Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27632 del 03/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 03/12/2020, (ud. 11/11/2020, dep. 03/12/2020), n.27632

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 13580/2019 R.G. proposto da:

T.M., rappresentata e difesa, per procura speciale in calce al

ricorso, dall’avv. Letizia ESPOSITO, presso il cui studio legale,

sito in Roma, alla piazza A. Mancini, n. 4, è elettivamente

domiciliata;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del

Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla

via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7422/17/2018 della Commissione tributaria

regionale del LAZIO, depositata il 25/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del giorno 11/11/2020 dal Consigliere Lucio LUCIOTTI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. In controversia relativa ad impugnazione dell’estratto di ruolo relativo a quattro cartelle di pagamento emesse a carico di T.M., la quale sosteneva non esserle mai state regolarmente notificate, quest’ultima ricorre per cassazione, sulla base di tre motivi, nei confronti dell’agente della riscossione, che replica con controricorso, avverso la sentenza in epigrafe indicata con la quale la CTR del Lazio aveva rigettato l’appello della contribuente avverso la sfavorevole sentenza di primo grado, dichiarando l’inammissibilità del motivo di appello con cui era stato dedotto l’irregolare costituzione in giudizio dell’ADER, perchè effettuata a mezzo di avvocato del libero foro, e la regolarità delle notifiche di tre delle cartelle di pagamento impugnate, condividendo sul punto le motivazioni della sentenza di primo grado che aveva annullato la cartella di pagamento n. (OMISSIS), in mancanza di prova dell’avvenuta notificazione.

2. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di ricorso viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 137 e ss c.p.c., dell’art. 143 c.p.c., del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, della L. n. 890 del 1982, art. 7, u.c., e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. b-bis. Sostiene la ricorrente che la CTR era incorsa nella violazione delle disposizioni censurate per avere ritenuto regolare la notifica di tre cartelle di pagamento, effettuate “a mani di terze persone”, nonostante l’omesso invio della raccomandata informativa.

2. Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza.

3. Al riguardo va ricordato il principio affermato da questa Corte (Cass., Sez. 5, sent. n. 18472 del 21/09/2016) in base al quale, nel processo tributario, in caso di impugnazione, da parte del contribuente, dell’estratto di ruolo per l’invalidità della notificazione della cartella di pagamento, la Corte di cassazione non può procedere ad un esame diretto degli atti per verificare la sussistenza di tale invalidità, trattandosi di accertamento di fatto, rimesso al giudice di merito, e non di nullità del procedimento, in quanto la notificazione della cartella di pagamento non costituisce atto del processo tributario, potendo l’iscrizione a ruolo del tributo essere impugnata solo in caso di mancata o invalida notifica al contribuente della relativa cartella.

3.1. Pertanto, in assenza di un potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto alla Corte di Cassazione solo nel caso, qui non ricorrente, di deduzione di un error in procedendo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la parte, ove contesti, come nel motivo in esame, la rituale notifica della cartella di pagamento, per il rispetto del principio di autosufficienza, deve necessariamente provvedere alla trascrizione integrale degli atti relativi al procedimento notificatorio, al fine di consentire la verifica della fondatezza della doglianza in base alla sola lettura del ricorso, senza necessità di accedere a fonti esterne allo stesso (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 31038 del 30/11/2018).

4. A tali arresti giurisprudenziali non si è attenuto il ricorrente che non ha avuto cura nè di riprodurre nel ricorso il contenuto di quegli atti, nè di allegarli allo stesso, come avrebbe potuto fare in ossequio alle “raccomandazioni” contenute nel Protocollo d’intesa tra questa Corte ed il CNF del 17/12/2015. Adempimento, questo, nel caso in esame assolutamente necessario per consentire a questa Corte la verifica della fondatezza del motivo di ricorso, essendovi assoluta incertezza circa l’effettiva modalità di notifica della cartella utilizzata dall’agente della riscossione, e cioè se attraverso l’ufficiale della riscossione (o altri soggetti previsti dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, prima parte), piuttosto che direttamente con raccomandata postale, come sembra doversi desumere dal contenuto del controricorso in cui si fa espresso riferimento al citato art. 26, comma 1, seconda parte, avendo la controricorrente richiamato la pronuncia di questa Corte in materia (Cass. n. 12083 del 2016).

5. E ciò sul rilievo, assolutamente pacifico tra le parti, che in caso di notifica diretta della cartella di pagamento D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 26, comma 1, seconda parte, trovano applicazione le norme concernenti il servizio postale ordinario di cui alla L. n. 890 del 1982 (art. 7, comma 3, vigente ratione temporis, anteriormente alla modifica apportata a tale ultima disposizione dalla L. n. 145 del 2018, art. 1, comma 813, lett. c), non avente efficacia retroattiva), con esclusione quindi dell’obbligo di invio della raccomandata informativa allorquando il plico postale sia stato consegnato, come nel caso di specie, ad un familiare convivente del destinatario dell’atto (cfr., ex multis, Cass. n. 28872 del 2018, Cass. n. 10037 del 2019 e Cass. n. 10131 del 2020, in cui si fa espresso richiamo alla sentenza della Corte n. 175 del 2018 che ha dichiarato la conformità a Costituzione della disposizione in esame rilevando che “la semplificazione insita nella notificazione diretta”, consistente “nella mancanza della relazione di notificazione di cui all’art. 148 c.p.c., e alla L. n. 890 del 1982, art. 3” e nella “mancata previsione della comunicazione di avvenuta notifica (cosiddetta CAN)”, “anche se (…) comporta, in quanto eseguita nel rispetto del citato codice postale, uno scostamento rispetto all’ordinario procedimento notificatorio a mezzo del servizio postale ai sensi della L. n. 890 del 1982, non di meno (…) è comunque garantita al destinatario un’effettiva possibilità di conoscenza della cartella di pagamento notificatagli ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1”, precisando altresì che la mancata previsione di un obbligo di comunicazione di avvenuta notifica (ma solo nel caso in cui il plico sia consegnato dall’operatore postale direttamente al destinatario o a persona di famiglia o addetto alla casa, all’ufficio o all’azienda o al portiere), “non costituisce nella disciplina della notificazione”, nonostante tale “obbligo vale indubbiamente a rafforzare il diritto di azione e di difesa (art. 24 Cost., commi 1 e 2) del destinatario dell’atto”, “una condizione indefettibile della tutela costituzionalmente necessaria di tale, pur fondamentale, diritto”).

6. Deve inoltre rilevarsi che là dove la ricorrente pone la questione del disconoscimento delle copie degli avvisi di ricevimento delle raccomandate postali prodotte dall’agente della riscossione, il motivo è inammissibile per la novità della questione dedotta, la cui prospettazione nei precedenti gradi di merito non è desumibile dalla sentenza impugnata. Invero, secondo il condivisibile orientamento di questa Corte, “qualora una determinata questione giuridica – che implichi accertamenti di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa” (Cass. n. 1435 del 2013; conf. Cass. n. 23675 del 2013, n. 27568 del 2017 e n. 11622 del 2018, non massimata).

7. Con il secondo motivo di ricorso viene censurata la sentenza impugnata per avere la CTR omesso di verificare l’intervenuta prescrizione quinquennale del credito erariale.

8. Il motivo è infondato avendo la CTR espressamente affermato di condividere sul punto la statuizione di primo grado che aveva ritenuto le tre cartelle di pagamento “correttamente notificate e quindi “non prescritte””.

9. Il motivo, là dove pone la questione del termine prescrizionale dei tributi erariali, è anche inammissibile per difetto di specificità della censura avendo la ricorrente del tutto trascurato di indicare la natura dei debiti tributari iscritti a ruolo e le date di decorrenza e di compimento dell’eccepita prescrizione.

9. La censura è comunque infondata atteso che il Supremo consesso di questa Corte ha affermato, nella sentenza n. 23397 del 2016 (seguita da numerose pronunce delle Sezioni semplici, tra cui Cass. n. 9906, n. 11800, n. 12200 del 2018 e 15845 del 2020), che “Il principio, di carattere generale, secondo cui la scadenza del termine perentorio sancito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo, o comunque di riscossione coattiva, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito, ma non anche la cd. “conversione” del termine di prescrizione breve eventualmente previsto in quello ordinario decennale, ai sensi dell’art. 2953 c.c., si applica con riguardo a tutti gli atti – in ogni modo denominati – di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva di crediti degli enti previdenziali, ovvero di crediti relativi ad entrate dello Stato, tributarie ed extratributarie, nonchè di crediti delle Regioni, delle Province, dei Comuni e degli altri Enti locali, nonchè delle sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie o amministrative e così via. Pertanto, ove per i relativi crediti sia prevista una prescrizione (sostanziale) più breve di quella ordinaria, la sola scadenza del termine concesso al debitore per proporre l’opposizione, non consente di fare applicazione dell’art. 2953 c.c., tranne che in presenza di un titolo giudiziale divenuto definitivo”. Secondo la citata pronuncia, quindi, la mancata impugnazione degli atti impositivi/esecutivi rende irretrattabili i crediti d’imposta, senza incidere sul relativo termine prescrizionale, che è quello ordinario decennale salvo che non sia per essi espressamente previsto ex lege un termine inferiore, escluso per l’IRPEF (Cass. n. 9906 del 2018), che è credito erariale che nella specie viene in evidenza, per come deve desumersi dal frontespizio della sentenza impugnata.

10. Con il terzo motivo viene dedotta la nullità e/o inesistenza della costituzione dell’Agenzia delle entrate Riscossione con un avvocato del libero foro, in violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 35, dell’art. 2112 c.c., della L. n. 449 del 1997, art. 39, dell’art. 97 Cost., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 11, comma 2, come modificato dal D.Lgs. n. 156 del 2015, e del D.L. n. 193 del 2016, convertito con modificazioni dalla L. n. 225 del 2016.

11. Il motivo è manifestamente infondato, alla stregua del principio affermato dalle Sezioni unite di questa Corte nella sentenza n. 30008 del 2019, secondo cui “Ai fini della rappresentanza e difesa in giudizio, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione, impregiudicata la generale facoltà di avvalersi anche di propri dipendenti delegati davanti al tribunale ed al giudice di pace, si avvale: a) dell’Avvocatura dello Stato nei casi previsti come riservati ad essa dalla Convenzione intervenuta (fatte salve le ipotesi di conflitto e, ai sensi del R.D. n. 1611 del 1933, art. 43, comma 4, di apposita motivata delibera da adottare in casi speciali e da sottoporre all’organo di vigilanza), oppure ove vengano in rilievo questioni di massima o aventi notevoli riflessi economici; b) di avvocati del libero foro, senza bisogno di formalità, nè della delibera prevista dal citato R.D., art. 43, comma 4, – nel rispetto del D.Lgs. n. 50 del 2016, artt. 4 e 17, e dei criteri di cui agli atti di carattere generale adottati ai sensi del D.L. n. 193 del 2016, art. 1, comma 5, conv. in L. n. 225 del 2016 – in tutti gli altri casi ed in quelli in cui, pure riservati convenzionalmente all’Avvocatura erariale, questa non sia disponibile ad assumere il patrocinio. Quando la scelta tra il patrocinio dell’Avvocatura erariale e quello di un avvocato del libero foro discende dalla riconduzione della fattispecie alle ipotesi previste dalla Convenzione tra l’Agenzia e l’Avvocatura dello Stato o di indisponibilità di questa ad assumere il patrocinio, la costituzione dell’Agenzia a mezzo dell’una o dell’altro postula necessariamente ed implicitamente la sussistenza del relativo presupposto di legge, senza bisogno di allegazione e di prova al riguardo, nemmeno nel giudizio di legittimità. (Principio enunciato ai sensi dell’art. 363 c.p.c.)”.

11.1. Successivamente, Cass. n. 31241 del 2019, esaminando analoga questione, muovendo dalla citata pronuncia delle Sezioni unite, ha espressamente affermato (a pag. 7) che “anche alla luce dello ius superveniens, l’A.d.E.R. in appello ben poteva costituirsi con avvocato del libero foro”.

12. Conclusivamente, quindi, il ricorso va rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.300,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 11 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2020

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