Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27625 del 20/12/2011

Cassazione civile sez. trib., 20/12/2011, (ud. 09/11/2011, dep. 20/12/2011), n.27625

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MERONE Antonio – Presidente –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

CALZIFICIO ALESSANDRA SRL (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SICILIA 66,

presso lo studio dell’avvocato BELLI CONTARINI EDOARDO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FANTOZZI AUGUSTO giusta

procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 122/67/2008 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di MILANO, SEZIONE DISTACCATA di BRESCIA del 10/11/2008,

depositata il 17/11/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/11/2011 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCO TERRUSI;

udito l’Avvocato Belli Contarini Edoardo difensore della

controricorrente che chiede il rinvio del ricorso alla P.U.;

è presente il P.G. in persona del Dott. ALFREDO POMPEO VIOLA che

nulla osserva.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

– Ritenuto che è stata depositata la seguente relazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.:

“1. – L’agenzia delle entrate ricorre per cassazione nei confronti della sentenza della commissione tributaria regionale della Lombardia, sez. dist. di Brescia, n. 122/67/2008, che, confermando la decisione di primo grado, ha accolto un ricorso di Calzificio Alessandra s.r.l. avverso due avvisi di accertamento con i quali si era proceduto alla rettifica in via induttiva dei ricavi contabilizzati e dichiarati negli anni 1998 e 1999, ai fini Iva, irpeg e Irap. L’intimata ha resistito con controricorso.

2. – La ricorrente svolge tre motivi, il primo dei quali – denunciante nullità della sentenza ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, n. 4, per mancanza di motivazione – è inammissibile in relazione al quesito di diritto, che non appare correttamente formulato essendo totalmente omessa l’indicazione della fattispecie concreta.

Gli altri due – rispettivamente denuncianti, con idonei quesiti, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. e), e art. 2697 c.c., nonchè insufficiente motivazione su fatti decisivi – si palesano manifestamente fondati.

3. – A fronte invero della determinazione in via induttiva di maggiori ricavi, desunti dalla ricostruzione delle materie prime a disposizione della società (quantità di filati risultante da rinvenute schede tecniche dettagliate per singole tipologie di prodotto), e dalla correlata individuazione della verosimile quantità di prodotto finito, l’impugnata sentenza ha affermato di condividere il giudizio negativo del giudice di primo grado a proposito della mancanza dei requisiti di gravità, precisione e concordanza delle impiegate presunzioni. ciò tuttavia ha fatto sul duplice rilievo (a) che le presunzioni semplici sarebbero “il corollario di un iter logico” destinato a pervenire a un solo fatto ignoto, “e non ad una pluralità di ipotesi”; (b) che, nello specifico, la rettifica attinente ai maggiori ricavi accertati “non trova concretezza dal momento che non si dimostra che i prodotti finiti siano stati venduti”, stante che “gli accertamenti riflettono esclusivamente la fase commerciale”; per cui, in definitiva, ad avviso della commissione regionale, “in assenza di vendita (in nero) di prodotti finiti a seguito della lavorazione della differenza dei filati, non possono verificarsi i maggiori ricavi”. Tale essendo il nucleo della decisione, è di tutta evidenza l’errore prospettico che ne mina il ragionamento, ove si consideri che appare implicito, nella surriportata motivazione, il consenso circa la avvenuta realizzazione, in virtù del riscontro delle materie prime impiegate, di una quantità di prodotto finito superiore al dichiarato della società. Donde appare completamente errata – in quanto distonica rispetto al contenuto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1 – la ratio decidendi in effetti basata sulla necessità di dedurre, poi, il maggior imponibile dalla prova diretta delle vendite effettuate in nero.”;

– che il collegio condivide le considerazioni di cui alla relazione, nessun pregio possedendo quanto in contrario sostenuto dalla resistente nella depositata memoria;

– che difatti il principio di autosufficienza, richiamato a confutazione del secondo motivo del ricorso, è privo di pertinenza, l’aporia nella relazione evidenziata emergendo direttamente dalla lettura della impugnata sentenza; le residue considerazioni (pag. 3 della memoria) attingono questioni di merito (circa la affermata insufficienza probatoria dei documenti extracontabili a dimostrazione dei ricavi “in nero”) con riguardo giustappunto alle quali la motivazione della sentenza appare incongrua;

– che conclusivamente vanno accolti il secondo e il terzo motivo del ricorso, con conseguente cassazione dell’impugnata sentenza con rinvio ad altra sezione della medesima commissione regionale, la quale provvederà a riesaminare gli elementi di prova uniformandosi al seguente principio di diritto: “costituisce violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, l’affermazione di merito che, in vista dell’apprezzamento di un maggiore imponibile, una volta riscontrata, in virtù delle materie prime impiegate nel processo produttivo, una quantità di prodotto finito superiore al dichiarato, pretenda altresì la prova diretta delle vendite effettuate in nero”;

– che il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il primo motivo; accoglie il secondo e il terzo motivo; cassa l’impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla commissione tributaria regionale della Lombardia.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2011

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