Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27632 del 21/11/2017


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Civile Ord. Sez. 2 Num. 27632 Anno 2017
Presidente: MATERA LINA
Relatore: DONGIACOMO GIUSEPPE

ORDINANZA
sul ricorso 25329-2014 proposto da:
s.r.l. MARA, elettivamente domiciliata a Roma, via Portuense,
4b.

n. 104, presso lo studio ANTONIA DE ANGELIS, e
rappresentata e difesa dall’Avvocato GIUSEPPE LONGHEU, per
procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente contro
PEDRONI ROSA ANNA, nella qualità di erede di GIAGHEDDU
PIETRO, elettivamente domiciliata a Roma, via Panama, n. 95,
presso lo studio dell’Avvocato FRANCO PICCIAREDDA che,
unitamente all’Avvocato SERGIO PINNA, la rappresenta e
difende, anche disgiuntamente, per procura speciale in calce al
controricorso;
– controricorrente –

Ric. n. 25329 del 2014, Sez. 2,

99-I5S

CC del 11 ottobre 2017

Data pubblicazione: 21/11/2017

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avverso la sentenza n. 364/2013 della CORTE D’APPELLO di
CAGLIARI – SEZIONE DISTACCATA di SASSARI, depositata
1’11/9/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
del 11/10/2017 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO

Pietro Giagheddu, con citazione notificata il 7/12/1989, ha
convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Tempio Pausania,
Mario Mancini e la s.r.l. Mara, deducendo: di aver assunto, nei
confronti del Mancini, l’obbligo di stipulare un contratto di
permuta in forza del quale gli avrebbe trasferito un terreno
destinato all’edificazione, sito nel Comune di Loiri Porto San
Paolo, località “Porto Taverna”, mentre il Mancini si era
obbligato a trasferire in suo favore, una volta realizzato il
programmato complesso residenziale, il 30% delle volumetrie
consentite; che la compravendita del terreno ed i successivi
contratti erano stati stipulati con la s.r.l. Mara, di cui il Mancini
era amministratore unico; che l’appartamento offertogli aveva
una volumetria nettamente inferiore rispetto a quella pattuita.
L’attore ha, quindi, chiesto che il tribunale dichiarasse, ai
sensi dell’art. 2932 c.c., il trasferimento in suo favore del 30%
della volumetria pattuita, da individuarsi, in parte,
nell’appartamento già assegnatogli e, per la parte residua, con
l’individuazione di altra unità immobiliare dello stesso
complesso.
Il Mancini ha eccepito il difetto della sua legittimazione
passiva. Entrambi i convenuti hanno, comunque, chiesto il
rigetto della domanda perché infondata.
Il tribunale di Tempio Pausania, con sentenza non
definitiva del 27/12/2006 e poi, a seguito di consulenza tecnica
d’ufficio, con sentenza definitiva dell’11/10/20 , verso,
Ric. n. 25329 del 2014, Sez. 2, CC del 11 ottobre 2017

I FATTI DI CAUSA

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ha riconosciuto a Pietro Giagheddu il diritto ad una percentuale
pari al 30% della volumetria oggetto di concessione, senza
detrazione alcuna in ragione del cd. Decreto Floris, ritenuto
non applicabile, e, per altro verso, ha determinato le
volumetrie complessivamente realizzate dalla Mara s.r.l. in

1.741,50, per cui la quota del 30% spettante all’attore era pari
a mc. 522,45.
Il tribunale, invece, ha rigettato la domanda proposta
dall’attore volta al trasferimento in suo favore, ai sensi dell’art.
2932 c.c., di specifiche porzioni immobiliari, mancando, nel
contratto preliminare, gli elementi identificativi delle porzioni
volumetriche da attribuire al Giacheddu.
La s.r.l. Mara ha proposto appello nei confronti di
entrambe le sentenze, deducendo, innanzitutto, che il
tribunale, al pari del consulente tecnico di ufficio, aveva
erroneamente calcolato il 30% della cubatura spettante al
Giacheddu con riferimento non già al terreno oggetto della
permuta bensì a tutti i terreni la cui cubatura era stata
utilizzata per la realizzazione del complesso immobiliare,
comprendendovi anche un terreno di proprietà personale del
Mancini, per cui la percentuale di spettanza dell’attore andava
calcolata su una cubatura inferiore; l’appellante, inoltre, ha
censurato la sentenza del tribunale per non aver tenuto conto
neppure del fatto che parte del terreno permutato era privo di
cubatura, in quanto ricadente in zona H; l’appellante, infine, ha
dedotto che la sentenza ha riconosciuto all’attore la cubatura
concordata nonostante il fatto che il 20% dell’intera cubatura
fosse stata destinata, come imposto dal Comune in base al cd.
decreto Floris, a strutture recettive.

Ric. n. 25329 del 2014, Sez. 2, CC del 11 ottobre 2017

base alla concessione edilizia rilasciatale dal Comune in mc.

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Rosa Anna Pedroni, erede di Giagheddu, nelle more
deceduto, si è costituita in giudizio ed ha insistito per il rigetto
del gravame, proponendo, contestualmente, appello
incidentale con il quale ha chiesto che, in riforma della
sentenza definitiva, fosse trasferito in suo favore, ai sensi

dalla società, già in suo possesso, ed avente una superficie di
mq. 75,12 e di mc. 317,72.
La corte d’appello di Cagliari – sez. distaccata di Sassari,
con sentenza dell’11/9/2013, ha rigettato l’appello principale e
dichiarato inammissibile l’appello incidentale.
A sostegno di tale decisione, per quanto ancora rileva, la
corte, sul presupposto che la quota del Giagheddu dovesse
essere calcolata sulla “volumetria legalmente realizzata” e,
quindi, consentita in forza di concessione edilizia (“volumetria
oggetto di concessione”), ha ritenuto, per un verso, che non
assumesse alcun rilievo che una parte del terreno
complessivamente utilizzato ai fini della volumetria, in quanto
compresa in zona H, era priva di cubatura, posto che “di essa il
Comune … non aveva, evidentemente, tenuto conto ai fini della
volumetria da concedere per la realizzazione del complesso
edilizio”, e, per altro verso, che, come accertato dal consulente
tecnico di ufficio nominato nel giudizio d’appello,

“non è

risultato che aree diverse rispetto a quelle … provenienti da
Gi-agheddu Pietro abbiano concorso alla realizzazione di detta
volumetria”, essendo, piuttosto, emerso che la società Mara
“non ebbe, ai fini della concessione della relativa volumetria,
ad utilizzare i soli terreni acquistati dal Giagheddu, bensì anche
un ulteriore terreno, dell’estensione di mq. 3.450, che, di
proprietà del medesimo Giagheddu, era stato asservito ai fini
della costruzione”.
Ric. n. 25329 del 2014, Sez. 2, CC del 11 ottobre 2017

dell’art. 2932 c.c., la proprietà dell’appartamento già offertogli

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La s.r.l. Mara, con ricorso notificato il 16.17/10/2014 e
depositato il 11/11/2014, ha chiesto, per due motivi, la
cassazione della sentenza, non notificata, della corte d’appello.
Ha resistito Rosa Anna Pedroni, con controricorso
notificato in data 24/11/2014 e depositato il 10/12/2014.

in data 14/9/2017, ha chiesto il rigetto del ricorso.
Le parti hanno depositato memorie.
LE RAGIONI DELLA DECISIONE

1.

Con il primo motivo, la ricorrente, denunciando la

violazione e la falsa applicazione degli artt. 1346, 1418 e 1421
c.c, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato la
sentenza impugnata per non avere rilevato, pur essendo stati
acquisiti al processo tutti gli elementi a tal fine idonei, la nullità
dei contratti preliminari stipulati il 4/10/1984 ed il 20/12/1985,
che l’attore ha azionato, nonostante la mancanza, nel relativo
testo scritto, di un oggetto determinato o, quantomeno,
determinabile, come, del resto, ritenuto dallo stesso tribunale il
quale, nel rigettare la domanda proposta ai sensi dell’art. 2932
c.c., ha evidenziato come, ai fini della pronuncia prevista da
quest’ultima norma, l’esatta individuazione del bene, con
l’indicazione dei confini e dei dati catastali, deve
necessariamente risultare dal contratto preliminare, non
essendo possibile ricorrere a dati non attingibili da altra
documentazione, laddove, nella specie, gli elementi
identificativi delle porzioni volumetriche destinate ad essere
attribuite in proprietà al Giagheddu non risultneterminate né
esattamente determinabili sulla scorta dei contratti che lo
stesso ha invocato in giudizio.
2. La controricorrente, dal suo canto, ha eccepito che la
ricorrente, oltre a non avere interesse all’impugnazione, non ha
Ric. n. 25329 del 2014, Sez. 2, CC del 11 ottobre 2017

Il Pubblico Ministero, con le conclusioni scritte depositate

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impugnato, con l’atto di appello, la statuizione con la quale il
tribunale aveva riconosciuto all’attore il diritto al 30% della
volumetria realizzata, la quale, pertanto, è passata in
giudicato.
3. Il motivo è infondato. L’appello che la s.r.l. Mara ha

(v. p. 4 e 5 del ricorso), ha riguardato unicamente la
correttezza dei criteri di determinazione della cubatura
spettante all’attore, ma non anche l’esistenza (e, quindi, la
validità) dell’impegno negoziale assunto dalla stessa nei
confronti di quest’ultimo, sicché la pronuncia con la quale il
tribunale gli ha riconosciuto, in forza ti tale accordo, il diritto ad
una percentuale di volumetria pari al 30% di quella oggetto di
concessione, è diventata, in parte qua, definitiva. Ed è noto
come l’efficacia preclusiva conseguente al giudicato, tanto
interno, quanto esterno, si realizza non soltanto impedendo la
deduzione, innanzi allo stesso o ad un diverso giudice, dei fatti
costitutivi nonché dei fatti estintivi, modificativi ed impeditivi
già dedotti, ma anche precludendo la deduzione, nello stesso o
in un diverso giudizio, di quei fatti che, in quanto già compresi
nella fattispecie giuridicamente rilevante per determinare
l’esistenza o l’inesistenza del diritto azionato (e cioè dei suoi
fatti costitutivi e/o dei correlativi fatti estintivi, modificativi ed
impeditivi), erano, come tali, senz’altro deducibili innanzi al
primo o allo stesso giudice, compresi quelli che fondano
eccezioni rilevabili d’ufficio, come la nullità del contratto:
“l’autorità della cosa giudicata ostacola l’ulteriore deduzione dei
fatti costitutivi, impeditivi, modificativi o estintivi del diritto
sostanziale imperativamente accertato, sia essi stati fatti
valere oppure no nel corso del giudizio anteriore”, pur se, in
ipotesi, ignorati (Cass. n. 8784/1993, per cui l’autorità del
Ric. n. 25329 del 2014, Sez. 2, CC del 11 ottobre 2017

proposto, infatti, per come la stessa ricorrente l’ha ricostruito

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giudicato – salva la configurabilità di un caso di revocazione
che consenta l’esperimento della relativa azione – copre sia il
dedotto che il deducibile, senza che assuma rilievo l’ignoranza,
da parte di colui contro il quale si sia formato il giudicato, di
fatti che avrebbero potuto dare fondamento ad azioni o

giurisprudenza costante e consolidata di questa Corte,
l’efficacia del giudicato si estende, oltre a quanto dedotto dalle
parti (cd. giudicato esplicito), anche alle ragioni di fatto o di
diritto che si presentano come un antecedente logico
necessario della pronuncia (cd. giudicato implicito) e che,
pertanto, non possono essere fatte valere, nello stesso o in un
successivo giudizio, per contrastare il diritto definitivamente
accertato (Cass. n. 7774/2012). In particolare, il giudicato,
formatosi con la sentenza intervenuta tra le parti, copre il
dedotto e il deducibile in relazione al medesimo oggetto, e cioè
non soltanto le ragioni giuridiche e di fatto esercitate in
giudizio, ma anche tutte le possibili questioni, proponibili sia in
via di azione, sia in via di eccezione, le quali, sebbene non
dedotte specificamente, costituiscono precedenti logici,
essenziali e necessari, della pronuncia (Cass. n. 14535/2012),
come l’esistenza e la validità del contratto dedotto in giudizio
quale fonte del credito azionato (Cass. n. 6628/2006; cfr. in tal
senso Cass. n. 6738/2014, in motiv., con riguardo
all’estensione dell’effetto preclusivo del giudicato formatosi
sull’accertamento di un diritto di credito alle questioni relative
alla validità e all’efficacia del titolo da cui lo stesso deriva; e
Cass. SU n. 26242/2014, in motiv., per cui, ove “i/ giudice
accoglie la domanda (di adempimento, …) la pronuncia è
idonea alla formazione del giudicato implicito sulla validità del

Ric. n. 25329 del 2014, Sez. 2, CC del 11 ottobre 2017

eccezioni non fatte valere). D’altra parte, secondo la

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negozio (salva rilevazione officiosa del giudice di appello)”, ciò

che, nella specie, non è accaduto).
4. Con il secondo motivo, la società ricorrente, lamentando
l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è
stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 n.

la stessa ha rigettato l’appello senza tener conto dei fatti,
oggetto di contraddittorio tra le parti, che sono indicati nella
consulenza tecnica di ufficio che la stessa corte ha disposto, e
cioè, precisamente, che: la Mara s.r.l. ha acquistato
complessivamente dal Giagheddu mq. 4650 di terreno con
indice di fabbricabilità di 0,30 mc x mq; che il Giagheddu, pur
conservandone la proprietà, ha asservito a favore di Mara s.r.l.
un altro terreno della superficie di mq 3450 avente lo stesso
indice di fabbricabilità di 0,30 mc x mq; che una superficie di
mq 286 del terreno permutato dal Giagheddu è privo di
suscettività edificatoria perché ricadente in Zona Omogenea H
del Pdf; che la volumetria consentita dai predette terreni, ivi
compreso quello asservito, assomma a mc. 2.109,78, dai quali
sono da detrarsi mc. 780 relativi a strutture edilizie
preesistenti, per cui residua una volumetria utilizzabile dalla
società di mc. 1329,78, sicché il 30% delle volumetrie di
spettanza di Giagheddu ammonta a mc. 398,93; e che la Mara
s.r.I., alla data del 22/4/2004, aveva realizzato nell’intero
compendio di Porto Taverna fabbricati per mc. 1688,16, parte
dei quali sottoposti a procedura di condono edilizio: fatti,
questi, che, se esaminati, avrebbero indotto la corte – ha
concluso la ricorrente – a ridurre notevolmente, se non ad
eliminare del tutto, le volumetrie assegnate al Giagheddu dalla
sentenza di primo grado, posto che “le volumetria consentita
dalle superfici compravendute erano di gran lun•. feriori a
Ric. n. 25329 del 2014, Sez. 2, CC del 11 ottobre 2017

5 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui

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quelle erroneamente accertate ed attribuite dalla sentenza di
primo grado”.
5. Il motivo è ammissibile ma infondato. Quanto al primo
profilo, la Corte rileva che, nel caso di specie, il giudizio di
appello è stato introdotto in data senz’altro anteriore

54, comma 2, del d.l. n. 83 del 2012, conv. con I. n. 134 del
2012 – l’art. 348 ter, comma 5, c.p.c., nella parte in cui
prevede che la sentenza d’appello che conferma la decisione di
primo grado per le stesse ragioni, inerenti le questioni di fatto,
poste a base della decisione appellata, non è impugnabile per
cassazione ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c.. Quanto al
secondo profilo, la sentenza impugnata è stata depositata dopo
1’11/9/2012 e trova, dunque, applicazione l’art. 360 n. 5 c.p.c.
nel testo in vigore successivamente alle modifiche apportate
dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni
con la I. n. 134 del 2012, a norma del quale la sentenza può
essere impugnata con ricorso per cassazione solo in caso
omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato
oggetto di discussione tra le parti. Ed è noto come, secondo le
Sezioni Unite (n. 8053/2014), la norma consente di denunciare
in cassazione – oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta
in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in
definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella “mancanza
assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella
“motivazione apparente”,

nel

“contrasto irriducibile tra

affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed
obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza
del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – solo il
vizio dell’omesso esame di un fatto storico, principale o
secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o
Ric. n. 25329 del 2014, Sez. 2, CC del 11 ottobre 2017

all’11/9/2012, per cui non trova applicazione – ai sensi dell’art.

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dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di
discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire
che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della
controversia (Cass. n. 14014/2017, in motiv.; Cass. n.
9253/2017, in motiv.; Cass. n. 7472/2017).

366, comma 1°, n. 6, e 369, comma 2°, n. 4, c.p.c., il
ricorrente deve indicare non una questione o un punto della
sentenza, quanto il “fatto storico”, principale (e cioè il fatto
costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) ovvero
secondario (cioè dedotto in funzione di prova di un fatto
principale), il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o
extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il
“quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione
processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. n.
14014/2017, in motiv.; Cass. n. 9253/2017, in motiv.; Cass.
n. 20188/2017, in motiv.).
Il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con
quelli posti a fondamento della pronuncia, è, quindi, idoneo ad
integrare il vizio di omesso esame di un fatto decisivo solo se
le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare,
con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia
probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento è
fondato, onde la “ratio decidendi” viene a trovarsi priva di
fondamento (Cass. n. 20188/2017, in motiv.).
L’omesso esame di elementi istruttori non dà luogo,
invece, al vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il
fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in
considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia
dato conto di tutte le risultanze istruttorie (Cass. n.
9253/2017, in motiv.).
Ric. n. 25329 del 2014, Sez. 2, CC del 11 ottobre 2017

Ne consegue che, nel rispetto delle previsioni degli artt.

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Nel caso in esame, la società ricorrente ha dedotto, quali
fatti decisivi che la sentenza impugnata avrebbe omesso di
esaminare, talune delle circostanze che risultano dalla
consulenza tecnica di ufficio disposta dalla corte d’appello, vale
a dire: che la Mara s.r.l. ha acquistato complessivamente dal

0,30 mc. x mq.; che Giagheddu, pur conservandone la
proprietà, ha asservito a favore di Mara s.r.l. un altro terreno
della superficie di mq. 3450 avente lo stesso indice di
fabbricabilità di 0,30 mc. x mq.; che una superficie di mq. 286
del terreno permutato dal Giagheddu è privo di suscettività
edificatoria perché ricadente in Zona Omogenea H del Pdf; che
la volumetria consentita dai predette terreni, ivi compreso
quello asservito, assomma a mc. 2.109,78, dai quali sono da
detrarsi mc. 780 relativi a strutture edilizie preesistenti, per
cui residua una volumetria utilizzabile dalla società di mc
1329,78, sicché il 30% delle volumetrie di spettanza di
Giagheddu ammonta a mc. 398,93; e che la Mara s.r.I., alla
data del 22/4/2004, aveva realizzato nell’intero compendio di
Porto Taverna fabbricati per mc. 1688,16, parte dei quali
sottoposti a procedura di condono edilizio.
Rileva, tuttavia, la Corte, per un verso, che la consulenza
tecnica non è stata riprodotta integralmente nel ricorso,
rendendo, così, impossibile la reale comprensione delle
relative conclusioni, e, per altro verso, ed in ogni caso, che la
sentenza impugnata ha, direttamente o indirettamente, dato
conto, nei limiti dei corrispondenti motivi d’appello, dei fatti
predetti.
La corte d’appello, infatti, sul presupposto che la quota
del Giagheddu, pari al 30%, dovesse essere calcolata sulla
“volumetria legalmente realizzata” e, quindi, consentita in
Ric. n. 25329 del 2014, Sez. 2, CC del 11 ottobre 2017

Giagheddu mq. 4650 di terreno con indice di fabbricabilità di

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forza di concessione edilizia

(“volumetria oggetto di

concessione”), ha ritenuto, per un verso, che non assumesse
alcun rilievo che una parte del terreno complessivamente
utilizzato ai fini della volumetria, in quanto compresa in zona
H, era priva di cubatura, posto che “di essa il Comune … non

concedere per la realizzazione del complesso edilizio”, e, per
altro verso, che, come accertato dal consulente tecnico di
ufficio nominato nel giudizio d’appello, “non è risultato che
aree diverse rispetto a quelle … provenienti da Giagheddu
Pietro abbiano concorso alla realizzazione di detta volumetria”,
essendo, piuttosto, emerso che la società Mara “non ebbe, ai
fini della concessione della relativa volumetria, ad utilizzare i
soli terreni acquistati dal Giagheddu, bensì anche un ulteriore
terreno, dell’estensione di mq. 3.450, che, di proprietà del
medesimo Giagheddu, era stato asservito ai fini della
costruzione”.

La corte, quindi, rigettando l’appello e

confermando la sentenza del tribunale, ha, implicitamente ma
inequivocamente, confermato, per il resto, l’accertamento che
lo stesso ha operato in ordine alla misura complessiva della
volumetria edificabile e, quindi, alla quota di spettanza del
Giagheddu.
La valutazione degli elementi istruttori costituisce, del
resto, un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento
discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine
alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in
cassazione (Cass. n. 11176/2017, in motiv.).
Nel quadro del principio, espresso nell’art. 116 c.p.c., di
libera valutazione delle prove (salvo che non abbiano natura di
prova legale), il giudice civile, infatti, ben può apprezzare
discrezionalmente gli elementi probatori acquisiti e ritenerli
Ric. n. 25329 del 2014, Sez. 2, CC del 11 ottobre 2017

aveva, evidentemente, tenuto conto ai fini della volumetria da

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sufficienti per la decisione, attribuendo ad essi valore
preminente e così escludendo implicitamente altri mezzi
istruttori richiesti dalle parti.
Il relativo apprezzamento è insindacabile in sede di
legittimità, purché risulti logico e coerente il valore preminente

n. 11176/2017).
Ed è noto che non è compito di questa Corte quello di
condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti
contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad
una rilettura degli elementi di fatto posti fondamento della
decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle
prove a quella compiuta dal giudici di merito (Cass. n.
3267/2008).
La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza
impugnata conferisce, infatti, al giudice di legittimità non il
potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale
sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto
il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logicoformale, del ragionamento probatorio (così come &or
_Lo) è reso
manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato)
svolto dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva il
compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di
assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la
concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del
processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la
veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando, così, liberamente
prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i
casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass. n.
20188/2017, in motiv.; Cass. n. 11176/2017, in motiv.).
D’altra parte, ammesso che possa rilevare, la motivazione
Ric. n. 25329 del 2014, Sez. 2, CC del 11 ottobre 2017

attribuito, sia pure per implicito, agli elementi utilizzati (Cass.

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omessa o insufficiente è configurabile solo quando dal
ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla
sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi
che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero
quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della

sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma
non già quando, invece, vi sia difformità rispetto alle attese ed
alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato
dal primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi,
altrimenti, il motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di
revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo
tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto,
certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di
cassazione (Cass. SU n. 24148/2013).
Nel caso di specie, i giudici di merito hanno, in modo logico
e coerente, indicato le ragioni per le quali hanno ritenuto che, in
fatto, la quota spettante al Giagheddu dovesse essere
determinata in mc. 522,45: e l’esistenza di tale motivazione,
non apparente né manifestamente illogica, esclude – corretta o
meno che sia – la sussistenza del vizio invocato.
6.

Il ricorso dev’essere, in definitiva, respinto.

7.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono

liquidate, d’ufficio, in dispositivo.
8.

La Corte dà atto della sussistenza dei presupposti

per l’applicabilità dell’art. 13, comma

1-quater, del d.P.R. n.

115/2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della I. n.
228/2012.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti a
rimborsare ai controricorrenti le spese di lite, che liquida in C.
Ric. n. 25329 del 2014, Sez. 2, CC del 11 ottobre 2017

medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto,

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3.700, 00, di cui C. 200,00 per esborsi, oltre spese generali per
il 15% ed accessori come per legge. Dà atto della sussistenza
dei presupposti per l’applicabilità dell’art. 13, comma 1-quater,
del d.P.R. n. 115/2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma
17, della I. n. 228/2012.

Sezione Seconda Civile, il 11 ottobre 2017.
Il Presidente
dr.

Lina Matera

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DEPOSITATO IN CANCELLERIA
Roma, 21 NOV. 2017

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della

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