Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27615 del 29/10/2019

Cassazione civile sez. III, 29/10/2019, (ud. 26/09/2019, dep. 29/10/2019), n.27615

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9595/2018 proposto da:

S.M., S.L.M.R., S.S. già

riassumenti nella loro qualità di eredi di

S.V.E., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MONTE DELLE GIOIE 13,

presso lo studio dell’avvocato CAROLINA VALENSISE, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato EMANUELE CERVIO;

– ricorrenti –

contro

B.L., B.B.M. in proprio e nella qualità di

coeredi di B.E., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

PIEMONTE 39, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRA GIOVANNETTI,

che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati MATTEO UGO

SOVERA, NICOLA ALESSANDRO MORVILLO;

– controricorrenti –

e contro

BO.AN.MA., D.D.G.;

– intimati –

nonchè da

D.D.G., elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA VESCOVIO 21 presso lo studio dell’avvocato TOMMASO MANFEROCE

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato FABIO ZICCARDI;

– ricorrente –

avverso la sentenza n. 5504/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 29/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26/09/2019 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con ricorso notificato il 20 marzo 2018 i figli di S.V.E., in qualità di suoi eredi, all’epoca dei fatti coniugato con D.D.G., ricorrono per ottenere la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Milano n. 5504/2017 depositata il 22 gennaio 2018 e notificata il 22 gennaio 2018. La sentenza si pone a definizione di un giudizio instaurato dagli eredi della vittima ( B.E.) di un illecito di circonvenzione di incapace perpetrato dalla moglie del ricorrente, qui ricorrente in via incidentale, in ragione del quale sono stati dichiarati inefficaci ex art. 2901 c.c., due atti di disposizione patrimoniale effettuati dai coniugi, rispettivamente nel 2006, dopo l’avvio delle indagini nei confronti della moglie D.D.G., e nel 2011, dopo la prima sentenza penale di condanna emessa nei confronti della moglie, in virtù di accordi presi all’atto di separarsi. In particolare la sentenza qui impugnata, a conferma della sentenza di primo grado, ha confermato la pronuncia di inefficacia, ex art. 2901 c.c., di un fondo patrimoniale costituito dai coniugi S.V.E. – D.D.G. il 4 luglio 2006, in cui erano confluiti i rispettivi beni, e della successiva trasmissione della metà della quota pro indivisa, effettuata a titolo oneroso dalla moglie a favore del marito, per un corrispettivo di Euro 250.000, in esecuzione degli accordi di separazione personale, omologata dal Tribunale di Milano con decreto del 22 febbraio 2011, perchè ritenuti tutti atti dispositivi eseguiti consapevolmente in danno delle ragioni dei creditori, in concomitanza con le indagini penali avviate nel 2006 nei confronti della coniuge, risultata diretta beneficiaria di numerosi atti di liberalità, per circonvenzione d’incapace, conclusasi prima con una pronuncia di condanna in primo grado della moglie, poi di assoluzione per non aver commesso il fatto in secondo grado e infine – nel 2015 – di accoglimento, in sede di giudizio di cassazione, dell’impugnazione delle parti civili, con rinvio degli atti alla Corte d’appello civile ex art. 622 c.p.c..

2. Il ricorso è affidato a quattro motivi. Le parti intimate hanno notificato controricorso, mentre Bo.An.Ma., terza chiamata nei giudizi di merito, è rimasta contumace. D.D. ha notificato controricorso e ricorso incidentale in data 21 marzo 2018, affidato a due motivi. Le parti hanno prodotto memorie.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in riferimento all’art. 112 c.p.c., per non avere la Corte risposto alle censure ed eccezioni mosse riguardo alla scientia damni in capo al marito, in relazione sia alla mancata conoscenza dell’accesso della Polizia Giudiziaria intervenuto nel 2006, presso l’abitazione coniugale, sia al contenuto di una lettera del gennaio 2011, con la quale egli aveva manifestato alla moglie la sua volontà di seprarasi in ragione delle vicende penali che avevano intaccato la sua fiducia nella moglie.

1.1. Il motivo è inammissibile ex art. 366 c.p.c., n. 4, per mancanza di specificità rispetto alla complessa situazione familiare in cui si è verificato l’illecito, analizzata funditus dalla Corte d’appello, con richiamo alla ricostruzione dei fatti operata dal giudice di primo grado (corretta in punti privi di rilievo per questo giudizio), posto che il giudice di merito, nel suo argomentare, ha messo in rilievo gli argomenti idonei a scalfire la versione del coniuge S., in tesi tenuto all’oscuro del procedimento penale a carico della moglie. Ed invero, la Corte di appello ha svolto considerazioni in merito alla 1) inverosimiglianza dell’allegata ignoranza del coniuge, medico curante della vittima, convivente coi due coniugi, con figli avvocati, uno dei quali ha assistito alla perquisizione che aveva fatto emergere una situazione in grado di incidere pesantemente sul patrimonio familiare (v. p. 10 della sentenza); 2) inverosimiglianza delle ragioni familiari che hanno indotto, a due mesi circa dalla perquisizione, i coniugi a costituire un fondo patrimoniale dopo 46 anni di matrimonio, giustificata solo dalla intenzione di tutelare 11 nipoti; 3) strumentalità del successivo atto dispositivo intervenuto in sede di accordo di separazione, avvenuto dopo la definizione del giudizio penale di primo grado, attraverso il quale la coniuge separata ha ricevuto denaro in cambio della cessione della quota parte indivisa dei beni confluiti a titolo gratuito nel fondo patrimoniale (una villa, mobilio e immobile coniugali e un’ imbarcazione); 4) incapienza del patrimonio residuo della coniuge, rappresentato dal bene immobile di (OMISSIS) direttamente ricevuto dall’incapace, di minor valore, rispetto al danno preteso, ammontante in oltre Euro 1.500.000.

1.2. Nel caso di specie, il motivo non si raccorda al nucleo decisionale, che ha dato rilievo alla sequenza temporale dei fatti rispetto agli atti dispositivi per verificare la sussistenza della scientia damni in capo al coniuge (dichiaratosi all’oscuro dei fatti), tutti immediatamente successivi alla condotta illecita ascritta alla coniuge, denotanti quindi la consapevolezza, cui va comparata l’agevole conoscibilità, del pregiudizio che l’atto è in grado di arrecare alle ragioni dei creditori. Difatti è stata data prevalenza significativa e indiziaria i) alla costituzione di un fondo patrimoniale costituito nel luglio 2006 dai due coniugi, a 45 anni di matrimonio, a pretesa tutela di 11 nipoti, poco tempo dopo l’accesso nell’abitazione coniugale da parte della Polizia Giudiziaria (intervenuto nel maggio 2006, in presenza della moglie e di un figlio avvocato, per effettuare una perquisizione e un sequestro di documentazione) e ii) alla separazione personale intervenuta immediatamente dopo la condanna penale in primo grado subita dalla moglie, nel gennaio 2011, e dunque al valore indiziario discendente dagli stretti rapporti familiari tra le parti degli atti, tra loro collegati, che sono stati ritenuti revocabili.

2. Con il secondo motivo, sempre in riferimento alla scientia damni, si deduce la sussistenza di una motivazione apparente, con violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, ex art. 360 c.p.c., n. 4, in quanto la Corte d’appello, nel rigettare l’appello, si sarebbe limitata ad affermare che dalla mancata risposta ad alcune deduzioni difensive non deriva un vizio invalidante della sentenza e avrebbe dato fondamentale rilievo al rapporto di coniugio.

2.1. Il motivo è inammissibile perchè, da un lato, la Corte ha dato ampia ragione del motivo di rigetto dell’appello, riferita al caso concreto, dall’altro ha richiamato giurisprudenza consolidata con riguardo alla presunzione di “conoscenza del pregiudizio”) di cui il primo elemento si trae dal rapporto di coniugio, senza necessità di prova dell’intenzione di nuocere i creditori, mentre il secondo si concretizza con la commissione della condotta illecita, da cui deriva la pretesa risarcitoria, ritenendo “intangibile l’accertamento della Corte Suprema circa l’avvenuta commissione dell’illecito civile di circonvenzione d’incapace “(v. p. 9 sentenza).

3. Con il terzo motivo si denuncia, in subordine, ex art. 360 c.p.c., n. 3, l’utilizzo di un percorso logico inferenziale di tipo presuntivo, legato alle massime di esperienza, in violazione degli artt. 115,2727,2729 e 2901 c.c., dando valore di prova privilegiata al rapporto di coniugio. Con il quarto motivo si deduce violazione o falsa applicazione di norma di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3, in riferimento agli artt. 2697,2727,2729 e 2901 c.c., per avere erroneamente sussunto la norma di cui all’art. 2729 c.c., riguardo al requisito della scientia damni ex art. 2901 c.c., mancando i requisiti di gravità e concordanza degli indizi considerati, in dissonanza con altre circostanze, (mancata presenza alla perquisizione, rapporto travalicante quello di amicizia assunto dalla moglie, lettera inviata alla moglie prima della pronuncia di condanna da parte del Tribunale).

3.1. La Corte d’appello, e il Tribunale prima, hanno tratto considerazioni non solo dal rapporto di coniugio, ma dalla particolarità della vicenda esaminata che è in grado di mettere in luce circostanze in ragione delle quali il coniuge, allora medico in pensione, non potesse essere del tutto all’oscuro delle accuse mosse alla moglie dai familiari della vittima, da lui ben conosciuta e curata, e dalla repentinità con cui i coniugi si sono accinti, a cinque anni dai fatti e dopo avere festeggiato le nozze d’oro, a separarsi dopo la condanna della moglie in sede di primo giudizio penale, in grado di mettere meglio in luce i contorni di una vicenda nata e conclusa nell’ambito familiare.

3.2. I motivi sono inammissibili in quanto pongono in termini di violazione di legge censure che entrano nel merito della valutazione del fatto, svolta dalla Corte sulla base di circostanze indiziarie rinvenibili in un inconsueto contesto familiare e coniugale, ove la vittima, incapace, è stata accolta in casa e curata da entrambi i coniugi, suoi medici curanti, sin dal 1991, mentre l’indagine penale è stata avviata alla morte della vittima, su iniziativa degli eredi; la prova di consapevolezza del pregiudizio agli interessi dei creditori – gli eredi – che se ne è tratta è logicamente congruente con gli elementi presi in considerazione al fine di ritenere, con ragionamento presuntivo conseguente e logico, che anche il marito fosse consapevole del procedimento penale che si era aperto nei confronti della coniuge, diretta beneficiaria delle elargizioni fatte dalla vittima, tra le quali vi era anche una villa all'(OMISSIS) ((OMISSIS)), risultata oltretutto quale unico bene rimasto intestato alla moglie dopo gli accordi succitati. Invero, i giudici di merito hanno apprezzato un contesto familiare ben più complesso di quello descritto dal ricorrente principale in termini semplicistici, teso a mettere in rilievo la sofferenza di un marito per l’emersione del tradimento della moglie che l’avrebbe tenuto all’oscuro sia della relazione personale instaurata per lungo tempo con la vittima, sia del procedimento penale avviato nei suoi confronti, che permette di andare oltre la mera considerazione della presunzione tratta dal rapporto di coniugio o dalle massime di esperienza, potendo dai suddetti elementi desumersi che il marito non potesse essere inconsapevole delle iniziative che gli eredi della vittima potevano vantare nei confronti della moglie, risultata primaria diretta destinataria delle elargizioni dell’incapace confluite, prima, nel patrimonio comune coniugale, poi, in quello familiare e, in ultimo, in quello esclusivo del marito.

3.3. Nel caso in esame, la prova riguarda un fatto, ovvero quanto avvenuto in interiore homine in ordine alla determinazione a effettuare atti di disposizione patrimoniale risultati in evidente pregiudizio delle ragioni dei creditori, comunque non certamente acquisibile in termini di prova certa, posto che la dedotta ignoranza del fatto pregiudizievole per i creditori non può essere desunta dal solo fatto di non essere stato presente alla perquisizione domiciliare e di essere stato tenuto all’oscuro della relazione instaurata dalla coniuge con la vittima incapace, mentre la consapevolezza del fatto pregiudizievole peri creditori può essere più facilmente desunta da più circostanze obiettive, riferite alla situazione per come ricostruita in concreto. La prova presuntiva, infatti, in null’altro consiste se non in un ragionamento logico-deduttivo che, sulla base di fatti noti, consente di risalire a fatti ignoti.

Invero, se da un lato la prova presuntiva non può essere svilita ad una mera massima di esperienza, è altresì vero che essa può essere cercata anche d’ufficio, una volta che la parte abbia dedotto e provato i fatti noti che ne possono costituire il fondamento. Pertanto, quando i fatti noti siano ritualmente entrati nel materiale utilizzabile ai fini della decisione, il giudice deve comunque procedere a quel ragionamento: vuoi per trarne la prova dei fatti allegati da una parte; vuoi per concludere che i fatti noti di cui dispone sono privi dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, e non consentono di risalire al fatto ignorato (Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 17058 del 11/07/2017; Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 2788 del 31/01/2019). Si rammenta, poi, che incombe sulla parte a cui sfavore grava la presunzione dare la prova contraria ed idonea a vincerla, con valutazione spettante comunque al giudice di merito, anche nel caso in cui detta prova risulta difficilmente ottenibile, come nel caso del danno morale (Cass. sez. 3, n. 13546/2006).

3.4. Nel contesto fattuale esaminato dai giudici, invero, si prospettava certamente come meno plausibile la versione – soggettiva – del marito in ordine all’invocata ignoranza dei fatti, ritenuta non adeguatamente provata a fronte della puntualità con cui le cessioni dei beni sono intervenute in concomitanza con lo sviluppo delle indagini penali avviate nei confronti della moglie, del tutto in grado quindi di evidenziare la consapevolezza dei coniugi in ordine al pregiudizio che le indagini avrebbero potuto arrecare al loro patrimonio. Da tali fatti, tutti accertati, si è dunque risalito al fatto ignoto, ovvero l’aver agito con la consapevolezza di ledere le ragioni dei creditori.

4. RICORSO INCIDENTALE. La coniuge D.D., con il primo motivo, deduce violazione dell’art. 2901 c.c., per essere stata negata rilevanza alla “forte anteriorità” della costituzione del fondo patrimoniale rispetto al primo manifestarsi dell’insorgenza di un credito delle parti attrici che hanno agito in revocatoria.

4.1. Il motivo è inammissibile, in quanto il pregiudizio per gli eredi, in tal caso, si è concretizzato in tutta la sua evidenza al tempo della commissione del fatto illecito da parte della ricorrente incidentale, determinativo del danno preteso iure hereditatis, e non all’iniziativa formale di costituzione di parte civile degli eredi, intervenuto il 22 gennaio 2008, come correttamente ritenuto dai giudici di merito. In ogni caso la censura non si correla alla vicenda per come ricostruita perchè il fondo patrimoniale è stato costituito dopo la perquisizione operata dalla PG ed è da quella data che vi e stata l’assunzione di piena consapevolezza circa il tenore della contestazione mossa dalla pubblica accusa nei confronti della ricorrente.

5. Con il secondo motivo si deduce violazione degli artt. 158 e 2901 c.c., per avere negato la sentenza la natura onerosa e restitutoria degli accordi raggiunti tra i coniugi nell’ambito della separazione consensuale, presumendone in via assoluta la gratuità.

5.1. Il motivo è inammissibile in quanto non coglie la ratio della decisione.

5.2. I giudici di merito hanno ritenuto superata la presunzione di onerosità di tale passaggio in sede di accordo di separazione in considerazione delle modalità con le quali si era concluso, volte a far apparire come oneroso il passaggio definitivo della quota indivisa dei beni, appartenente alla moglie, andato a sostanziale favore del marito.

5.3. L’interpretazione offerta dai giudici si concilia con quanto indicato da ultimo dalla S.C. in una fattispecie assimilabile, ovvero che “il richiamo, nell’ambito dell’accordo con il quale i coniugi fissano consensualmente le condizioni della separazione, ad un precedente atto di costituzione di fondo patrimoniale, non determina il venir meno della natura gratuita di quest’ultimo, il quale, pertanto, è suscettibile di revocatoria ordinaria ai sensi dell’art. 2901 c.c., comma 1, n. 1, non trovando tale azione ostacolo nè nell’avvenuta omologazione dell’accordo suddetto – cui resta estranea la funzione di tutela dei terzi creditori e che, comunque, lascia inalterata la natura negoziale della pattuizione -, nè nella pretesa inscindibilità di tale pattuizione dal complesso delle altre condizioni della separazione, nè, infine, nella circostanza che la costituzione del fondo patrimoniale sia stata pattuita in funzione solutoria dell’obbligo di mantenimento del coniuge economicamente più debole o di contribuzione al mantenimento dei figli, venendo nella specie in contestazione non già la sussistenza dell’obbligo in sè, di fonte legale, ma le concrete modalità di assolvimento del medesimo, convenzionalmente stabilite dalle parti” (Sez. 3 -, Ordinanza n. 9798 del 09/04/2019; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11914 del 13/05/2008). Tenendo conto dell’inscindibile collegamento tra la prima e la seconda attribuzione patrimoniale, ritenute dai giudici essere avvenute in pregiudizio dei creditori per come nei fatti e nel tempo sono state attuate dai due coniugi, culturalmente attrezzati per potere percepire gli effetti delle disposizioni patrimoniali effettuate, i giudici ne hanno valutato la natura essenzialmente gratuita anche in rapporto al valore di scambio (Euro 250.000,00) rispetto al valore intrinseco della quota ceduta di cui è mancata la prova del versamento. E inoltre hanno considerato anche la presenza di un’evidenza della intenzione, comune ai coniugi separandi, di sottrarre i beni ai creditori (qualificata come consilium fraudis) nel secondo passaggio delle quote indivise dei beni immobili andate a favore del marito, desumibile dalla celerità con cui i due coniugi si sono separati e hanno formalizzato gli accordi patrimoniali accessori, allorquando il giudice penale aveva concesso una provvisionale a favore degli eredi a carico della moglie, pari a Euro 1.500.000,00, rimasta insoddisfatta in sede esecutiva, a distanza di cinque anni dal primo atto di indagine.

6. Conclusivamente, la Corte dichiara inammissibili il ricorso principale e il ricorso incidentale, con ogni conseguenza in ordine alle spese, che si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014,a favore delle parti separatamente resistenti.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale e incidentale e condanna i ricorrenti alle spese in favore dei resistenti, liquidate in Euro 13.000,00 a carico di ciascuno di essi, oltre Euro 200,00 per spese, spese forfettarie al 15% e oneri di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto, rispettivamente, per il ricorso principale e incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 26 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2019

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