Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27634 del 20/12/2011

Cassazione civile sez. trib., 20/12/2011, (ud. 06/12/2011, dep. 20/12/2011), n.27634

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MERONE Antonio – Presidente –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

P.S., elettivamente domiciliato in Roma, via Alessandro

Farnese n. 7, presso lo studio dell’avv. Berliri Claudio e dell’avv.

Alessandro Cogliati Dezza, che lo rappresentano e difendono per

procura speciale rilasciata a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che le rappresenta e difende;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale dell’Abruzzo, sez. 3 L’Aquila, n. 53, depositata il

23.9.2008;

Letta la relazione scritta redatta dal consigliere relatore dott.

Stefano Olivieri;

constatata la regolarità delle comunicazioni di cui all’art. 380 bis

c.p.c., comma 3.

Fatto

PREMESSO IN FATTO

Con sentenza 23.9.2008 n. 53 pronunciata all’esito del giudizio di rinvio riassunto dalla Agenzia delle Entrate a seguito della pronuncia 19.7.2006 n. 16487 di questa Corte, la CTR dell’Abruzzo ha accolto l’appello proposto dall’Ufficio finanziario ed in totale riforma della decisione di prime cure ha dichiarato legittimo l’avviso di accertamento con il quale venivano recuperati, mediante applicazione di metodo sintetico, maggiori redditi imponibili ai fini IRPEF ed ILOR per l’anno 1993 P.S. ha censurato la sentenza 23.9.2008 n. 53 della CTR abruzzese affidando il ricorso a due motivi:

1-violazione D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6 ed art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3);

2-violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15, comma 1 ed artt. 91, 92 e 385 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

ha resistito con controricorso la Agenzia delle Entrate.

il contribuente ha depositato memoria illustrativa ex art. 380 bis c.p.c., comma 2.

Diritto

RILEVATO IN DIRITTO

che la relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. ha concluso per il rigetto del ricorso;

che le conclusioni del relatore sono condivise dal Collegio.

Il primo motivo è inammissibile.

Dalla lettura delle sentenza e degli atti di parte risulta che la Corte con la sentenza rescindente n. 16487/2006 ha cassato la sentenza di appello statuendo che la rilevazione di disponibilità di denaro liquido (quali quelle rivenienti dalle movimentazioni sui c/c bancari) in ordine alle quali il contribuente non è in grado di fornire alcuna giustificazione alternativa circa la provenienza, integrano prova diretta dei maggiori redditi (e non prova indiretta presuntiva, come invece quella desumibile, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4 in base alle spese – di entità incongrua rispetto ai redditi dichiarati – sostenute dal contribuente nel periodo di imposta), ed i Giudici territoriali si sono uniformati a tale principio di diritto riconoscendo legittimo l’avviso di accertamento nella parte in cui imputava a maggiori redditi gli importi rilevati dai versamenti sui c/c bancari. Ne segue che, se per un verso, la norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6 – secondo cui grava sul contribuente l’onere della prova della esenzione o della tassazione mediante ritenuta alla fonte dei maggiori redditi accertati in base alle movimentazione di conto corrente bancario – appare non conferente con l’argomentazione svolta a sostegno del motivo, non essendo denunciata una violazione della regola sul riparto dell’onere probatorio tra Amministrazione accertatrice e contribuente, dall’altro lato il ricorrente censura con il motivo in esame la omessa valutazione da parte dei Giuridici del rinvio di “argomenti di prova” decisivi (sentenze penali di assoluzione dal reato di omessa dichiarazione fiscale e di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. in relazione ai reati di usura ed estorsione, perizia svolta in sede di indagini preliminari, prodotte in allegalo al ricorso introduttivo avanti la CTP) e non pare dubbio allora che il paradigma del sindacato di legittimità avrebbe dovuto essere il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) e non quello di violazione di norma di diritto sostanziale (tanto in riferimento al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, quanto in riferimento all’art. 116 c.p.c.): come evidenziato, infatti, nella relazione ex art. 380 bis c.p.c. “la incompatibilità tra i due vizi di legittimità è stata ripelutamente affermata da questa Corte in considerazione del diverso oggetto della attività del Giudice cui si riferisce la critica: attività interpretativa della fattispecie normativa astratta che va distinta dalla attività valutativa della fattispecie concreta emergente dalle risultanze probatorie (cfr.

Corte cass. 1^ sez. – 11.8.2004 n. 15499; id. sez. lav. 16.7.2010 n. 16698….vedi Corte cass. 2^ sez. 29.4.2002 n. 6224, id. 3^ sez. 18.5.2005 n. 10385, id. 5^ sez. 21.4.2011 n. 9185 sulla inammissibilità del ricorso con cui si denuncia violazione di norma di diritto deducendo nella esposizione del motivo argomenti a fondamento dei vizio motivazionale della sentenza; id. 3^ sez. 7.5.2007 n. 10295 sulla antinomia tra error in iudicando e vizio di motivazione)”, dovendo ulteriormente precisarsi che la violazione dell’art. 116 c.p.c. “è apprezzabile in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti inammissibile in sede di legittimità” (Corte cass. 1^ sez. 20.6.2006 n. 14267) e che la violazione della norma processuale può, al più. configurare il vizio di “error in procedendo” – denunciabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – nei limitati casi in cui il Giudice applichi il criterio di valutazione del prudente apprezzamento ad una prova per la quale l’ordinamento predetermini ex ante la efficacia legale e, viceversa, ritenga – erroneamente – non applicabile il predetto criterio anche nel caso in cui l’ordinamento non predetermini detta efficacia (Corte cass. 3^ sez. 20.12.2007 n. 26965 ; id. 3^ sez. 18.9.2009 n. 20112).

In relazione al secondo motivo il Collegio aderisce alle conclusioni della relazione ex art. 380 bis c.p.c. argomentate come di seguito trascritto “…il secondo motivo è infondato. Secondo questa Corte infatti, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese processuali (Corte cass. 3^ sez. 4.6.2007 n. 12963). L’applicazione del suddetto principio non può essere frazionato secondo l’esito delle varie fasi del giudizio, ma va riferito unitariamente all’esito finale della lite, non rilevando che in qualche grado o fase del giudizio la parte poi soccombente abbia conseguito un esito a lei favorevole. Ne consegue che con riferimento al regolamento delle spese il sindacato della Corte di cassazione è, pertanto, limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte vittoriosa (Corte cass. 3^ sez. 11.1.2008 n. 406; id. 3^ sez. 1.12.009 n. 25270; id. 1^ sez., 22.7.2009 n. 17145). Ne consegue che con specifico riferimento al giudizio in fase di rinvio va confermata la massima consolidata per cui “in tema di spese processuali, quando il giudizio si articola in più fasi o gradi, se la sentenza conclusiva del giudice d’appello o del rinvio riforma anche parzialmente quella pronunziata in primo grado, l’effetto si estende alla statuizione relativa alle spese processuali, con la conseguenza che detto giudice ha il potere di rinnovare totalmente la regolamentazione delle spese, considerando l’esito complessivo della lite” (cfr. Corte cass. 2^ sez. 21.11.2000 n. 1005; id. 2^ sez. 17.4.2002 n. 5497; id. sez. lav. 18.6.2003 n. 9783; id. sez. lav. 22.12.2009 n. 26985 – atteso che, in base al principio di cui all’art. 336 cod. proc. civ., la riforma della sentenza del primo giudice determina la caducazione del capo della pronuncia che ha statuito sulle spese)…..”.

Ritenuto:

che il ricorso del contribuente deve essere pertanto rigettato con conseguente condanna alla rifusione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

la Corte: rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 6.000,00 per onorari oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2011

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