Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27612 del 29/10/2019

Cassazione civile sez. III, 29/10/2019, (ud. 26/09/2019, dep. 29/10/2019), n.27612

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18204/2018 proposto da:

P.G., domiciliato ex lege in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato ROBERTO FRATE;

– ricorrente –

contro

C.M., O.G., O.R., S.R.,

T.F.;

– intimati –

nonchè da:

C.M., O.R., O.G., domiciliate ex lege in

ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentate

e difese dall’avvocato PIERFELICE ANNESE;

– ricorrenti incidentali –

contro

S.R., domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

ANTONIO LOIACONO;

– controricorrente all’incidentale –

e contro

T.F., P.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 712/2017 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 08/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26/09/2019 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con ricorso notificato il 28-29 maggio 2018 P.G., locatario di un immobile adibito a cinema, terzo chiamato in causa dal proprietario O.O., deceduto in corso di causa (cui sono subentrati gli attuali eredi controricorrenti O.M.C., G. e O.R.) impugna la sentenza della Corte d’appello di Bari n. 712/17, pubblicata l’8 giugno 2017, con la quale venivano rigettati gli appelli principali e incidentali avverso le sentenze definitiva e non definitiva pronunciate in un giudizio instaurato da S.R. per vedere riconosciuto il diritto ad essere risarcita dei danni subiti alla propria proprietà immobiliare in conseguenza di lavori di ristrutturazione eseguiti sull’immobile ad uso commerciale e adibito a cinema, adiacente al proprio, di proprietà dell’ O., locato a P.G., con appalto eseguito dall’impresa T., da quest’ultimo incaricato su assenso del proprietario dell’immobile. Il danno si era verificato perchè i lavori di ristrutturazione in corso di esecuzione, commissionati dal conduttore dell’immobile, il 30 ottobre 2007 avevano determinato lesioni alla struttura portante che si riverberavano sull’edificio di proprietà dell’attrice, quantificati in Euro 113.000 e ciò sulla base di una CTU acquisita. Il contraddittorio avviato inizialmente nei confronti del solo proprietario dell’immobile e dell’impresa appaltatrice, su chiamata di quest’ultimo veniva esteso al conduttore qui ricorrente, committente dell’opera, che deduceva un vizio della propria chiamata in giudizio per non avere il convenuto chiamante in causa, o comunque il giudice, provveduto a spostare la prima udienza ex art. 269 c.p.c., comma 2.

2. Il ricorso è affidato a n. 2 motivi inerenti sia alla questione processuale inerente alla irrituale chiamata del terzo, sia alla condanna nel merito del terzo chiamato.

3. Le parti intimate, eredi del proprietario O., anch’esso condannato a risarcire il danno in solido con il locatore l’impresa esecutrice dei lavori, hanno proposto controricorso e ricorso incidentale per quanto riguarda la loro posizione, contrapposta a quella del locatario, nei termini indicati in epigrafe. S.R. ha notificato a sua volta controricorso per resistere ai due ricorsi principale e incidentale.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. RICORSO PRINCIPALE. Con il primo motivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, il ricorrente principale deduce l’irritualità della chiamata in causa del 30 responsabile da parte del convenuto nel giudizio di 10 grado, con conseguente nullità del procedimento ex art. 101 c.p.c., art. 100 c.p.c., comma 6, artt. 167 e 269 c.p.c.. Quale motivo formulato in via subordinata rispetto al la deduce ex art. 360 c.p.c., n. 3 violazione o falsa applicazione degli artt. 2043,2049 e 2051 c.c., con riguardo alla parte della sentenza che ha ritenuto la sussistenza di una sua responsabilità, nonostante la responsabilità dell’appalto fosse imputabile all’appaltatore che ha eseguito i lavori.

1.1. I motivi sono infondati.

1.2. Per quanto riguarda la chiamata in causa del locatario, come già statuito da questa Corte, il terzo chiamato difetta di interesse ad eccepire l’irregolarità della propria chiamata in giudizio per motivi dipendenti dalla corretta instaurazione del rapporto processuale originario, cui esso è estraneo (cfr. Cassazione, sezione 6-3, sentenza numero 10.579 del 7 maggio 2013, nonchè Sez. 2 -, Sentenza n. 10382 del 30/04/2018), atteso che il suo interesse a far valere questioni relative al rapporto processuale originario è correlato esclusivamente alla correttezza della decisione in merito o in rito su di esso e non anche alla stessa ritualità della chiamata in giudizio. La contestazione de qua, sia che riguardi un rapporto di garanzia che una chiamata in responsabilità, inerisce alla ritualità della chiamata solo con riguardo al rapporto processuale originario, poichè è diretta a censurare la regolare instaurazione del rapporto processuale tra l’attore e il convenuto e non è suscettibile di pregiudicare la decisione sulla posizione del terzo, avendo solo determinato l’ingresso del terzo nel processo, che altrimenti sarebbe stato precluso. Tale entrata non determina un pregiudizio per il terzo, se considerata rispetto al rapporto di garanzia o alla chiamata in responsabilità: è solo espressione del potere di azione del convenuto, che esiste nei confronti del terzo a prescindere dalle modalità con cui avrebbe dovuto esercitarsi nell’ambito del processo originario e che, dunque, non può essere censurato quanto ad irritualità del suo esercizio nell’ambito di quel rapporto.

1.3. Quanto al profilo della responsabilità accertata, nella motivazione della sentenza si legge che il conduttore è stato autorizzato dal proprietario, e in ciò si è contrattualmente impegnato, a compiere i lavori di ristrutturazione, godendo della piena disponibilità del bene, e che ha incaricato l’impresa appaltatrice a eseguire lavori secondo le necessità stabilite nel negozio di locazione, chiarendo che la specifica responsabilità per i danni causati alla proprietà adiacente non è solo riconducibile alla – omessa – custodia del bene da parte del locatario committente, quanto all’intervento che sul bene è stato compiuto per volontà del locatore e del locatario, ravvisando vari titoli di concorrente responsabilità, derivanti dagli artt. 2043,2051 e 2049 c.c.: difatti i danni sono stati provocati dalle modifiche di carattere strutturale dell’immobile, con la riduzione ad un unico livello delle arcate delle due parti posteriori dell’immobile, voluti sia dal proprietario che dal locatario, ed eseguiti dalla impresa incaricata. Le deduzioni della Corte d’appello riguardano in realtà considerazioni in fatto insindacabili in tale sede, e sono relative alla posizione particolare acquisita dal conduttore-committente nella realizzazione dell’opera, al quale è stata data la disponibilità dell’immobile, e ha commissionato l’opera di ristrutturazione all’appaltatore.

1.4. In relazione alla sussistenza di un concorso di titoli di responsabilità del committente ex artt. 2043,2049 e 2051 c.c., del proprietario ex art. 2043 e 2051 c.c. e dell’appaltatore, in via tra loro solidale, verso il terzo danneggiato, i principi applicati sono corretti perchè la responsabilità del committente non si ravvisa solo qualora quest’ultimo abbia impartito direttive all’appaltatore, determinando il suo operare quale nudus minister, unica ipotesi in cui si esclude la responsabilità contrattuale dell’appaltatore, poichè verso i terzi danneggiati, estranei al contatto di appalto, prevale il principio del neminem laedere di cui sono espressione anche i doveri del custode e del preponente, ex artt. 2051 e 2049 c.c., e ciò a prescindere da qualsiasi ripartizione interna di responsabilità tra committente e appaltatore. Vero è che in materia di appalto, l’appaltatore esplica l’attività che conduce al compimento dell’opus perfectum in piena autonomia, con propria organizzazione ed a proprio rischio, apprestando i mezzi adatti e curando le modalità esecutive per il raggiungimento del risultato. Ciò, in linea di principio, non solo esclude la configurabilità di un rapporto institorio tra committente ed appaltatore, ma implica anche che solo l’appaltatore debba, di regola, ritenersi responsabile dei danni derivati e terzi nella (o dalla) esecuzione dell’opera (tra le tante, Cass., Sez. 3″, 16 maggio 2006, n. 11371). Il principio connesso alla struttura del contratto di appalto comporta, tuttavia, correttivi sia quando si ravvisino a carico del committente specifiche violazioni del principio del neminem laedere riconducibili all’art. 2043 c.c. (e tale potrebbe essere il tralasciare del tutto ogni sorveglianza nella fase esecutiva nell’esercizio del potere di cui all’art. 1662 c.c.), sia quando l’evento dannoso gli sia addebitabile a titolo di culpa in eligendo per essere stata l’opera affidata ad impresa che palesemente difetta delle necessarie capacità tecniche ed organizzative per eseguirla correttamente, sia quando l’appaltatore, in base ai patti contrattuali o nel concreto svolgimento del contratto, sia stato un semplice esecutore di ordini del committente e privato della sua autonomia a tal punto da aver agito come nudus minister di questo, sia, infine, quando il committente si sia, di fatto, ingerito con singole e specifiche direttive nelle modalità di esecuzione del contratto o abbia concordato con l’appaltatore singole fasi o modalità esecutive dell’appalto. In tutti questi casi il committente potrà essere tenuto come responsabile, in via diretta, con l’appaltatore per i danni cagionati al terzo (Cass., Sez. 2″, 12 maggio 2003, n. 7273; Cass., Sez. 3″, 20 aprile 2004, n. 7499; Cass., Sez. 3″, 21 giugno 2004, n. 11478;Cass., Sez. 3″, 1 giugno 2006, n. 13131, cit.; Cass., Sez. 3″, 30 settembre 2008, n. 24320; Sez. 2, Sentenza n. 2363 del 2012).

1.5. In sintesi, la regola per la quale risponde il solo appaltatore ove abbia operato in autonomia con propria organizzazione e apprestando i mezzi a ciò necessari, o il solo committente, nel caso in cui si sia ingerito nei lavori con direttive vincolanti, che abbiano ridotto l’appaltatore al rango di “nudus minister”, certamente vale nei rapporti contrattuali interni tra committente e appaltatore, ma non vale per altre ipotesi intermedie, per le quali possono rispondere, solidalmente, tutti i soggetti che abbiano contribuito, a diverso titolo, a cagionare un danno a un terzo, qualora la loro ingerenza nei lavori appaltati si sia manifestata attraverso atti o direttive che abbiano soltanto ridotto l’autonomia dell’appaltatore, sino a potere trovare applicazione anche nei rapporti interni tra le parti del contratto di appalto, nell’ipotesi in cui una di esse, sussistendo una responsabilità (esclusiva o concorrente) dell’altra, agisca in rivalsa (cfr. Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 11194 del 24/04, 2019: nella specie, la S.C. ha ritenuto esente da critiche la sentenza che, in sede di rivalsa azionata dal committente nei confronti dell’appaltatore, aveva riscontrato, conformemente all’art. 1227 c.c., comma 2, una corresponsabilità del committente per aver condiviso la scelta operativa di demolire i muri perimetrali della struttura). Ed invero, la responsabilità per avere minato la stabilità delle strutture portanti dell’immobile locato e per aver cagionato danni a terzi, non può essere ricondotta al solo appaltatore che, per specifiche competenze, è in grado di comprendere i rischi conseguenti agli interventi edili, ma può essere ricondotta anche al committente in ragione della scelta operata sia dell’opera che dell’appaltatore. La medesima logica si rinviene, in maniera ancora più evidente, nella statuizione giurisprudenziale in base alla quale la clausola di un contratto di appalto che preveda a totale ed esclusivo carico dell’appaltatore i danni che i terzi dovessero subire dall’esecuzione delle opere, lasciando indenne il committente, non può essere invocata quale ragione di esenzione dalla propria responsabilità risarcitoria nei confronti del terzo danneggiato per effetto di quei lavori, atteso che tale clausola, operando esclusivamente nei rapporti fra i contraenti, alla stregua dei principi generali sull’efficacia del contratto fissati dall’art. 1372 c.c., non può vincolare il terzo a dirigere verso l’una, anzichè verso l’altra parte, la pretesa nascente dal fatto illecito occasionato dall’esecuzione del contratto (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2363 del 17/02/2012; Cass., Sez. Un., 14 ottobre 1980, n. 5496).

2. APPELLO INCIDENTALE. Gli eredi del proprietario dell’immobile, in relazione al secondo motivo di ricorso principale del locatario, denunciano in via incidentale, e in parziale adesione al ricorso principale, la violazione degli artt. 2043,2051 e 2049 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, nella parte in cui la sentenza parziale, confermata nella definitiva di 1^ grado e poi ripresa nella sentenza di appello, ha affermato la responsabilità solidale di tutti i soggetti coinvolti nell’appalto per i danni provocati dalle opere di ristrutturazione, laddove ha sancito che il proprietario ha ex lege l’obbligo di vigilanza sullo stato di conservazione e di efficienza delle strutture edilizie e degli impianti riferito alla sua proprietà, nonostante risulti che solo in via postuma il proprietario abbia controfirmato presso il Comune la denuncia delle opere. In sostanza, nel motivo si deduce che non sarebbe stato considerato che il conduttore era stato autorizzato dal proprietario a compiere i lavori, godendo della piena disponibilità del bene, venendo così in evidenza la specifica sua esclusiva responsabilità, non tanto commisurabile alla custodia del bene da parte del locatario, quanto rispetto all’intervento che sul bene è stato compiuto dal conduttore in sua assoluta e completa libertà. Deduce poi che nel caso di specie non è stata raggiunta la prova di alcuna circostanza a supporto di una eventuale deroga al principio di responsabilità del solo appaltatore deducendo che la responsabilità del proprietario dell’immobile concesso in locazione per danni derivanti da un’ attività di ristrutturazione non opera in senso oggettivo, richiedendo una condotta colposa che nel caso di specie non sussiste.

2.1. Il motivo è infondato. La sentenza numero 12.019-1991 delle sezioni unite della Corte di cassazione ha statuito che, in presenza di danni a terzi nella locazione, occorre distinguere tra “fatto della cosa” e “fatto dell’uomo” ai fini dell’individuazione dell’ambito di applicazione dell’art. 2051 c.c., in luogo dell’art. 2043 c.c., poichè il danno si considera cagionato dalla cosa quando prodotto da essa per effetto dell’intrinseco dinamismo, al di fuori di un’ azione diretta dell’uomo, mentre l’illecito aquiliano è riferibile a un’attività umana. Tale elemento di discrimine tuttavia non vale, di per sè, a regolare diversamente il caso in questione, perchè occorre considerare che la Corte ha ravvisato più piani di responsabilità in capo ai soggetti coinvolti nei lavori di appalto, tutti tra loro concorrenti sotto il profilo causale. Ed invero, la Corte d’appello ha ritenuto, all’esito dell’istruttoria, di dover affermare che la responsabilità dei soggetti coinvolti sussiste, a diverso titolo, applicando i generali principi in tema di concorso nella responsabilità nell’illecito civile che trovano fondamento nell’art. 2055 c.c., dettato in tema di responsabilità extracontrattuale. Come affermato da Cass. Sez. U. 15 luglio 2009, n. 16503, “in contrapposizione all’art. 2043 c.c., che fa sorgere l’obbligo del risarcimento dalla commissione di un “fatto” doloso o colposo, il successivo art. 2055 c.c., considera, ai fini della solidarietà nel risarcimento stesso, il “fatto dannoso”, sicchè, mentre la prima norma si riferisce all’azione del soggetto che cagiona l’evento, la seconda riguarda la posizione di quello che subisce il danno, ed in favore del quale è stabilita la solidarietà tra i responsabili”. Nella responsabilità solidale dei danneggianti, l’art. 2055 c.c., comma 1, pertanto, richiede solo che il fatto dannoso sia imputabile a più persone, ancorchè le condotte lesive siano fra loro autonome, e pure se diversi siano i titoli di responsabilità di ciascuna, anche nel caso in cui siano configurabili titoli di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, atteso che l’unicità del fatto dannoso considerata dalla norma è riferita unicamente al danneggiato, e non va intesa come identità delle norme giuridiche da essi violate (Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 1070 del 17/01/2019; Sez. 3, Sentenza n. 27713 del 16/12/2005).

2.2. Conseguentemente, l’avere contrattualmente previsto, proprietario e locatario, la realizzazione di opere che hanno arrecato danno, è fonte di una responsabilità verso il terzo anche per il proprietario dell’immobile che le ha assentite, in quanto precipuo custode delle strutture murarie dell’edificio in sua proprietà (cfr., Sez. 3, Sentenza n. 782 del 19/01/2001; Sez. 3, Sentenza n. 20434 del 25/07/2008) in pari modo, il conduttore committente dell’opus che ha ricevuto la disponibilità dell’immobile da ristrutturare, ove tali opere siano state progettate ed eseguite al di fuori delle regole dell’arte, si rende a sua volta responsabile se le ha commissionate a soggetto tecnicamente inidoneo, in relazione a un progetto non corrispondente alle regole dell’arte.

2.3. L’attribuzione di una responsabilità anche al proprietario, quale custode delle parti murarie dell’edificio, è dunque frutto di una corretta opera interpretativa dei principi di responsabilità incorporati nelle norme richiamate ai fini del decidere, posto che in virtù del contratto di locazione anche il locatore non può ritenersi esonerato dalla responsabilità verso i terzi, sussistente per il fatto di essere, in quanto proprietario, il soggetto o tenuto a garantire la stabilità del bene immobile posseduto. Difatti la locazione non è in grado di spogliare il possesso del bene, e dunque di sollevare il locatore dall’onere di garantire la stabilità del bene dato in godimento al locatario, che ne acquisisce la sola detenzione, o la gestione nell’interesse suo proprio e del locatore, come è avvenuto nel caso in esame. Tale valutazione, svolta su più livelli di responsabilità concorrenti, oltre ad essere conforme ai principi sopra detti in tema di concorso di responsabilità nell’evento di danno subito dal terzo, è il risultato di un’istruttoria svolta dai giudici di merito, e dunque tocca profili di merito in ordine alla valutazione della condotta dei singoli in questa sede insindacabili.

3. Conclusivamente il ricorso principale e quello incidentale sono rigettati, con ogni conseguenza in ordine alle spese, che si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, a favore della parte resistente. Compensa le spese tra ricorrente principale e ricorrente incidentale.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e il ricorso incidentale e condanna i ricorrenti alle spese sopportate dalla controricorrente S.R., liquidate in Euro 5000,00 a carico di ciascun ricorrente, oltre Euro 200,00 per spese, spese forfettarie al 15% e oneri di legge. Compensa le spese tra ricorrente principale e incidentale.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti principale e incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 26 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2019

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