 2005, è pienamente smentita dalle denunce presentate dalla contribuente e dalle comprovate difficoltà finanziarie ed economiche incontrate dalla stessa a seguito dei due furti subiti il 31 dicembre 2003 e il 7 febbraio 2004, cui sono poi conseguiti l’arresto dei ladri e l’avvio delle pratiche di risarcimento; c) l’importo dei mancati corrispettivi per il 2004, rilevati a seguito dell’accertamento, coincide proprio con il valore commerciale della merce rubata, senza che l’ufficio abbia calcolato il ricarico analiticamente chiarendo le basi e le modalità di calcolo a garanzia della contribuente; d) al contrario di quanto affermato dagli accertatori, i furti subiti dalla contribuente giustificherebbero la differenza di rimanenze all’esito dell’inventario fisico al 31 dicembre 2004 effettuato nel 2005;

3. avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate affidato a due motivi; R.A.M. non svolge difese.

Diritto

RITENUTO

che:

4. sui motivi di ricorso,

4.1. con il primo motivo l’Agenzia delle Entrate denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2727 c.c., del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62-bis e della L. 8 maggio 1998, n. 146, art. 10: la CTR non avrebbe “tenuto conto che di fronte alle prove presuntive acquisite dall’Ufficio, ivi incluse le risultanze dello studio di settore, e assicurato il contraddittorio con il contribuente (…), spetti a quest’ultimo fornire la prova contraria dei maggiori ricavi accertati” (pp. 12-13 del ricorso), prova contraria tuttavia non sussistente, atteso che la contribuente ha dichiarato un reddito d’impresa risibile e considerate anche il mancato smaltimento delle scorte di magazzino, essendo pertanto emerso dall’accertamento un complessivo comportamento antieconomico, non altrimenti giustificato, ciò che rende legittimi l’accertamento analitico-induttivo e l’applicazione del ricarico dichiarato nello studio di settore;

4.2. con il secondo motivo si denuncia vizio motivazionale poichè la CTR non spiega le ragioni per cui il dato delle rimanenze di magazzino non potrebbe far supporre, ragionevolmente e in assenza di prova contraria, la vendita in nero della merce, anche alla luce delle rimanenze finali dichiarate dalla contribuente per il 2004 e sulle quali i due furti dalla stessa subiti non avrebbero potuto incidere;

5. i due mezzi – che possono essere esaminati congiuntamente poichè entrambi riguardanti, in sostanza, la valutazione dei fatti operata dalla CTR e le conseguenze dalla stessa tratte – sono complessivamente inammissibili;

5.1. invero, la sentenza impugnata, dopo aver esposto le ragioni più sopra richiamate in sintesi (v. punto 2 che precede), così conclude (pp. 7-8): “(… l’accertamento appare, da un lato privo di supporto probatorio, dall’altro carente di motivazione in relazione a suoi elementi essenziali. L’accertamento fondato, quindi, sulla ipotesi che la differenza di rimanenze non fosse spiegabile (e quindi fosse dovuta a ricavi occultati), mentre invece lo era alla luce dei furti e delle rapine subite e del valore di acquisto della merce così come calcolato dai periti delle assicurazioni, deve essere annullato. Ciò perchè la presunzione operata dall’Ufficio è superata dai fatti plurimi documentati e relativi alla sottrazione di merce. L’assenza poi di qualsivoglia effettivo controllo del magazzino da parte dell’Ufficio, così come la mancanza di controlli bancari del contribuente e famigliari pur in presenza di affermati ricavi omessi per 175.000 Euro toglie ogni credibilità all’accertamento. (…)”;

5.2. ebbene, tale motivazione, imperniata sulla critica del modus operandi dell’ufficio, limitatosi a un accertamento “teorico” avulso dal concreto riscontro delle rimanenze di magazzino e dall’opportuno incrocio dei dati contabili con le movimentazioni dei conti, si basa non già su un ragionamento di tipo soltanto presuntivo, bensì su un accertamento pieno in fatto che ha investito la circostanza dei furti subiti dalla contribuente R., eventi dai quali sono conseguiti danni e “difficoltà finanziarie ed economiche della sua attività commerciale” (p. 6 della sentenza), gli uni e le altre non contestati dall’amministrazione;

5.3. dunque il ricorso – che insiste sulla correttezza della ricostruzione presuntiva operata dall’amministrazione nella “ragionevole supposizione” (p. 23 del ricorso) della vendita “in nero” della merce – non si confronta realmente con la detta motivazione e finisce per sollecitare inammissibilmente una nuova valutazione dei fatti tesa a giustificare la ricostruzione alternativa sostenuta dall’amministrazione;

5.4. stante tale accertamento di fatto compiuto dalla CTR, può allora richiamarsi, in tema di limiti di ammissibilità del ragionamento presuntivo, il principio fissato dalla sentenza della Corte di Giustizia UE, 5 ottobre 2016, in causa C-576/15, Maya Marinova ET, nel senso che, seppure gli artt. 2, par. 1, lett. a), 9, par. 1, 14, par. 1, 73 e 273 della direttiva n. 2006/112/CE, nonchè il principio di neutralità fiscale, “devono essere interpretati nel senso che non ostano ad una normativa nazionale ai sensi della quale, in assenza, nel magazzino di un soggetto passivo, delle merci e adesso fornite ed in assenza di registrazione, nella contabilità di tale soggetto passivo, dei documenti fiscali ad esse relativi, l’amministrazione fiscale può presumere che tale soggetto passivo abbia successivamente venduto dette merci a terzi e determinare la base imponibile delle vendite di tali merci in funzione degli elementi di fatto di cui essa dispone, in applicazione di norme non previsto dalla menzionata direttiva”, nondimeno “spetta tuttavia al giudice del rinvio verificare che le disposizioni di tale normativa nazionale non vadano al di là di quanto necessario al fine di assicurare l’esatta riscossione dell’IVA e di evitare l’evasione”.

6. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato; non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di cassazione, essendo la contribuente rimasta intimata.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2020

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