Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27633 del 11/10/2021

Cassazione civile sez. trib., 11/10/2021, (ud. 06/10/2021, dep. 11/10/2021), n.27633

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. MELE Maria Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13710-2018 proposto da:

TRE ESSE ITALIA S.r.L., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, presso lo studio

dell’Avvocato STEFANO GUIDOTTI, rappresentata e difesa dall’Avvocato

RENATO CICERCHIA giusta procura speciale estesa in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

M.G.;

COMUNE DI PONTECORVO, in persona del Sindaco pro tempore;

– intimati –

avverso la sentenza n. 6093/18/17 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE del LAZIO, depositata il 23/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 6/10/2021 dal Consigliere Relatore Dott.ssa

ANTONELLA DELL’ORFANO.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

Tre Esse S.r.L. propone ricorso, affidato a tre motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale del Lazio aveva respinto l’appello avverso la sentenza n. 30/2016 della Commissione Tributaria Provinciale di Latina, che aveva accolto parzialmente il ricorso proposto da M.G. avverso avviso di accertamento per il recupero della Tassa Rifiuti Solidi Urbani dovuta al Comune di Pontecorvo, annualità 2008-2009;

il contribuente ed il Comune sono rimasti intimati;

la società ricorrente ha infine depositato memoria difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.1. con il primo mezzo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione di norme di diritto (D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, commi 1, 2 e 3, artt. 63 e 70 e artt. 2697 c.c., artt. 40 e 46 Regolamento del Comune di Pontecorvo avente ad oggetto “lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani-Regolamento per la disciplina del servizio e l’applicazione della tassa”, approvato con Delib. del Consiglio Comunale n. 27 del 1995 e s.m.i.) in quanto la sentenza impugnata avrebbe erroneamente ritenuto non imponibili ai fini Tarsu gli immobili del contribuente in quanto utilizzati per la produzione agricola sul “suolo naturale”, omettendo di rilevare che su tali terreni veniva svolta l’attività di vendita al pubblico delle piante prodotte e che il contribuente non aveva inoltre ottemperato all’obbligo di effettuare la denuncia originaria (o di variazione) ai fini Tarsu per i beni in suo possesso, non richiedendo quindi l’esenzione per le superfici asseritamente improduttive di rifiuti o produttive di rifiuti speciali e non documentando la sussistenza del diritto all’esenzione;

1.2. con il secondo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, nullità della sentenza per motivazione apparente, tale da non consentire di comprendere le ragioni della decisione in ordine all’illegittimità dell’atto impugnato;

1.3. con il terzo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, rappresentato dalla natura commerciale delle attività svolte dal contribuente negli immobili oggetto dell’accertamento, avendo lo stesso dichiarato che il locale in questione era utilizzato per la produzione e la vendita al pubblico di piante e fiori;

2.1. va disattesa la seconda censura, da esaminare preliminarmente;

2.2. la giurisprudenza di questo giudice di legittimità ha affermato che si ha motivazione omessa o apparente quando il giudice di merito omette di indicare, nel contenuto della sentenza, gli elementi da cui ha desunto il proprio convincimento ovvero, pur individuando questi elementi, non procede ad una loro disamina logico-giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. n. 16736/2007);

2.3. ciò non ricorre nel caso in esame, laddove la C.T.R., sia pure in maniera sintetica, ha ritenuto di dovere confermare quanto statuito dai giudici di primo grado in ordine all’infondatezza dell’accertamento tenuto conto che l’attività di produzione esercitata dal contribuente era svolta su “suolo naturale”, per cui la tassa non risultava dovuta;

2.4. si tratta di una motivazione che non può considerarsi meramente apparente, in quanto esplicita le ragioni della decisione, escludendone l’inidoneità ad assolvere alla funzione cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 (cfr. Cass. 5315/2015);

3.1. sono fondate le rimanenti censure, da esaminare congiuntamente, in quanto strettamente connesse;

3.2. il presupposto impositivo della TARSU, ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 1, è l’occupazione o la detenzione di locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti, ed ai sensi del successivo comma 2, non sono soggetti alla tassa i locali e le aree che non possono produrre rifiuti o per la loro natura o per il particolare uso cui sono stabilmente destinati o perché risultino in obiettive condizioni di non utilizzabilità nel corso dell’anno, qualora tali circostanze siano indicate nella denuncia originaria o di variazione e debitamente riscontrate in base ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o ad idonea documentazione;

3.3. l’art. 62 pone, quindi, a carico dei possessori di immobili una presunzione legale relativa di produzione di rifiuti, al che consegue che l’impossibilità dei locali o delle aree a produrre rifiuti per loro natura o per il particolare uso, prevista dall’art. 62, comma 2, non può essere ritenuta in modo presunto dal giudice tributario, essendo onere del contribuente indicare nella denuncia originaria o di variazione le obiettive condizioni di inutilizzabilità, le quali devono essere “debitamente riscontrate in base ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o ad idonea documentazione” (cfr. Cass. n. 17622/2016, n. 6710/2014, n. 11351/2012, n. 17703/2004);

3.4. il contribuente, difatti, è tenuto, in base all’art. 70 del medesimo decreto, a presentare al Comune, entro il 20 gennaio dell’anno successivo all’inizio dell’occupazione dei locali e delle aree scoperte tassabili, “denuncia unica” con l’indicazione dei dati prescritti, avente “effetto anche per gli anni successivi, qualora le condizioni di tassabilità siano rimaste invariate”, dovendo, in caso contrario, “denunciare, nelle medesime forme, ogni variazione” rilevante (cfr. Cass. n. 16858/2014, n. 14469/2014, n. 3772/2013, n. 775/2011);

3.5. come è stato opportunamente evidenziato dalla Corte, l’applicazione di una determinata tariffa ai fini TARSU è indipendente dalla destinazione d’uso dell’immobile, in quanto lo stesso legislatore, con il D.Lgs. n. 507, art. 62, comma 4, ha conferito agli enti locali il potere di applicare la tariffa in base all’attività economica concretamente svolta all’interno dell’immobile (cfr. Cass. n. 5358/2020), e nel caso di specie, con la Delib. n. 27 del 1995 (trascritta in parte qua nel ricorso) il Comune di Pontecorvo risulta aver inoltre assimilato i rifiuti agricoli a quelli urbani ed assoggettando a tassazione le relative superfici sulle quali siano prodotti i suddetti rifiuti;

3.6. la sentenza impugnata, nel riconoscere il diritto all’esenzione dalla TARSU dell’area destinata ad “attività di produzione… svolta su suolo naturale”, superando attraverso il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 5, l’esercizio legittimo, da parte del Comune, della discrezionalità riservata dalla legge all’ente impositore, nella fissazione delle tariffe, e comunque nel proporre per gli immobili di cui sopra un sostanzialmente identico trattamento tariffario, si è posta dunque in contrasto con i principi di diritto affermati in materia da questa Corte (cfr. Cass. nn. 17622/2016, 17623/2016 e 1711/2017) e, quindi, va cassata;

4. non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., decidendo nel merito, va quindi rigettato il ricorso proposto dal contribuente;

5. il consolidarsi della giurisprudenza di legittimità dopo la proposizione del ricorso originario giustifica la compensazione delle spese del merito, mentre le spese del giudizio di legittimità, a carico di M.G., seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo e terzo motivo di ricorso, respinto il primo, e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente; compensa le spese dei gradi di merito; condanna l’intimato M.G. al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 2.800,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettarie spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, tenutasi in modalità da remoto, della Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, il 6 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2021

 

 

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