Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27616 del 03/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 03/12/2020, (ud. 29/10/2020, dep. 03/12/2020), n.27616

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente di Sez. –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 35259 del ruolo generale dell’anno

2018, proposto da:

M.M., (C.F.: (OMISSIS)) rappresentato e difeso

dall’avvocato Piero Eugenio Vighetti (C.F.: (OMISSIS));

– ricorrente –

nei confronti di:

IFIR PIEMONTE I.V.G. ISTITUTO VENDITE GIUDIZIARIE, S.R.L. (P.I.:

(OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore,

F.S. rappresentato e difeso dall’avvocato Marco Porcari (C.F.:

(OMISSIS));

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Torino n.

842/2018, pubblicata in data 7 maggio 2018;

udita la relazione sulla causa svolta nella camera di consiglio in

data 29 ottobre 2020 dal consigliere Augusto Tatangelo.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Per quanto è possibile evincere dagli atti, M.M., debitore assoggettato ad una espropriazione immobiliare, ha agito in giudizio nei confronti del locale Istituto di Vendite Giudiziarie (IFIR Piemonte – I.V.G. S.r.l.) che, nominato custode dell’immobile pignorato, aveva agito in suo danno per il rilascio dello stesso, onde ottenere – in via principale – la dichiarazione di decadenza dell’istituto “da ogni pretesa di custodia giudiziaria dell’immobile in questione che non ha mai effettivamente custodito”, nonchè la condanna al risarcimento dei danni.

Le sue domande sono state rigettate dal Tribunale di Torino, che, oltre alle spese di lite, lo ha condannato anche al pagamento di una somma, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3.

La Corte di Appello di Torino ha confermato la decisione di primo grado, condannando il M. a pagare, oltre alle spese del grado, un’ulteriore somma ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3.

Ricorre il M., sulla base di tre motivi.

Resiste con controricorso IFIR Piemonte – I.V.G. S.r.l..

E’ stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375,376 e 380 bis c.p.c., in quanto il relatore ha ritenuto che il ricorso fosse destinato ad essere dichiarato inammissibile.

E’ stata quindi fissata con decreto l’adunanza della Corte, e il decreto è stato notificato alle parti con l’indicazione della proposta.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è inammissibile, per una pluralità di ragioni.

1.1 In primo luogo, non è rispettato il requisito della esposizione sommaria dei fatti prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3. Tale requisito è considerato dalla norma come uno specifico requisito di contenuto-forma del ricorso e deve consistere in una esposizione sufficiente a garantire alla Corte di cassazione di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass., Sez. U, Sentenza n. 11653 del 18/05/2006, Rv. 588770 – 01; conf.: Sez. 3, Ordinanza n. 22385 del 19/10/2006, Rv. 592918 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 15478 del 08/07/2014, Rv. 631745 – 01; Sez. 6 – 3, Sentenza n. 16103 del 02/08/2016, Rv. 641493 – 01). La prescrizione del requisito in questione non risponde ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Cass., Sez. U, Sentenza n. 2602 del 20/02/2003, Rv. 560622 – 01; Sez. L, Sentenza n. 12761 del 09/07/2004, Rv. 575401 – 01). Stante tale funzione, per soddisfare il suddetto requisito è necessario che il ricorso per cassazione contenga, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, l’indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello, ed infine del tenore della sentenza impugnata.

Il ricorso in esame, nell’esposizione del fatto, non presenta tale contenuto minimo.

L’esposizione è in realtà del tutto confusa.

Nella parte dedicata al “fatto e svolgimento del processo” vengono esposti, in modo prolisso e sostanzialmente incomprensibile, alcuni dei fatti di causa, unitamente a circostanze e valutazioni che appaiono del tutto estranee agli stessi, alla trascrizione di brani dei provvedimenti impugnati e a critiche agli stessi, così come alle condotte degli organi giudicanti, in modo tale che non risulta alla Corte possibile percepire con sufficiente chiarezza l’effettivo oggetto e le concrete ragioni delle domande proposte, nonchè il concreto svolgimento della vicenda processuale.

In siffatta situazione non è possibile l’esame nel merito delle censure avanzate contro la decisione impugnata.

1.2 Inoltre, per quanto è possibile evincere dal ricorso, ma soprattutto dalla sentenza impugnata, sembrerebbe che il M. abbia inteso contestare la regolarità della nomina dell’IFIR Piemonte – I.V.G. S.r.l., quale custode dell’immobile pignorato in suo danno e, di conseguenza, ottenere l’accertamento dell’illegittimità di tale nomina e della relativa attività svolta nel processo esecutivo dall’istituto quale custode, in particolare quella volta ad ottenere la liberazione dell’indicato immobile, nonchè il risarcimento dei conseguenti danni.

Così stando le cose (non derivando cioè i pretesi danni dal non corretto svolgimento dell’attività di custodia, ma dalla dedotta illegittimità della stessa nomina del custode, e quindi venendo in contestazione la legittimità di atti del processo esecutivo), la domanda proposta va qualificata come opposizione agli atti esecutivi, ai sensi dell’art. 617 c.p.c., mentre la richiesta ri-sarcitoria costituirebbe solo una domanda accessoria (da inquadrare ai sensi dell’art. 96 c.p.c.) per l’attività processuale svolta dal custode giudiziario illegittimamente nominato. Si tratta, comunque, di un giudizio in materia di esecuzione forzata (ai quali, come è noto, non è applicabile la sospensione feriale dei termini; ex plurimis: Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 22484 del 22/10/2014, Rv. 633022 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 8137 del 08/04/2014, Rv. 630934 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 171 del 11/01/2012, Rv. 620864 – 01; Sez. 3, Ordinanza n. 9998 del 27/04/2010, Rv. 612770 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 4942 del 02/03/2010, Rv. 611652 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 12250 del 25/05/2007, Rv. 597640 – 0:1; Sez. 3, Sentenza n. 2708 del 10/02/2005, Rv. 579852 – 01), con conseguente inammissibilità del ricorso anche in quanto tardivo, ai sensi dell’art. 327 c.p.c., comma 1, per essere stato notificato in data 30 novembre 2018, a fronte della pubblicazione in data 7 maggio 2018 della sentenza impugnata (e ciò anche prescindere dalla stessa ammissibilità dell’appello avverso la sentenza di primo grado).

1.3 Sono comunque inammissibili (lo si precisa anche a fini di completezza espositiva) i singoli motivi del ricorso.

1.3.1 Il primo motivo (con il quale si denunzia “falsa applicazione di legge in riferimento all’art. 281 sexies c.p.c. e violazione dell’art. 281 quinquies c.p.c., in riferimento agli artt. 112 e 101 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5)”) è inammissibile per un evidente difetto di specificità, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, trattandosi di censure non sufficientemente comprensibili e che di certo non colgono adeguatamente l’effettiva ratio decidendi della statuizione impugnata.

La corte di appello, dato conto che era stata dedotta, come motivo di gravame avverso la sentenza di primo grado, “la mancanza della contestualità tra dispositivo letto in udienza e motivazione, ovvero la mancanza “strutturale” della motivazione”, ha rilevato che, al contrario, il modello di trattazione previsto dall’art. 281 sexies c.p.c. si era svolto regolarmente, con la fissazione dell’udienza del 21 luglio 2016 per la discussione orale, discussione che si era tenuta con la presenza del difensore di parte attrice ed alla quale aveva fatto seguito, dopo la decisione, la lettura del dispositivo e della motivazione della medesima.

Il ricorrente, nel motivo di ricorso in esame, e nel contesto di una esposizione che – va ribadito – non consente assolutamente di comprendere con certezza il senso effettivo delle censure svolte, da un lato sembra intendere affermare che avrebbe dovuto darsi seguito alla sua richiesta di trattazione mista ai sensi dell’art. 281 quinquies c.p.c., dall’altro lato sembra intendere affermare che avrebbe dovuto essere concesso dal tribunale un termine per “note difensive”. In entrambi i casi si tratta di questioni nuove, che non risultano avanzate in sede di appello, e comunque manifestamente infondate, in quanto il giudice ben può disporre di ufficio la trattazione orale ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c. e, in tal caso, non è affatto tenuto a concedere alle parti termini per note scritte (che anzi sono precluse in tale modello di trattazione). 1.3.2 Anche il secondo motivo (con il quale si denunzia “mancata acquisizione della prova e mancata risposta sulla domanda ante causam inaudita altera parte; con erronea motivazione di legge ex art. 348 e ss. c.p.c. in riferimento agli artt. 112, 115 e 116 e violazione di legge in riferimento all’art. 118 c.p.c. e art. 210 c.p.c., comma 1 e art. 70 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5”) risulta esposto in modo tale per cui non è comprensibile la sostanza delle censure svolte e la rilevanza delle questioni confusamente agitate dal ricorrente, ai fini della decisione.

Il M. fa ripetutamente riferimento ad una sua domanda ante causam ed alla sua intenzione di “bloccare” il procedimento di rilascio dell’immobile pignorato in suo danno (procedimento in relazione al quale risulta peraltro pacificamente proposta in altra sede distinta azione di opposizione all’esecuzione): si tratta di questioni delle quali non viene adeguatamente chiarito il rilievo ai fini della specifica contestazione della decisione impugnata. Può peraltro essere sufficiente osservare in proposito che, in linea generale, le questioni attinenti ai procedimenti cautelari, ante causam ed in corso di causa, non danno luogo a decisioni definitive di merito e, quindi, non possono trovare ingresso nel giudizio di legittimità.

Torna poi sulla questione della trattazione orale della causa ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c., già oggetto del primo motivo, senza che sia possibile comprendere il significato e la rilevanza dell’ulteriore censura: in ogni caso, la decisione impugnata dà conto adeguatamente, come già esposto, del regolare svolgimento della fase decisoria del giudizio di primo grado.

1.3.3 terzo motivo (privo di intitolazione) riguarda infine la cancellazione di alcune frasi ingiuriose contenute negli scritti difensivi del ricorrente, disposta dalla corte di appello ai sensi dell’art. 89 c.p.c. ed è anch’esso inammissibile.

In proposito è sufficiente rilevare che, secondo il costante indirizzo di questa Corte (che il ricorso non contiene elementi tali da indurre a rivedere) “il potere del giudice di merito di ordinare la cancellazione di espressioni sconvenienti ed offensive utilizzate negli scritti presentati o nei discorsi pronunciati davanti al giudice costituisce un potere valutativo discrezionale volto alla tutela di interessi diversi da quelli oggetto di contesa tra le parti ed il suo esercizio d’ufficio, presentando carattere ordinatorio e non decisorio, si sottrae all’obbligo di motivazione, sicchè non è sindacabile in sede di legittimità, nè il relativo provvedimento, in caso di reiezione dell’istanza di cancellazione, è suscettibile di impugnazione” (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 14659 del 14/07/2015, Rv. 636164 – 01; nel medesimo senso, cfr.: Sez. 3, Sentenza n. 22186 del 20/10/2009, Rv. 610303 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 6439 del 17/03/2009, Rv. 607124 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 3487 del 12/02/2009, Rv. 606734 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 264 del 11/01/2006, Rv. 586193 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 12479 del 07/07/2004, Rv. 574277 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 17547 del 19/11/2003, Rv. 568302 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 12035 del 12/09/2000, Rv. 540117 – 01).

2. Il ricorso è dichiarato inammissibile.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

Deve inoltre farsi luogo alla condanna prevista dalla disposizione di cui all’art. 96 c.p.c., comma 3.

Il ricorso è infatti manifestamente inammissibile per una pluralità di ragioni autonome e distinte; dunque, la proposizione di siffatta impugnazione costituisce un evidente abuso dello strumento processuale da parte del ricorrente, che merita di essere sanzionato.

La Corte stima equo contenere tale condanna nella misura di Euro 2.500,00 (importo pari a quello liquidato per le spese del giudizio di legittimità), in favore della parte controricorrente. Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso;

condanna il ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore della società controricorrente, liquidandole in complessivi Euro 2.500,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali ed accessori di legge;

– condanna il ricorrente a pagare in favore della società controricorrente la somma di Euro 2.500,00 ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2020

 

 

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