Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27619 del 11/10/2021

Cassazione civile sez. I, 11/10/2021, (ud. 09/07/2021, dep. 11/10/2021), n.27619

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MELONI Marina – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 20538/2020 r.g. proposto da:

O.P., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta

procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Danilo

Lombardi, con cui elettivamente domicilia in Roma, Via Po n. 24,

presso lo studio dell’Avvocato Claudio Miglio.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore il Ministro.

– intimato –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Cagliari, depositata in

data 28.2.2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

9/7/2021 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Cagliari ha rigettato l’appello proposto da O.P., cittadino della Nigeria, nei confronti del Ministero dell’Interno, avverso l’ordinanza emessa in data 20.12.2017 dal Tribunale di Cagliari, con la quale erano state respinte le domande di protezione internazionale ed umanitaria avanzate dal richiedente.

La Corte di merito ha ricordato, in primo luogo, la vicenda personale del richiedente asilo, secondo quanto riferito da quest’ultimo; egli ha infatti narrato: i) di essere nato nel villaggio di (OMISSIS); ii) di essere stato costretto a fuggire dal suo paese perché omosessuale e perché timoroso di essere arrestato per lo stupro di un cuginetto ancora minorenne.

La Corte territoriale ha, poi, ricordato che, in relazione al diniego dello status di rifugiato, l’appellante non aveva interposto gravame e dunque la relativa statuizione doveva ritenersi coperta da giudicato interno; ha inoltre ritenuto che: a) non erano fondate le domande volte al riconoscimento della protezione sussidiaria, del D.Lgs. n. 251 del 2007, sub art. 14, lett. a e b, in ragione della complessiva valutazione di non credibilità del racconto, che risultava, per molti aspetti, non plausibile e lacunoso e comunque perché non aveva dimostrato di essere ricercato dalle autorità locali per il dichiarato delitto di violenza sessuale su minore ed inoltre perché nell’Abia State il reato di cui si era autoaccusato il richiedente non era punibile con la pena di morte; b) non era fondata neanche la domanda di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c, in ragione dell’assenza di un rischio-paese riferito all’Abia State, stato nigeriano di provenienza del richiedente, collegato ad un conflitto armato generalizzato e perché l’ulteriore profilo di rischio collegato alle violenze contro il gruppo etnico (OMISSIS) doveva considerarsi fatto nuovo, inammissibilmente introdotto come motivo di gravame; c) non poteva accordarsi tutela neanche sotto il profilo della richiesta protezione umanitaria, perché non si assisteva in Nigeria ad una situazione di violenza indiscriminata ed anche perché il ricorrente non aveva dimostrato una condizione di soggettiva vulnerabilità, non rilevando di per sé sola la condizione di integrazione sociale (di cui comunque non aveva dimostrato l’effettività).

2. La sentenza, pubblicata il 28.2.2020, è stata impugnata da O.

P. con ricorso per cassazione, affidato a due motivi. L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, comma 2, per aver la corte di appello ignorato l’irrilevanza della circostanza che il richiedente possegga le caratteristiche (orientamento sessuale) che ne provoca la persecuzione, purché siffatta caratteristica gli venga attribuita dall’autore della persecuzione; nonché violazione, da un lato, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b e c, per l’omessa indagine da parte della corte di merito in ordine alla previsione, nel codice penale nigeriano, del reato che punisce l’omosessualità e, dall’altro, dei criteri legali di valutazione della credibilità del ricorrente.

1.1 Il motivo è inammissibile.

1.1.1 Non rileva in alcun modo il difetto di approfondimento istruttorio (in questo caso per indagare la condizione giuridica degli omosessuali in Nigeria) di fronte all’affermazione (qui non adeguatamente censurata, per quanto si dirà tra breve) di non credibilità del racconto.

1.1.2 Per quanto concerne il profilo di violazione dei criteri legali di valutazione di attendibilità del richiedente, giova ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e’, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (cfr. Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019). Più precisamente, la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. sempre, Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019).

Orbene, osserva la Corte come, sotto l’egida formale del vizio di violazione di legge, la parte ricorrente pretende, ora, un’inammissibile rivalutazione del contenuto delle dichiarazioni rilasciate dal ricorrente e del giudizio di complessiva attendibilità di quest’ultimo, profilo che è irricevibile in questo giudizio di legittimità perché non dedotto nel senso sopra chiarito e perché comunque rivolto ad uno scrutinio di merito delle dichiarazioni che invece è inibito al giudice di legittimità.

1.1.3 Sotto altro profilo, non può neanche essere dimenticato che, come ancora chiarito da Cass. n. 16295/2018, in tema di valutazione della credibilità soggettiva del richiedente e di esercizio, da parte del giudice, dei propri poteri istruttori officiosi rispetto al contesto sociale, politico e ordinamentale del Paese di provenienza del primo, la valutazione del giudice deve prendere le mosse da una versione precisa e credibile, benché sfornita di prova (perché non reperibile o non richiedibile), della personale esposizione a rischio grave alla persona o alla vita: tale premessa è indispensabile perché il giudice debba dispiegare il suo intervento istruttorio ed informativo officioso sulla situazione persecutoria addotta nel Paese di origine (cfr. Cass. nn. 21668/2015 e 5224/2013). Principio analogo è stato, peraltro, ribadito dalle più recenti Cass. nn. 17850/2018 e 32028/2018. Ed invero, le dichiarazioni del richiedente che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non richiedono un approfondimento istruttorio officioso, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (cfr. Cass. n. 16295/2018; Cass. n. 7333/2015). Ad avviso di questa Corte, peraltro, il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati” deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di acquisizione di tali informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti in seno alla richiesta di protezione internazionale, non potendo, per contro, addebitarsi la mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi, in ordine alla ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione, riferita a circostanze non dedotte.

Nella specie, la Corte di appello ha espresso un giudizio negativo sulla credibilità della richiedente (cfr., amplius, fol. 7 della sentenza impugnata) sulla base di plurimi elementi ritenuti rilevatori dell’inverosimiglianza ed incoerenza della sua narrazione, in maniera del tutto conforme ai parametri cui l’autorità amministrativa e, in sede di ricorso, quella giurisdizionale, sono tenute ad attenersi, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.

Si tratta, all’evidenza, di accertamenti in fatto, che non possono essere in questa sede messi in discussione se non denunciando, ove ne ricorrano i presupposti (qui, invece, insussistenti), il vizio di omesso esame ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo introdotto dal D.L. n. 683 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (applicabile ratione temporis) come delimitato, quanto al suo concreto perimetro applicativo, da Cass., SU, n. 8053 del 2014.

2. Con il secondo mezzo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, travisamento di prova decisiva, costituta dalla condizione di invalidità civile del ricorrente, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, art. 2 Cost. e art. 10 Cost., comma 3, della direttiva comunitaria n. 115/2008, dell’art. 6, 4 paragrafo, dell’art. 8 CEDU sul diritto alla vita privata e familiare, in ordine all’accertamento del diritto alla protezione umanitaria, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3.

2.1 Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 6.

Il ricorrente non spiega né indica in quale atto difensivo avesse allegato e dedotto le circostanze attestate dal documento (invalidità civile) nel cui omesso esame sarebbe incorsa la corte territoriale per un più corretto esame della ricorrenza dei presupposti applicativi dell’invocata protezione umanitaria, solo deducendo sul punto che avrebbe fatto deposito del detto documento in data 17.5.2019 e senza neanche spiegare se lo stesso (evidentemente non allegato con l’atto introduttivo) sia stato oggetto di un provvedimento di ammissione della prova da parte della corte di appello a ciò sollecitata da parte dell’appellante.

Così articolato il motivo di ricorso è irricevibile.

Nessuna statuizione è dovuta per le spese del giudizio di legittimità, stante la mancata difesa dell’amministrazione intimata.

Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 9660-2019.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 9 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2021

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