Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27636 del 12/10/2021

Cassazione civile sez. trib., 12/10/2021, (ud. 24/11/2020, dep. 12/10/2021), n.27636

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. FICHERA Giuseppe – Consigliere –

Dott. CORRADINI Grazia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 12570/2013 R.G. proposto da:

Pompea s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via Panama n. 68, presso lo

studio dell’avv. Giuseppe Lomonaco, rappresentata e difesa dall’avv.

Natascia Finotto giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

– controricorrente incidentale –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

– ricorrente incidentale –

e nei confronti di:

Agenzia delle entrate – Direzione regionale della Lombardia, in

persona del Direttore pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia n. 158/44/12, depositata il 23 novembre 2012.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 10 novembre 2020

dal Consigliere Giacomo Maria Nonno.

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. Giacalone Giovanni, che ha concluso per il rigetto

del ricorso principale e l’accoglimento per quanto di ragione del

ricorso incidentale.

Uditi per la ricorrente principale l’avv. Giuseppe Lomonaco anche per

delega dell’avv. Natascia Finotto e per la ricorrente incidentale

l’avv. Gianna Galluzzo.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con la sentenza n. 158/44/12 del 23/11/2012, la Commissione tributaria regionale della Lombardia (di seguito CTR) accoglieva parzialmente l’appello proposto da Pompea s.p.a. nei confronti della sentenza n. 321/40/11 della Commissione tributaria provinciale di Milano (di seguito CTP), che aveva respinto il ricorso proposto dalla società contribuente avverso due avvisi di accertamento per IRES relativi all’anno d’imposta 2004.

1.1. Come emerge anche dalla sentenza impugnata, gli avvisi di accertamento, emessi sulla base dei rilievi contenuti in un processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di finanza di Mantova, riguardavano l’IRES dovuta dalla società contribuente quale società capogruppo, in relazione al bilancio consolidato di gruppo.

1.2. In particolare, le riprese concernevano: i) il computo di interessi attivi con riferimento a finanziamenti infruttiferi infragruppo (sia con obbligo che senza obbligo di restituzione) concessi dalla società contribuente a società controllate estere senza che vi fosse la prova di uno specifico vantaggio dalla stessa conseguito; ii) l’indeducibilità dei costi (interessi passivi) sostenuti dalla controllante per procurarsi la provvista onde concedere finanziamenti alle controllate.

1.3. La CTR motivava il parziale accoglimento dell’appello della società contribuente osservando che: a) con riferimento ai finanziamenti infruttiferi senza obbligo di restituzione concessi a società controllata estera, andava confermata la ripresa concernente gli interessi non percepiti in quanto: 1) la società contribuente non aveva provato “di avere tratto alcun vantaggio da siffatta operazione, al di là dell’affermazione di un mero generico interesse di gruppo”; 2) sussistevano i presupposti applicativi della disciplina di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 110, comma 7, (Testo unico delle imposte sui redditi – TUIR), non essendo stata provata “la pretesa neutralità dell’operazione in ordine alla dedotta contrapposizione maggiori ricavi/maggiori costi”; b) con riferimento alla “rettifica del reddito per 63.797,12 per interessi non percepiti su finanziamenti caratterizzati dall’obbligo di restituzione concessi alla controllata estera Pompea France S.A.” doveva, invece, essere accolta la censura della società contribuente “sul rilievo assorbente che la mancata applicazione degli interessi attivi nei confronti della controllata estera era giustificata dalla messa in liquidazione di quest’ultima società e dalla conseguente necessità di non aggravare la situazione di deficit patrimoniale della controllata, onde rendere più agibile la liquidazione del patrimonio della stessa senza ulteriori aggravi finanziari verso il gruppo”; c) andava, invece, confermata la ripresa concernente “la rettifica del reddito per Euro 130.193,92 conseguenti alla mancanza di inerenza dei costi sostenuti per finanziarsi onde concedere un finanziamento infruttifero alla controllata estera residente in Spagna”: ciò per l’assorbente rilievo “che la normativa interna allo stato spagnolo è irrilevante ai fini del giudizio di non inerenza dei costi sostenuti per tale operazione non altrimenti giustificati”; d) infine, la censura di Pompea s.p.a., concernente “la mancata compensazione del maggiore reddito accertato in capo alla stessa a fronte delle consistenti perdite da essa riportate negli esercizi precedenti all’opzione della tassazione di gruppo”, era fondata, ben potendo la consolidante portare in detrazione le perdite dalla stessa subite.

2. Pompea s.p.a. impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a due motivi, e depositava controricorso avverso il ricorso incidentale di controparte.

3. L’Agenzia delle entrate resisteva con controricorso e proponeva ricorso incidentale, affidato anch’esso a due motivi.

4. Con ordinanza resa all’esito dell’udienza camerale del 12/02/2000 la causa veniva rinviata per essere trattata in pubblica udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va pregiudizialmente rigettata l’eccezione di inammissibilità del controricorso dell’Agenzia delle entrate per asserito difetto di autosufficienza.

1.1. E’ vero che l’atto riporta al suo interno il testo integrale degli avvisi di accertamento, ma è altrettanto vero che lo stesso riassume con sufficiente chiarezza i fatti rilevanti ai fini della decisione e lo svolgimento del processo, sicché non può ritenersi che lo stesso rinvii semplicemente ai predetti avvisi.

2. Con il primo motivo di ricorso principale Pompea s.p.a. deduce la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 110, comma 7, TUIR, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con riferimento ai finanziamenti infruttiferi.

2.1. In buona sostanza, la ricorrente sostiene che la CTR avrebbe erroneamente confermato la ripresa di Euro 20.688,05 sia in quanto l’art. 110, comma 7, TUIR non sarebbe applicabile alla fattispecie in oggetto per assenza dei relativi presupposti, sia perché l’Ufficio avrebbe dovuto provare l’intento elusivo in capo alla società contribuente con argomenti logici e non contraddittori.

3. Il motivo è infondato anche se la motivazione della sentenza impugnata va corretta ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c..

3.1. Diversamente da quanto ritenuto dalla società ricorrente la fattispecie per cui è causa, relativa ad un finanziamento infruttifero, rientra pienamente nella disciplina prevista dall’art. 110, comma 7, TUIR, nella formulazione applicabile ratione temporis, per la quale “I componenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa, sono valutati in base al valore normale dei beni ceduti, dei servizi prestati e dei beni e servizi ricevuti, determinato a norma del comma 2, se ne deriva aumento del reddito; (…)”;

3.2. In proposito, è stato condivisibilmente affermato che la normativa in esame non integra una disciplina antielusiva in senso proprio ma è finalizzata alla repressione del fenomeno economico del transfer pricing (spostamento d’imponibile fiscale a seguito di operazioni tra società appartenenti al medesimo gruppo e soggette a normative nazionali differenti) in sé considerato: la ratio della normativa, quindi, va rinvenuta nel principio di libera concorrenza, sicché la valutazione in base al valore normale (previsto dall’art. 9 TUIR) investe la sostanza economica dell’operazione, che va confrontata con analoghe operazioni realizzate in circostanze comparabili in condizioni di libero mercato tra soggetti indipendenti e prescinde dalla capacità originaria di produrre reddito e da qualsiasi obbligo negoziale (Cass. n. 7493 del 15/4/2016 e Cass. n. 13387 del 30/6/2016 da ultimo v Cass. n. 21828 del 09/10/2020).

3.2.1. Tale impostazione si rivela preferibile rispetto a quella che ritiene l’art. 110, comma 7, TUIR norma da interpretare restrittivamente, introducendo una limitazione della libertà negoziale delle parti e, dunque, riferita alle sole operazioni da cui “derivano” componenti di reddito, ossia a quelle a titolo oneroso (Cass. n. 27087 del 19/12/2014; Cass. n. 15005 del 17/7/2015).

3.2.2. Come puntualmente osservato da Cass. n. 27018 del 15/11/2017, depone nel senso indicato, in primo luogo, la ratio della disposizione “che va colta nel principio di libera concorrenza, enunciato nell’art. 9 del Modello di Convenzione OCSE, la cui considerazione non può che essere unitaria a prescindere dalla natura dell’operazione, sicché restano inclusi nella disciplina in esame anche i finanziamenti infruttiferi internazionali tra imprese controllate/controllanti in funzione dell’esigenza di oggettivare il valore delle operazioni ai soli fini fiscali”.

3.2.3. In secondo luogo, a sostegno di tale conclusione “militano una pluralità di ragioni:

– l’art. 110, comma 7, tuir ha carattere di norma speciale rispetto alle previsioni afferenti la determinazione del reddito da capitale: l’elemento specializzante è costituito dalla circostanza che uno dei due soggetti (appartenenti al medesimo gruppo societario) coinvolti nell’operazione di finanziamento ha sede fuori dal territorio dello Stato; ne deriva l’inapplicabilità dell’art. 45, comma 2, tuir, e l’inopponibilità ai fini fiscali delle eventuali clausole di infruttuosità;

– è irrilevante la connotazione del carattere limitativo della libertà negoziale attribuita alla disciplina del transfer pricing: la ratto della disciplina mira a sostituire il valore soggettivo dell’operazione con quello oggettivo e normalizzato, sicché investe ogni atto gestorio potenzialmente idoneo ad indurre un incremento o decremento dell’imponibile a prescindere dall’assetto giuridico dei rapporti tra le parti, siano essi onerosi o gratuiti;

– non sussiste alcuna esigenza di una interpretazione restrittiva: la locuzione “componenti del reddito derivanti da operazioni” si riferisce non solo a quelli attuali ma anche a quelli che ne sono generati anche solo in via potenziale;

– le attuali linee guida OCSE, pur non riproponendo le specifiche indicazioni già presenti nella versione del 1979 (che affermava la regola generale che all’erogazione di un finanziamento dovesse sempre seguire l’applicazione di interessi laddove, nelle medesime circostanze, questi sarebbero stati pattuiti da soggetti terzi indipendenti), sono univoche nel chiarire (Capitolo VII delle linee guida del 2010, par. 7.14 e 7.15 in ordine all’individuazione e remunerazione dei finanziamenti come servizi infragruppo, nonché 7.19, 7.29 e 7.31 con riguardo alla determinazione del pagamento), che la remunerazione di un finanziamento infragruppo deve avvenire, di norma, attraverso la corresponsione di un tasso di interesse corrispondente a quello che sarebbe stato previsto tra imprese indipendenti in circostanze comparabili”.

3.2.4. Tale assetto, inoltre, si rivela compatibile anche con i principi dell’ordinamento unionale in relazione all’esigenza di tutela della ripartizione equilibrata del potere impositivo tra Stati membri (cfr. CGUE 21 gennaio 2010, in causa C-311/08, Societe’ de Gestion Industrie/le SA, in relazione ai benefici gratuiti – “straordinario e senza contropartita” – concessi da una società residente ad una società stabilita in un altro Stato membro; si veda, da ultimo, anche CGUE 8 ottobre 2020, in causa C-558/19, Pizzarotti).

3.2.5. Ne’ va trascurato che, come già sottolineato da Cass. nn. 7493 e 13387 del 2016, citt., è “irragionevole (…) che l’Amministrazione possa esercitare il potere di rettifica in caso di corrispettivi (…) anche irrisori mentre ciò le sia precluso nell’ipotesi di contratti a titolo gratuito”.

3.3. Da tale impostazione consegue che: a) la qualificazione di infruttuosità del finanziamento, eventualmente operata dalle parti, è ininfluente in quanto in sé inidonea ad escludere l’applicazione del criterio di valutazione in base al valore normale (cfr. Cass. n. 2387 del 29/01/2019); b) “l’Amministrazione finanziaria ha l’onere di provare l’esistenza di transazioni economiche, tra imprese collegate, ad un prezzo apparentemente inferiore a quello normale, ma non anche quello di dimostrare la maggiore fiscalità nazionale o il concreto vantaggio fiscale conseguito dal contribuente (…) mentre spetta al contribuente provare che la transazione è avvenuta in conformità ai valori di mercato normali” (Cass. n. 898 del 16/01/2019).

3.4. La ripresa, pertanto, si appalesa legittima in quanto l’Agenzia delle entrate non ha alcun onere di provare l’intento elusivo della società contribuente, potendosi limitare a far rilevare la presenza di transazioni ad un prezzo apparentemente inferiore a quello normale: il che è in re ipsa nel caso di finanziamenti infruttiferi.

3.5. Grava, invece, sulla società contribuente, come correttamente rilevato dalla CTR, l’onere di giustificare la concessione di un finanziamento infruttifero, onere che, secondo il giudice di appello, con valutazione di merito non sindacabile sotto il profilo della violazione di legge, non è stato assolto.

3.6. Quanto poi alla contraddizione contenuta nell’avviso di accertamento, concernente la determinazione del valore normale, trattasi di questione che Pompea s.p.a. non ha dimostrato di avere dedotto in sede di merito, evidentemente quale vizio della motivazione dell’avviso di accertamento, con conseguente inammissibilità della censura in parte qua.

4. Con il secondo motivo di ricorso principale si contesta la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 109, comma 5, TUIR, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la CTR avrebbe erroneamente ritenuto che gli interessi passivi sui finanziamenti richiesti e utilizzati per finanziare una società controllata estera residente in Spagna non siano giustificati.

5. Il motivo è fondato.

5.1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, “al fini della determinazione del reddito d’impresa, gli interessi passivi, a mente del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, comma 5 e a differenza della precedente normativa contenuta nel D.P.R. n. 597 del 1973, art. 74, sono sempre deducibili, anche se nei limiti della disciplina dettata dal detto D.P.R. n. 917 del 1986, art. 63, che indica misura e modalità del calcolo degli interessi passivi deducibili in via generale, senza che sia necessario operare alcun giudizio di inerenza” (Cass. n. 14702 del 21/11/2001; Cass. n. 2114 del 02/02/2005; Cass. n. 22034 del 13/10/2006; Cass. n. 9380 del 21/04/2009; Cass. n. 10501 del 14/05/2014).

5.2. Si è in proposito chiarito come nella determinazione del reddito d’impresa “resta precluso tanto all’imprenditore quanto all’Amministrazione finanziaria dimostrare che gli interessi passivi afferiscono a finanziamenti contratti per la produzione di specifici ricavi, dovendo invece essere correlati all’intera attività dell’impresa esercitata. Gli interessi passivi, infatti, sono oneri generati dalla funzione finanziaria che afferiscono all’impresa nel suo essere e progredire, e dunque non possono essere specificamente riferiti ad una particolare gestione aziendale o ritenuti accessori ad un particolare costo” (Cass. n. 1465 del 21/01/2009; Cass. n. 12246 del 19/05/2010; si veda, altresì, Cass. n. 10501 del 2014, cit.).

5.3. I giudici di merito non hanno fatto corretta applicazione di detti principi, avendo ritenuto indeducibili gli interessi passivi sui finanziamenti richiesti da Pompea s.p.a. in quanto non giustificati e in ragione dell’inapplicabilità del diritto spagnolo, ma non hanno chiarito se tali finanziamenti siano stati richiesti nell’esercizio dell’attività di impresa, con ciò falsamente applicando le disposizioni richiamate.

6. Con il primo motivo di ricorso incidentale, l’Agenzia delle entrate deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 45,46,89 e 110 TUIR, nonché dell’art. 1815 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziando che, con riferimento al recupero degli interessi attivi derivanti da finanziamenti fruttiferi erogati in favore di una società controllata francese, la CTR avrebbe annullato la ripresa sulla base di valutazioni di convenienza economica del tutto irrilevanti sul piano giuridico.

7. Il motivo è inammissibile.

7.1. Non è dubbio che la ripresa trovi giustificazione nella previsione dell’art. 110, comma 7, TUIR come più sopra interpretato.

7.2. Tuttavia, la CTR, con una valutazione di merito incensurabile sotto il profilo della violazione di legge, ha indicato gli elementi in base ai quali si giustifica la rinuncia agli interessi attivi da parte della società capogruppo, sicché non sussiste la dedotta violazione delle disposizioni di legge richiamate.

8. Con il secondo motivo di ricorso incidentale si contesta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 118 TUIR, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziando che le perdite dichiarate dalle società del gruppo con riferimento ad esercizi anteriori all’opzione per la tassazione consolidata non avrebbero potuto essere utilizzate in compensazione con il reddito di gruppo dichiarato dalla stessa consolidante, in palese violazione del comma 2 della disposizione richiamata.

9. Il motivo è inammissibile.

9.1. La CTR ha affermato che “le perdite conseguite in periodi anteriori all’inizio della tassazione consolidata possono essere utilizzate solo dai soggetti che le hanno generate, per cui ciascun soggetto (sia esso società consolidata o consolidante) compensa le proprie perdite con il proprio imponibile, con la conseguenza che al consolidato nazionale viene trasferito l’eventuale saldo positivo risultante dalla somma algebrica perdite/imponibile. Però in caso di saldo negativo, come si è verificato nel caso di specie, la perdita residua può essere utilizzata negli esercizi successivi dalla consolidata società Pompea che l’ha prodotta, con le medesime modalità, senza trasferirla al consolidato”.

9.2. A seguito di tale affermazione ciò che viene annullato è l’avviso di accertamento “concernente l’IRES dovuta dalla società nella sua qualità di consolidante attesa la sua illegittimità per effetto della compensazione con le suindicate perdite fiscali, riferibili al medesimo soggetto passivo dell’obbligazione tributaria, essendo esse riportabili illimitatamente a scomputo dei successivi redditi imponibili comunque accertati in capo allo stesso soggetto”.

9.3. In buona sostanza, la CTR ha ritenuto che le perdite portate in compensazione da Pompea s.p.a. e riguardanti esercizi anteriori al consolidamento sono quelle concernenti la stessa Pompea s.p.a. e non già le perdite di soggetti diversi e controllati dalla società contribuente.

9.4. Detta interpretazione è pienamente conforme alla previsione di cui all’art. 118, comma 2, TUIR (“Le perdite fiscali relative agli esercizi anteriori all’inizio della tassazione di gruppo di cui alla presente sezione possono essere utilizzate solo dalle società cui si riferiscono”) e ogni altra questione implica una contestazione dell’accertamento di merito compiuto dalla CTR, non suscettibile di essere messo in discussione in sede di legittimità a mezzo di una censura di violazione di legge.

10. In conclusione, va accolto il secondo motivo di ricorso principale, rigettato il primo e il ricorso incidentale; la sentenza impugnata va cassata con riferimento al motivo accolto e rinviata alla CTR della Lombardia, in diversa composizione, per nuovo esame e per le spese del presente giudizio.

10.1. Il provvedimento con cui il giudice dell’impugnazione, nel respingere integralmente la stessa, ovvero nel dichiararla inammissibile o improcedibile, disponga, a carico della parte che l’abbia proposta, l’obbligo di versare – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 – un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto ai sensi del medesimo art. 13, comma 1 bis non può aver luogo nei confronti di quelle parti della fase o del giudizio di impugnazione, come le Amministrazioni dello Stato, che siano istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito (Cass. n. 5955 del 14/03/2014; Cass. n. 23514 del 05/11/2014; Cass. n. 1778 del 29/01/2016).

PQM

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo e il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

Si dà atto che, ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 3, la presente sentenza è sottoscritta unicamente dal Presidente del Collegio per impedimento del Consigliere estensore a recarsi nella città di Roma in ragione dell’emergenza sanitaria Covid-19.

Così deciso in Roma, il 24 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2021

 

 

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