Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27631 del 21/11/2017


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 27631 Anno 2017
Presidente: MAZZACANE VINCENZO
Relatore: CORTESI FRANCESCO

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 23559/2013 R.G. proposto da
MUGNANI CARLO, MUGNANI GIOVANNI, AMBU MARCELLA e
DEPLANO ANNARELLA, rappresentati e difesi dall’Avv. Stefanino
CASTI ed elettivamente domiciliati a Roma in viale Mazzini n. 134
(studio Avv. Marco Angeletti)
– ricorrenti –

contro
SORBINO SERGIO, anche in qualità di erede di COTTIGLIA
GABRIELLA
– intimato-

avverso la sentenza della Corte d’appello di Cagliari n. 203/2013,
depositata in data 26.3.2013, notificata il 4-12.7.2013.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 26.9.2017 dal
Consigliere dott. Francesco CORTESI;

Data pubblicazione: 21/11/2017

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Sergio DEL CORE che ha concluso per il rigetto del ricorso;

FATTI DI CAUSA

Sergio Sorbino e Gabriella Cottiglia convennero in giudizio

innanzi al Tribunale di Cagliari Carlo Mugnani, Giovanni Mugnani,
Marcella Ambu ed Annarella Deplano, domandando la risoluzione
del contratto preliminare del 24.9.1987, con il quale essi avevano
promesso in vendita a Carlo Mugnani un immobile sito in Flumini di
Quartu, per inadempimento del promissario acquirente. Chiesero,
contestualmente, che i convenuti fossero condannati al rilascio
dell’immobile ed al risarcimento del danno.
Evidenziarono in proposito che dopo la conclusione del
preliminare Carlo Mugnani era stato immesso nel possesso
dell’immobile, occupandolo insieme ai restanti convenuti, suoi
familiari, e si era successivamente rifiutato di presentarsi innanzi al
notaio per la stipula del contratto definitivo, nonostante regolare
intimazione; da allora gli occupanti- anche a seguito
dell’intervenuta detenzione in carcere di Carlo e Giovanni Mugnanisi erano sempre rifiutati di lasciare libero l’immobile.
2. Si costituirono Carlo e Giovanni Mugnani, a mezzo dei
rispettivi tutori legali, nonché Marcella Ambu, mentre Annarella
Deplano rimase contumace; i convenuti dedussero, per quanto qui
ancora di interesse, l’insussistenza del lamentato inadempimento e
perciò del diritto attoreo alla risoluzione del contratto ed al
risarcimento del danno, eccependo in ogni caso la prescrizione
dell’azione di risoluzione.
3. Il Tribunale accolse la domanda per quanto di ragione,
dichiarando risolto il contratto preliminare per fatto e colpa
dell’acquirente e condannando i convenuti al rilascio dell’immobile
2

1.

ed al risarcimento del danno, eccezion fatta che per Annarella
Deplano, cui fu ordinato il solo rilascio.
4.

La sentenza fu appellata da Carlo Mugnani, Giovanni

Mugnani e Marcella Ambu, nonché da Sergio Sorbino e Gabriella
Cottiglia con gravame incidentale relativamente all’ammontare del
danno liquidato ed al rigetto della domanda risarcitoria nei
confronti della Deplano.

interesse, rigettò l’appello principale ed accolse quello incidentale.
La corte rilevò anzitutto che il motivo di impugnazione
concernente l’insussistenza dell’inadempimento era fondato su
argomentazioni svolte e produzioni effettuate per la prima volta in
grado d’appello e perciò inammissibili, non sussistendo, quanto alle
produzioni documentali, neppure i presupposti per ritenerne
l’indispensabilità ai sensi dell’art. 345 cod. proc. civ. nel testo
vigente all’epoca.
Ribadì, inoltre, il rilievo del tribunale secondo cui il termine di
prescrizione dell’azione risolutoria era stato interrotto dalla notifica
agli occupanti, in data 18.2.1997, di un atto di precetto contenente
intimazione al rilascio dell’immobile.
Rilevò infine, quanto alla posizione di Annarella Deplano, che
quest’ultima doveva ritenersi responsabile per l’occupazione
illegittima dell’immobile sin dal momento della notifica dell’atto di
citazione in primo grado (giugno 2004), momento nel quale essa
aveva acquisito conoscenza e consapevolezza della volontà dei
promittenti alienanti di far valere l’inadempimento del proprio
coniuge ed ottenerne la restituzione; esclusero, del resto, la natura
doverosa della sua permanenza nella casa familiare quale coniuge
di Carlo Mugnani, con il quale non sussisteva più alcuna
coabitazione in seguito all’incarcerazione intervenuta.
6. Avverso detta sentenza ricorrono per cassazione Carlo
Mugnani, Giovanni Mugnani, Marcella Ambu ed Annarella Deplano;
gli intimati non hanno svolto difese.
3

5. La Corte d’Appello di Cagliari, per i profili qui ancora di

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, denunziando violazione degli artt. 116
e 345 cod. proc. civ., 1453, 2727 e 2729 cod. civ., i ricorrenti
assumono l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha

supportata da produzioni effettuate per la prima volta in grado
d’appello.
Assumono, al riguardo, che l’art. 345 cod. proc. civ.- nella
formulazione introdotta dalla I. n. 353/1990, applicabile al giudizionon prevedeva alcun divieto di nuove produzioni in appello,
restando queste ultime assoggettate unicamente al vaglio di
rilevanza da parte del giudice.
Con il secondo motivo i ricorrenti deducono poi violazione degli
artt. 2943 e 2945 cod. civ. in relazione all’efficacia interruttiva della
prescrizione attribuita dalla corte d’appello all’atto di precetto loro
notificato in data 18.2.1997.
In tal senso rilevano che tale atto traeva origine da una
precedente sentenza resa dal Tribunale di Cagliari fra le stesse
parti ed in relazione al medesimo oggetto, ma successivamente
annullata dalla corte d’appello per difetto di valida instaurazione del
contraddittorio; sostengono, pertanto, che in dipendenza di tale
nullità anche il precetto dovrebbe ritenersi inidoneo a produrre i
suoi effetti.
Con il terzo motivo, infine, i ricorrenti denunziano violazione
degli artt. 143, 144, 146 e 2043 cod. civ. in relazione alla ritenuta
responsabilità di Annarella Deplano, osservando che la permanenza
nell’immobile da parte di quest’ultima non assumeva alcuna
valenza illecita, trattandosi della casa coniugale ove essa
conservava il diritto di abitazione nonostante l’intervenuta
detenzione in carcere del marito Carlo Mugnani.
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ritenuto inammissibile la loro domanda di inadempimento in quanto

2. Il ricorso è infondato.
2.1 II primo motivo non coglie, anzitutto, la complessiva ratio
decidendi della sentenza impugnata.
Quest’ultima,

infatti,

ha

ritenuto

inammissibile

la

corrispondente censura sollevata dagli odierni ricorrenti in grado
d’appello in quanto fondata su circostanze che non erano mai state
da loro allegate nel corso del giudizio di primo grado, prima ancora

aspetto della statuizione non viene minimamente inciso dalla
doglianza in esame.
In ogni caso, e quanto alla tardività delle produzioni
documentali, la sentenza ha fatto espresso riferimento alla
consolidata giurisprudenza di questa Corte in tema dì nuove
produzioni nel giudizio d’appello, regolato dall’art. 345 cod. proc.
civ. nella formulazione introdotta con la I. n. 353/1990, applicabile
al caso di specie; ha richiamato, in particolare, la nota pronunzia
delle SS.UU. 20.4.2005, n. 8203, secondo cui “con riguardo alla
produzione di nuovi documenti in grado di appello, l’art. 345, terzo
comma, cod. proc. civ. va interpretato nel senso che esso fissa sul
piano generale il principio dell’inammissibilità di mezzi di prova
nuovi – la cui ammissione, cioè, non sia stata richiesta in
precedenza – e, quindi, anche delle produzioni documentali,
indicando nello stesso tempo i limiti di tale regola, con il porre in
via alternativa i requisiti che tali documenti, al pari degli altri mezzi
di prova, devono presentare per poter trovare ingresso in sede di
gravame e consistenti nella dimostrazione che le parti non abbiano
potuto proporli prima per causa ad esse non imputabile, ovvero nel
convincimento del giudice della indispensabilità degli stessi per la
decisione”.
Errano pertanto i ricorrenti nel ritenere non dovuto il vaglio di
indispensabilità delle nuove produzioni, invece necessario ed
operato dalla corte d’appello con criteri sui quali, per il resto, la
censura non incide.
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che su documenti da loro tardivamente prodotti, e tale decisivo

2.2 Anche il secondo motivo è infondato.
Con lo stesso, infatti, i ricorrenti contestano che possa
attribuirsi valore interruttivo della prescrizione all’atto di
intimazione loro notificato, in quanto conseguente a sentenza
successivamente dichiarata nulla.
Sul punto va invece rilevato che l’atto di intimazione e precetto
che sia successivamente dichiarato invalido è, come tale,

esecutiva; ma ciò non impedisce che lo stesso sia invece idoneo a
svolgere, sul diverso piano dei requisiti di contenuto e di forma, la
sua funzione significativa della volontà del creditore di ottenere il
pagamento.
Pertanto, nel momento in cui- come pacificamente nella specietale atto perviene in un luogo configurabile come indirizzo del
destinatario, in applicazione degli artt. 1334 e 1335 cod. civ., esso
deve reputarsi idoneo ad interrompere la prescrizione (per
fattispecie analoga si veda Cass. 26.7.2005, n. 15617).
2.3 È infondato, infine, anche il terzo motivo di ricorso,
dovendosi condividere quanto statuito dalla corte d’appello – seppur
con le precisazioni di cui in seguito- anche in punto all’obbligo
risarcitorio di Annarella Deplano.
Ed infatti, lo stato di coabitazione di questa con il coniuge Carlo
Mugnani è circostanza che non incide sulla sua conoscenza
dell’illiceità della condotta di occupazione, che pacificamente deve
intendersi sussistente per effetto della notifica della domanda
giudiziale di risoluzione per inadempimento, e ciò a prescindere dal
fatto che il Mugnani si trovasse temporaneamente detenuto in
carcere.
Correttamente, poi, la sentenza appellata ha per il resto
rilevato che ricorre qui una fattispecie di responsabilità solidale
della Deplano proprio in ragione dell’obiettiva relazione esistente
con il marito, a carico del quale è stata accertata la condotta
inadempiente.
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certamente inidoneo a svolgere la funzione sua propria in sede

Ritenuto pertanto il ricorso meritevole di rigetto; osservato che non
occorre provvedere sulle spese del giudizio, in assenza di attività
difensive da parte degli intimati; ritenuta la sussistenza dei
presupposti di cui all’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del
2002;

La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002,
inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei
ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari
a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis,
dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della II Sezione
Civile della Corte di Cassazione, in data 26.9.2017.

Il COnsigliere Este ore
Il Presidente

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P.Q.M.

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