Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27628 del 03/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 03/12/2020, (ud. 11/11/2020, dep. 03/12/2020), n.27628

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 10174/2019 R.G. proposto da:

CONSORZIO ELETTRICO DI STORO soc. coop., in persona del legale

rappresentante, ing. R.G., rappresentato e difeso, per

procura speciale in calce al ricorso, dall’avv. Mario GIANNOTTA,

presso il cui studio legale, sito in Milano, alla via Camperio, n.

2, è elettivamente domiciliato;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, (C.F. (OMISSIS)), in persona del

Direttore Generale in carica, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla

via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 05/02/2019 della Commissione Tributaria di

Secondo Grado di TRENTO, depositata il 09/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del giorno 11/11/2020 dal Consigliere Lucio LUCIOTTI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. L’Agenzia delle dogane e dei monopoli emetteva in data 24/10/2014 un provvedimento con cui diffidava il Consorzio elettrico di Storo soc. coop., autoproduttore di energia elettrica da fonti rinnovabili, ad applicare alle forniture, effettuate nei confronti dei soci e di terzi, consumatori finali diversi dalla società autoproduttrice, l’esenzione dalle accise prevista dal D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 52, comma 3, lett. b), (c.d. TUA, testo unico accise). Con successivo avviso di accertamento intimava alla predetta società il pagamento delle accise non versate per l’anno d’imposta 2009, oltre interessi legali, ma senza applicazione di sanzioni. Importo che la società contribuente versava avanzando, però, richiesta di rimborso, che l’ufficio finanziario rigettava con provvedimento emesso in data 03/03/2015.

2. La società contribuente impugnava tutti i predetti atti dinanzi alla CTP di Trento che, con sentenza n. 172/02/2016 del 12/07/2016, dichiarava inammissibile il ricorso proposto avverso l’atto di diffida perchè privo di contenuto autoritativo, rigettava il ricorso avverso l’avviso di accertamento ritenendo che, a seguito del pagamento dell’imposta accertata, era venuto meno l’interesse della società contribuente all’impugnazione ed accoglieva parzialmente il ricorso avverso il diniego di rimborso, che riteneva spettasse alla società limitatamente al rimborso dell’accisa versata per l’energia ceduta ai soci, nonchè delle sanzioni e degli interessi.

3. La predetta sentenza veniva impugnata dall’ufficio finanziario e dalla società contribuente con appello incidentale con riferimento alle statuizioni ad esse rispettivamente sfavorevoli.

4. Con la sentenza in epigrafe indicata la Commissione tributaria di secondo grado di Trento accoglieva l’appello dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, confermando l’avviso di accertamento e rigettando l’appello incidentale della società contribuente.

4.1. Sostenevano i giudici di appello, per quanto ancora qui di interesse, che non potevano andare esente dalle accise le forniture effettuate dalla società contribuente nei confronti dei soci, non potendosi attribuire a questi ultimi “le qualificazioni di “autoproduttore” e di “autoconsumatore””, essendo “soggetto giuridico distinto dalla Società, in alcuni casi con propria partita IVA”; che l’estensione del beneficio in esame alle cooperative sulla base del D.Lgs. n. 79 del 1999, art. 2, comma 2, (cd. Decreto Bersani) non era “supportato da valide ragioni giuridiche” in quanto “il c.d. Decreto Bersani è attuazione della Dir. 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia, e che le definizioni date si applicano agli effetti di quel decreto (D.Lgs. n. 79 del 1999, art. 2, comma 1)”; che, avendo l’ufficio applicato rigorosamente lo Statuto dei diritti del contribuente, art. 10, comma 2, (L. n. 212 del 2000, in tema di affidamento e buona fede del contribuente, non irrogando sanzioni nè richiedendo interessi moratori, anche l’istanza di rimborso era stata legittimamente rigettata; che alla fattispecie non era applicabile il disposto di cui alla L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 911, (c.d. Legge di Stabilità 2016), in quanto la stessa non aveva funzione interpretativa, ciò non emergendo nè dalla lettera della legge nè dai lavori preparatori, non chiarendo il significato normativo di una legge preesistente, così integrandone la disposizione, nè ad introdurre retroattivamente una nuova disciplina dell’esenzione, ma limitandosi ad aggiungere qualcosa in più che la norma fiscale non prevedeva, come l’uso della congiunzione “anche” stava a dimostrare.

5. Avverso tale statuizione la società contribuente propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati con memoria, cui replica con controricorso l’Agenzia delle dogane e dei monopoli.

6. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo mezzo di cassazione la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del TUA, art. 52, comma 3, lett. b), (D.Lgs. n. 504 del 1995), del D.Lgs. n. 79 del 1999, e art. 12 disp. gen, comma 1, sostenendo che là dove la CTR aveva escluso dall’ambito applicativo della norma di esenzione i soci della cooperativa, aveva violato la citata norma del decreto Bersani (D.Lgs. n. 79 del 1999), fondando la “differenza soggettiva tra socio e società cooperativa” su una “lettura estremamente restrittiva e formalistica della norma di esenzione”, valevole per i gruppi di società e per le organizzazioni consortili “ma non certo nei confronti delle società cooperative, pena la negazione di ogni rilevanza e peculiarità dello schema causale tipico della società cooperativa e dello scopo mutualistico”, risolvendosi la propugnata estensione dell’esenzione dall’accise alle cooperative in una interpretazione non analogica, di per sè vietata, ma estensiva delle citate disposizioni, come tale consentita anche alla stregua della “norma di interpretazione autentica, contenuta nella L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 911”.

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 911, (c.d. Legge di stabilità 2016) e art. 12 disp. gen., comma 1, sostenendo la retroattività della disposizione di cui alla citata legge di stabilità.

3. Con il terzo motivo, infine, deduce la nullità della sentenza per difetto assoluto di motivazione, sub specie di motivazione apparente, con riferimento al motivo di appello con cui era stata dedotta la violazione del principio di buona fede e di legittimo affidamento, chiedendo anche il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE sul rilievo che l’interpretazione restrittiva della norma di esenzione fatta propria dall’amministrazione finanziaria fosse lesiva del predetto principio di rilevanza unionale.

4. Il primo motivo è infondato e va rigettato.

5. Invero, la tesi nello stesso propugnata si pone in insanabile contrasto con il principio giurisprudenziale assolutamente consolidato secondo cui “In tema di accise, qualora la società consortile costituita per l’autoproduzione di energia da fonti rinnovabili ceda, a titolo oneroso, parte di essa alle proprie consorziate, non può godere dell’esenzione prevista dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 52, comma 3, lett b), per la quale occorre che l’autoproduttore coincida con colui che consuma l’energia prodotta, essendo all’uopo irrilevante il richiamo al D.Lgs. n. 79 del 2009, art. 2, comma 2, in quanto, regolando il mercato interno dell’energia elettrica ed i comportamenti dei principali operatori, è estraneo alla materia fiscale” (Cass. n. 18863 del 2020; in termini, ex multis, Cass. n. 24169 del 2020, n. 19922 del 2020, n. 19456 del 2020, n. 33592 del 2019, n. 26142 del 2019).

6. Tale principio, ancorchè pronunciato con riferimento ai consorzi, è estensibile anche alle cooperative.

6.1. Il D.Lgs. n. 504 del 1999, art. 52, comma 3, lett. b), come modificato dal D.Lgs. n. 26 del 2007, art. 1, stabilisce che “Non è sottoposta ad imposta l’energia elettrica: (…); b) prodotta con impianti azionati da fonti rinnovabili ai sensi della normativa vigente in materia, con potenza disponibile superiore a 20 kW, consumata dalle imprese di autoproduzione in locali e luoghi diversi dalle abitazioni”.

6.2. L’applicabilità del regime di esenzione, quindi, è strettamente connessa al presupposto che l’energia elettrica prodotta con impianti azionati da fonte rinnovabile sia consumata da imprese di autoproduzione, sicchè, ove le stesse non consumino l’energia per sè, in autoconsumo, ma la cedano a terzi, si è al di fuori del campo di applicazione della previsione normativa in esame.

6.3. Ne consegue che i soci delle società cooperative, in quanto soggetti non autoproduttori, al pari dei consorziati nelle organizzazioni consortili, sono cessionari di energia elettrica, con la conseguenza che la società cooperativa assume nei loro confronti la qualità di fornitore ed è quindi tenuta al pagamento dell’accisa.

6.4. Ed anche con riferimento ai soci delle cooperative non può porsi la questione della valenza, a fini interpretativi, della previsione contenuta nel D.Lgs. 16 marzo 1999, n. 79, art. 2, comma 2, che prevede che “Autoproduttore è la persona fisica o giuridica che produce energia elettrica e la utilizza in misura non inferiore al 70% annuo per uso proprio ovvero per uso delle società controllate, della società controllante e delle società controllate dalla medesima controllante, nonchè per uso dei soci delle società cooperative di produzione e distribuzione dell’energia elettrica di cui alla L. 6 dicembre 1962, n. 1643, art. 4, n. 8, degli appartenenti ai consorzi o società consortili costituiti per la produzione di energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili e per gli usi di fornitura autorizzati nei siti industriali anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto”.

6.5. Sul punto, va osservato che questa Corte (Cass. civ., 12 settembre 2008, n. 23529 e, da ultimo, Cass. n. 24169 del 2020) ha precisato che non può influire sulla regolamentazione della presente fattispecie una definizione contenuta in una legge diretta a scopi diversi da quelli perseguiti dalla normativa tributaria, essendo il D.Lgs. n. 79 del 1999 finalizzato a regolare il mercato interno dell’energia elettrica ed i comportamenti dei principali operatori, restando la materia fiscale estranea a tale normativa.

6.6. Pertanto, la nozione di autoproduttore di cui al cit. D.Lgs. n. 79 del 1999, non è idonea ad individuare i soggetti esentati dal pagamento delle accise ai sensi del TUA, art. 52, comma 3, lett. b), i quali non rientrano nella menzionata definizione.

6.7. Ad ulteriore supporto di tale argomento valgano le seguenti considerazioni:

a) il D.Lgs. n. 79 del 1999, art. 2, comma 1, precisa che le definizioni di cui ai successivi commi valgono ai soli fini del decreto e, pertanto, la definizione di autoproduzione di cui al comma 2, trova un limite applicativo testuale;

b) le finalità del decreto Bersani, in linea con la Dir. n. 96/92/Ce sono quelle di perseguire un mercato concorrenziale dell’energia elettrica, mentre il T.U. Accise, come modificato dal D.Lgs. n. 26 del 2007, in attuazione della Dir. n. 2003/96/CE, ha come obiettivo l’armonizzazione della tassazione degli Stati membri della UE in materia di accise sui prodotti energetici: in questo contesto, la definizione di autoproduzione di cui al decreto Bersani deve fare i conti con la qualifica di soggetti obbligati al pagamento delle accise che hanno le officine di produzione di energia elettrica per uso proprio ai sensi del T.U. Accise.

7. Da quanto detto consegue che l’esenzione prevista T.U. Accise, art. 52, comma 3, lett. b), con riferimento all’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili, è limitata all’utilizzazione che fa dell’energia medesima il soggetto autoproduttore ed è di stretta interpretazione: deve, pertanto, riconoscersi l’esenzione unicamente alla società cooperativa che produce l’energia, nei limiti del consumo dalla stessa praticato, e non già per l’ipotesi in cui la predetta società ceda l’energia elettrica a distinti soggetti giuridici quali sono i soci, pena facili ed intuibili elusioni della disposizione agevolativa (arg. da Cass. n. 24169 del 2020).

8. Pertanto, non è condivisibile la tesi di parte ricorrente secondo cui all’estensione dell’esenzione dalle accise anche ai soci delle cooperative dovrebbe pervenirsi attraverso una interpretazione estensiva del più volte citato T.U. Accise, art. 52, riferendosi la qualifica di autoproduttore non solo all’ipotesi in cui la cooperativa consumi per sè l’energia autoprodotta, ma anche a quella in cui l’energia sia consumati dai propri soci. Interpretazione estensiva della predetta disposizione che, al pari di quella analogica, non è consentita trattandosi di norma agevolativa di esenzione fiscale, come tale di stretta interpretazione.

9. Diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente nel secondo motivo, alla fattispecie in esame non è neppure applicabile la disposizione di cui alla L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 911, (c.d. Legge di stabilità 2016) che ha previsto che “il D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, art. 52, comma 3, lett. b), si applica anche all’energia elettrica prodotta con impianti azionati da fonti rinnovabili ai sensi della normativa vigente in materia, con potenza disponibile superiore a 20 kw, consumata dai soci delle società cooperative di produzione e distribuzione dell’energia elettrica di cui alla L. 6 dicembre 1962, n. 1643, art. 4, n. 8), in locali e luoghi diversi dalle abitazioni”.

9.1. Invero, il citato art. 1, comma 999, prevede che “La presente legge, salvo quanto diversamente previsto, entra in vigore il 10 gennaio 2016”. Ne consegue che, in mancanza di una espressa previsione di applicabilità retroattiva della citata Legge, art. 1, comma 911, l’esenzione dall’accise per i soci delle società cooperative di produzione e distribuzione dell’energia elettrica si applica soltanto dall’anno d’imposta 2016.

9.2. Nè alla citata disposizione può attribuirsi natura interpretativa del previgente D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, art. 52, comma 3, lett. b), in difetto di un’espressa qualificazione in tal senso e di pregressi dubbi di tipo esegetico in ordine all’effettiva portata della stessa, ma anche perchè la norma in esame ha portata fortemente innovativa (e non esplicativa) della citata disposizione, estendendo anche ai soci delle cooperative di produzione e distribuzione dell’energia elettrica l’esenzione dalle accise, prima chiaramente esclusa. Non è quindi suscettibile di applicazione retroattiva.

10. Il secondo motivo è quindi infondato e va rigettato.

11. Anche il terzo motivo, con cui la ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata per avere reso una pronuncia meramente apparente sulla questione della violazione del legittimo affidamento, è infondato e va rigettato.

12. Secondo questa Corte il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (art. 111 Cost., comma 6), e cioè dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4) (in materia di processo civile ordinario) e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4 (in materia di processo tributario), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata.

12.1. Alla stregua di tali principi consegue che la sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze che siano del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico (che sembra potersi ritenere mera ipotesi di scuola) o quelle che presentano un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e che presentano una “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (cfr. Cass. S.U. n. 8053 del 2014; conf. Cass. n. 21257 del 2014), ma anche quelle che contengono una motivazione meramente apparente, del tutto equiparabile alla prima più grave forma di vizio, perchè dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione addotta dal giudice è tale da non consentire “di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato” (cfr. Cass. n. 4448 del 2014), venendo quindi meno alla finalità sua propria, che è quella di esternare un “ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo”, logico e consequenziale, “a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi” (Cass. cit.; v. anche Cass., Sez. un., n. 22232 del 2016 e la giurisprudenza ivi richiamata).

12.2. In particolare, più volte è stato espresso il principio che la motivazione è solo apparente – e la sentenza è nulla perchè affetta da error in procedendo – quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., Sez. U, Sentenza n. 22232 del 2016; conf. Cass. Civ., n. 14927 del 2017).

13. Con riferimento al caso di specie, la sentenza ha chiaramente esposto il ragionamento logico secondo cui non poteva sussistere una condizione di affidamento e buona fede della contribuente tale da escludere l’applicazione delle imposte e non solo delle sanzioni e degli interessi di mora, non richiesti alla società, affermando che “la ritenuta piana lettura della contestata norma fiscale in esame, confermata dall’articolato vaglio delle fonti normative che hanno interessato negli anni il complesso mondo del mercato dell’energia elettrica, ed in particolare quello delle cooperative di produzione e distribuzione dell’energia elettrica di cui alla L. n. 1643 del 1962, art. 4, n. 8, consente di escludere che l’affermata corretta interpretazione di una norma possa essere motivo di violazione dell’affidamento e della buona fede della contribuente”.

14. La pronuncia ha, quindi, compiuto un ragionamento logico sulla cui base è pervenuta alla conclusione della non applicabilità della buona fede e del legittimo affidamento nella fattispecie, sicchè non può dirsi sussistente alcuna violazione delle previsioni normative citate. Invero, seppure si volesse ritenere errato o insufficiente lo sviluppo argomentativo della decisione impugnata, il vizio non sarebbe così radicale da rendere la motivazione meramente apparente, escludendone l’idoneità ad assolvere alla funzione cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 (arg. da Cass. n. 5315 del 2015). Nè può assumere rilevanza la ritenuta carenza di valutazione degli elementi fattuali prospettati dalla ricorrente, non essendo tale ragione di censura riconducibile alla violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4).

15. Pare opportuno precisare, sulla questione in esame, che la CTR ha peraltro fatto corretta applicazione del consolidato orientamento di questa Corte secondo cui “la tutela dell’affidamento incolpevole del contribuente, sancita dalla L. n. 212 del 2000, art. 10, commi 1 e 2, costituisce espressione di un principio generale dell’ordinamento tributario, che trova origine nei principi affermati dagli artt. 3,23,53 e 97 Cost., ed, in materia di tributi armonizzati, in quelli dell’ordinamento dell’Unione Europea, sicchè deve ritenersi che la situazione di incertezza interpretativa, ingenerata da risoluzioni dell’Amministrazione finanziaria, anche se non influisce sulla debenza dell’imposta, deve essere valutata ai fini dell’esclusione dell’applicazione delle sanzioni” (così Cass. n. 370 del 09/01/2019, con ampi riferimenti alla giurisprudenza Europea in materia di tributi armonizzati; sempre con riferimento all’esclusione delle sole sanzioni, si vedano ancora Cass. n. 10499 del 03/05/2018; Cass. n. 12635 del 08/02/2017; Cass. n. 5934 del 25/03/2015; Cass. n. 16692 del 03/07/2013; Cass. n. 21070 del 13/10/2011; Cass. n. 19479 del 10/09/2009; v. anche Cass. Sez. U., n. 23031 del 2007, in motivazione, par. 3).

16. Da ultimo va detto che “non sussistono i presupposti per dar luogo al chiesto rinvio pregiudiziale, tenuto conto che la Corte di giustizia ha già ampiamente chiarito che, se è vero che il diritto ad avvalersi del principio della tutela del legittimo affidamento “si estende a ogni individuo in capo al quale un’autorità amministrativa abbia fatto sorgere fondate speranze a causa di assicurazioni precise che essa gli avrebbe fornito” (ex multis, CGUE 14 giugno 2017, in causa C26/16, punto 76; CGUE 9 luglio 2015, in causa C-183/14, punto 44; CGUE 5 marzo 2015, in causa C-585/13, punto 95), tuttavia “il legittimo affidamento non può basarsi su una prassi illegittima dell’amministrazione” (CGUE 11 aprile 2018, in causa C-532/16, punto 50; CGUE 6 febbraio 1986, in causa C-162/84, punto 6). Rientra, pertanto, nella specifica competenza del giudice nazionale stabilire se, avuto conto della specificità del caso concreto, sussistano i presupposti per il riconoscimento della inapplicabilità del tributo ovvero, più semplicemente, delle sanzioni e degli interessi. Ne consegue che, se l’Amministrazione finanziaria non ha fornito una corretta interpretazione del dato normativo, non per questo è possibile escludere il diritto alla riscossione dell’imposta, opportunamente temperato, nel caso di specie, con la mancata applicazione di sanzioni ed interessi” (Cass. n. 22002 del 2020, in motivazione, p. 9.9. e 9.10.).

17. Conclusivamente, quindi, il ricorso va rigettato mentre la novità di alcune delle questioni trattate giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e dichiara interamente compensate tra le parti le spese del presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 11 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2020

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