Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27614 del 11/10/2021

Cassazione civile sez. I, 11/10/2021, (ud. 08/07/2021, dep. 11/10/2021), n.27614

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 10187/2019 R.G. proposto da:

M.Q., rappresentato e difeso dall’avv. Clementina Di Rosa,

con domicilio eletto presso il suo studio, sito in Napoli, via G.

Porzio, centro direzionale, is. G1;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– resistente –

avverso il decreto del Tribunale di L’Aquila, n. 543/2019, depositato

il 14 febbraio 2019.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio dell’8 luglio

2021 dal Consigliere Dott. Paolo Catallozzi.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– M.Q. ha proposto ricorso per cassazione avverso il decreto del Tribunale di L’Aquila, depositato il 14 febbraio 2019, di reiezione dell’opposizione dal medesimo proposta avverso il provvedimento della Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Firenze, che aveva respinto la sua domanda per il riconoscimento della protezione internazionale;

– dall’esame del decreto impugnato emerge che a sostegno della domanda il richiedente aveva allegato che era stato costretto a fuggire dal proprio paese (Pakistan) a causa delle minacce di morte ricevute per non aver restituito un prestito di sei milione di rupie;

– il giudice ha disatteso l’opposizione evidenziando che non sussistevano delle condizioni per il riconoscimento delle domande proposte;

– il ricorso è affidato a quattro motivi;

– il Ministero dell’Interno non si costituisce tempestivamente, limitandosi a depositare atto con cui chiede di poter partecipare all’eventuale udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo del ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 3, 5, 6, 7, 8 e 14, per aver il decreto impugnato escluso sia il riconoscimento dello status di rifugiato, sia la protezione sussidiaria, benché dal suo racconto, nonché dalle informazioni disponibili sul paese di provenienza, emergesse la sussistenza di un pericolo concreto e attuale di subire ulteriori violenze, oltre che trattamenti degradanti e disumani o, comunque, di una minaccia grave e individuale alla vita derivante da violenza indiscriminata riconducibile all’operato di gruppi armati di ispirazione religiosa, nonché all’esistenza di una gravissima emergenza socio-sanitaria;

– il motivo è inammissibile;

– la doglianza si risolve, in parte, in una generica contestazione della decisione del Tribunale, senza prendere in esame e sottoporre a vaglio critico le ragioni poste a sostegno;

– la proposizione di una doglianza priva di censure specifiche avvero il decisum del provvedimento impugnato è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dalli art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4), con la conseguente inammissibilità della stessa (cfr. Cass., ord., 7 settembre 2017, n. 20910);

– dall’altro lato, la censura verte sulla valutazione, asseritamente errata, della situazione del Paese di origine, quale risultante dalle Country of Origin Information aggiornate;

– anche sotto questo diverso profilo, l’esame delle critiche non può trovare ingresso, attesa la genericità delle stesse, e, comunque, il puntuale richiamo da parte del Tribunale, a sostegno dell’accertamento compiuto, ad aggiornata e autorevole fonte internazionale (rapporto Amnesty 2017-2018), da cui emerge l’inesistenza della asserita minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale;

– sul punto, il giudicante ha, infatti, evidenziato, alla luce della menzionata fonte, che la forte instabilità che interessa il Pakistan e, in particolare, la criminalità che interessa la zona di provenienza del richiedente, seppur “pervasiva”, non presenta i caratteri propri del conflitto armato generalizzato, rilevante ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c);

– con il secondo motivo il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, per aver il Tribunale negato il permesso di soggiorno per motivi umanitari senza aver adeguatamente apprezzato la sua condizione di peculiare vulnerabilità;

– evidenzia, in proposito, la “condizione di vulnerabilità soggettiva ed oggettiva, determinata dalla giovane età, dall’assenza di legami sociali attuali” e la critica situazione socio-politica del Paese di provenienza, oltre che le violenze subite nel Paese di transito, tali da esporlo a compressione di diritti umani e gravi pregiudizi in caso di rimpatrio;

– con l’ultimo motivo si duole dell’omesso esame di un fatto controverso e decisivo del giudizio, nella parte in cui, con riferimento all’esame della domanda per il riconoscimento della protezione umanitaria, ha omesso di prendere in esame elementi di vulnerabilità soggettiva e oggettiva del richiedente, quali la giovane età, le violenze subite, l’assenza di legami sociali nel paese di origine, il clima di diffusa insicurezza in tale paese e il grado di integrazione nel territorio nazionale;

– i motivi, esaminabili congiuntamente, sono inammissibili;

– in tema di ricorso per cassazione, il ricorrente che proponga una determinata questione giuridica – che implichi accertamenti di fatto ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione (così, Cass., ord., 21 novembre 2017, n. 27568);

– in relazione alle circostanze di fatto indicate nel ricorso e asseritamente non tenute in debita considerazione dal Tribunale, parte ricorrente non ha assolto ad un siffatto obbligo;

– sul punto, si osserva che il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza;

– il Tribunale ha escluso un siffatto esito della valutazione comparativa effettuata, con statuizione non puntualmente censurata in cui si dà atto che il richiedente non ha indicato motivi specifici riguardanti la sua situazione nel nostro Paese a fondamento della richiesta di protezione umanitaria;

– con riferimento al prospettato vizio motivazionale, lo stesso è privo del necessario requisito di specificità, avendo il ricorrente omesso di indicare in quale atto i fatti asseritamente non esaminati sarebbero stati allegati;

– con il terzo motivo il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3 e art. 27, comma 1 bis, per aver il decreto impugnato omesso di compiere un’esatta e compiuta disamina dell’attuale quadro socio-politico di riferimento, così come risultante dalle più autorevoli Country of Origin information;

– il motivo è inammissibile, in quanto, come rilevato in precedenza, il Tribunale, diversamente da quanto posto dal ricorrente a sostegno della doglianza, ha effettuato un siffatto esame, attribuendo rilevanza ad autorevole fonte internazionale;

– il ricorso, pertanto, non può essere accolto;

– nulla va disposto in ordine al governo delle spese del giudizio, in

assenza di attività difensiva della parte vittoriosa.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile.

Ai sensi del D.P.R. n. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 8 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2021

 

 

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