Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27610 del 30/10/2018

Cassazione civile sez. trib., 30/10/2018, (ud. 18/09/2018, dep. 30/10/2018), n.27610

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TRIBUTARIA Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente – Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere – Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere – Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere – Dott. PERINU Renato – Consigliere – ha pronunciato la seguente: ORDINANZA sul ricorso iscritto al n. 10632/2011 R.G. proposto da: Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro tempre, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12; – ricorrente – contro M.M., vedovaR.R., rappresentata e difesa dall’Avv. Fabio Pace, come da procura speciale a margine del ricorso, elettivamente domiciliato presso il suo studio, in Milano, Corso di Porta Romana, n. 89/b; – controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana, n. 36/29/2010, depositata marzo 2010. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 settembre 2018 dal Consigliere Dott. Luigi D’Orazio.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1.  M.M., quale vedova di R.R., presentava istanza di rimborso alla Agenzia delle entrate, precisando che questi era un dipendente Enel, dirigente in quiescenza, che aveva riscattato il 50 % del capitale maturato a seguito di conversione di quota parte della pensione integrativa, che era un (“vecchio”) iscritto al fondo pensione già prima del 1993, che aveva ricevuto la liquidazione delle somme nell’anno 2000, che su tali somme era stata applicata la ritenuta Irpef dal Fondo pensione con l’aliquota del 31,97 %, come tassazione separata ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 16, comma 1 lett. a, che, invece, le somme dovevano essere gravate da una ritenuta del 12,5 % sulla differenza tra il capitale corrisposto e l’importo dei premi riscossi e ridotta del 2 % per ogni anno successivo al decimo (D.P.R. n. 917 del 1986, art. 42, comma 4), che le spettava la somma di Euro 101.280,98.

2. A fronte del diniego espresso di rimborso la contribuente proponeva ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale, che lo rigettava.

3. La Commissione tributaria regionale accoglieva l’appello della contribuente evidenziando che il marito della appellante era un “vecchio” iscritto, prima della entrate in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1983, quindi alla data del 28-4-1993, e che, prima di tale riforma, le contribuzioni a favore di forme pensionistiche integrative ed i premi di contratti assicurativi e di capitalizzazione erano “tutti” soggetti al medesimo trattamento fiscale con l’applicazione della aliquota del 12,50 %.

4. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate.

5. Resisteva con controricorso la contribuente, che depositava memoria scritta in data 26-3-2013.

6. Altra memoria scritta veniva depositata dalla Agenzia delle entrate.

7 .La contribuente depositava ulteriore memoria scritta in data 3 settembre 2018.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente deduce “violazione o falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, art. 42, comma 4, e L. n. 269 del 1985, art. 6, n. 482, nonché del D.L. 31 dicembre 1996, n. 669, art. 1 e del D.Lgs. 18 febbraio 2000, n. 47, art. 12, comma 1 bis; violazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, lett. A, e art. 17 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, con la precisazione che non può condividersi la conclusione per cui tutte le prestazioni in forma di capitale erogate sulla base di forme di previdenza complementare istituite prima del 1993, anche se non in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita o di capitalizzazione, sono soggette al regime di tassazione di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 42, comma 4.

2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente deduce “violazione o falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 482, art. 41, art. 42, comma 4; art. 1325 c.c., nn. 2 e 3, artt. 1882 e 1919 c.c., D.P.R. 13 febbraio 1959, n. 449, artt. 1 e 33 ss., violazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, lett. A, e art. 17, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, evidenziandosi, tra l’altro, che non è stato allegato nè dimostrato che il rapporto instaurato in virtù dell’accordo sindacale del 16-4-1986 (istitutivo della PIA) sia intercorso con un ente assoggettato alle norme sulla assicurazione sulla vita.

3 .Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente deduce “omessa motivazione su un fatto decisivo e controverso per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, avendo la Commissione regionale omesso di motivare “se la prestazione fosse stata corrisposta in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita o di capitalizzazione come sostenuto dal contribuente, ovvero in dipendenza dalla cessazione del rapporto di lavoro…”.

4.  Con il quarto motivo la ricorrente si duole della “insufficiente motivazione su un fatto decisivo e controverso per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma, n. 5”, in quanto la Commissione regionale “ha apoditticamente affermato la sussistenza della componente di rendimento, lasciando del tutto imperscrutabile l’iter logico della decisione”.

4.1. Anzitutto, si rileva che l’Agenzia delle entrate non ha proposto nuove domande in sede di legittimità, in relazione alla deduzione che la L. n. 482 del 1984, art. 6 può essere applicato solo ai fondi pensione che hanno stipulato un contratto di assicurazione sulla vita o di capitalizzazione.

In realtà, nella sentenza della Commissione regionale si legge, con riferimento al primo grado di giudizio, che “l’Agenzia delle entrate si costituiva in giudizio osservando che la ricorrente aveva omesso di produrre la documentazione comprovante la sussistenza dei presupposti di legge per l’accesso al regime di tassazione richiesta ed in particolare riguardo al possesso della polizza assicurativa”.

Pertanto, la questione era già presente sin dal primo grado di giudizio.

5. I motivi primo, secondo, terzo e quarto, che vanno trattati congiuntamente per evidenti ragioni di connessione, sono fondati.

5.1. Invero, deve partirsi dalla premessa che il ricorrente è un “vecchio iscritto” al fondo, quindi prima del 1993, ed ha conseguito la liquidazione della prestazione entro l’anno 2000, sicché a lui non può applicarsi la normativa successiva al 1° gennaio 2001.

5.2. Occorre dunque anzitutto rammentare che, a decorrere dal 1° gennaio 1986 (in base all’art. 12, comma 4 del CCNL del 16 maggio 1985, recepito dall’Enel), venne prevista a favore dei dirigenti Enel la stipula di un’assicurazione sulla vita con la previsione contrattuale dell’erogazione di una prestazione al momento del collocamento a riposo.

Successivamente, sempre nel 1986 (16 aprile 1986), a seguito di apposita richiesta delle rappresentanze sindacali dei dirigenti, tale previsione venne modificata con l’accordo tra l’Enel e la Federazione nazionale dirigenti di aziende industriali (Fndai), in virtù del quale venne sostituito il trattamento assicurativo di cui sopra con un rapporto di previdenza pensionistica integrativa (c.d. P.I.A., ovvero Previdenza Integrativa Aziendale) con prestazioni da erogare in forma di trattamento periodico (ciò peraltro con efficacia retroattiva al 1 gennaio 1986, da ciò potendosi desumere che la disposizione che prevedeva la stipula di polizze vita di fatto non venne mai applicata).

Tale forma di previdenza venne però dismessa nel 1998 e i fondi accumulati trasferiti a Fondenel, Fondo di Previdenza integrativa esterno, chiamato a gestire una forma di previdenza complementare a capitalizzazione individuale, con diritto degli aderenti alla liquidazione dell’intero capitale in luogo della rendita vitalizia.

5.3. La Suprema Corte, a Sezioni Unite (22 giugno 2011, n. 13642), ha poi ritenuto che, in tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma di capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, ad un fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, la prestazione è assoggettata al regime di tassazione separata di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. a), e art. 17, solo per quanto riguarda la “sorte capitale”, corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme provenienti dalla liquidazione del cd. rendimento si applica la ritenuta del 12,50%, prevista dalla L. 26 settembre 1985, n. 482, art. 6; b) per gli importi maturati a decorrere dal 1° gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui all’art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17 del D.P.R. n. 917 cit..

Il trattamento tributario dei “vecchi” iscritti, quindi prima del 21 aprile 1993, dipende dalla “composizione strutturale delle prestazioni”, che sono appunto composte da una “sorte capitale”, costituita dagli accantonamenti imputabili ai contributi versati dal datore di lavoro (e in notevole misura dal lavoratore) e da un “rendimento netto”, imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale accantonato.

6.  Sul punto la successiva giurisprudenza di questa Corte (Cass. Civ., 26 aprile 2017 n. 10285 e Cass. Civ., 18 ottobre 2017, n. 24525;  Cass. Civ., 7 marzo 2018, n. 5436) si è già attestata, con numerosi arresti, di gran lunga prevalenti su quelli di segno diverso, su una lettura del principio affermato dalle Sezioni Unite secondo la quale il predetto più favorevole criterio impositivo può trovare applicazione limitatamente alle somme rivenienti dall’effettivo investimento, da parte del fondo, sul mercato finanziario, del capitale accantonato e che ne costituiscono il rendimento.

Pertanto, l’applicazione del più favorevole meccanismo impositivo di cui alla L. n. 482 del 1985, art. 6 (con aliquota del 12,5%), si giustifica in ragione della “equiparazione” tra i capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita e (quelli corrisposti in dipendenza di contratti) di capitalizzazione posta dall’art. 41 (ora 44), comma 1, lett. g-quater), e art. 42 (ora 45), comma 4, t.u.i.r., con applicazione analogica dell’art. 6 suddetto ai capitali corrisposti in dipendenza di contratti di capitalizzazione.

Solo se e in quanto, dunque, nei capitali corrisposti possano identificarsi “redditi di capitali derivanti da contratti di capitalizzazione” può giustificarsi l’applicazione del meccanismo impositivo di cui alla L. n. 482 del 1985, art. 6, senza possibilità di operare alcuna distinzione tra PIA e Fondenel.

7.1. Resta dunque confermato che sono tassabili con l’aliquota del 12,5% ai sensi della L. n. 482 del 1985, art. 6 i capitali maturati anteriormente al 1 gennaio 2001 dai soggetti iscritti al fondo di previdenza integrativa di che trattasi (P.I.A., poi Fondenel) prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993, limitatamente a quella parte di essi costituita dal rendimento netto, derivante dalla gestione sul mercato da parte del fondo del capitale accantonato, con la realizzazione di un rendimento.

La Commissione regionale si è limitata ad affermare, senza alcuna indicazione degli elementi di fatto esaminati, che “il regime fiscale da applicare alla specie è quello relativo alle prestazioni in forma di capitale corrisposte in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita o di capitalizzazione ovvero: sulla parte relativa al rendimento, la ritenuta a titolo di imposta del 12,50 % di cui al citato L. n. 482 del 1975, art. 6”, con il conseguente riconoscimento alla contribuente del rimborso della somma di Euro 72.534,92 oltre interessi. In tal modo la Commissione ha ritenuto che l’intero importo corrisposto al contribuente aveva natura di “rendimento”.

Se, da un lato, per quanto detto, tale requisito andrà ricercato anche per i capitali maturati e gli accantonamenti effettuati anteriormente alla trasformazione del fondo da P.I.A. a Fondenel, dall’altro, però, non v’è ragione di ulteriormente circoscrivere tale requisito ai soli (eventuali) investimenti nel mercato finanziario (strumenti finanziari, valori immobiliari), potendo assumere rilievo in tal senso anche altri tipi di mercato (es. mercato immobiliare).

7.2. E’ però certo da escludere che tale requisito possa considerarsi soddisfatto dall’essere il rendimento ottenuto corrispondente alla redditività ottenuta sul mercato dell’intero patrimonio dell’Enel, poiché tale coerenza costituisce il risultato di una mera operazione matematica e non effettivamente il frutto dell’investimento di quegli accantonamenti nel libero mercato.

8.La Commissione tributaria, quindi, non solo non ha applicato in modo corretto le norme richiamate nei motivi di ricorso per cassazione, ma non ha tenuto conto, nella sua motivazione, che dunque si palesa insufficiente, della circostanza che, pur essendo il contribuente già iscritto al fondo prima del 21 aprile del 1993 (circostanza in atti pacifica) e che aveva ricevuto la liquidazione delle somme nell’anno 2000, prima del 1° gennaio 2001, tuttavia doveva valutarsi se le somme corrisposte provenissero o meno da un effettivo investimento da parte del fondo del capitale accantonato, con la realizzazione di un rendimento.

8.1. Né le pronunce invocate dalla contribuente con la memoria del 3 settembre 2018 (Cass. Civ., 11941/2016 e Cass. Civ., 11836/2017) sono idonee ad inficiare le precedenti argomentazioni.

E’ sufficiente notare, quanto alla pronuncia di questa Corte n. 11941/2016, che la Commissione regionale aveva ritenuto applicabile, proprio come nel caso in esame, l’imposta sostitutiva del 12,50 %, respingendo l’appello dell’ufficio. E’ stato, invece, accolto il ricorso per cassazione articolato dalla Agenzia delle entrate, con cassazione della sentenza impugnata, proprio in quanto “In particolare non è stata compiuta alcuna distinzione tra i contributi versati… e le somme liquidate a titolo di rendimento L. n. 482 del 1985, ex art. 6 (c. d. rendimento di gestione), giustificandosi solo rispetto a quest’ultimo rendimento l’affermata tassazione al 12,50 %”.

Analogamente, con riferimento alla pronuncia di questa Corte n. 11836/2017, pure richiamata, la Commissione regionale aveva ritenuto applicabile alle somme in questione la percentuale del 12,50 5, trattandosi di “rendimento”. In questo caso il ricorso proposto dalla Agenzia delle entrate è stato rigettato, ma solo perché nell’ambito della partecipazione alla PIA da parte dell’appellante “la posizione previdenziale individuale e dei rendimenti generati nel periodo…. sia stata individuata dalla perizia di stima redatta dal prof. O.G. in data 17-10-2015, di guisa che la pronuncia gravata non omette di accertare, sulla base delle norme contrattuali applicabili, la remunerazione del capitale qui considerata a prescindere dalla circostanza dell’effettivo investimento dei contributi sul mercato finanziario”.

Entrambe le pronunce menzionate dalla contribuente nella memoria depositata, dunque, applicano il principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte.

9.Può in conclusione enunciarsi, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, il seguente principio di diritto: “in tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma di capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, ad un fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati a decorrere dal 1 gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. a), e art. 17 (nel testo vigente ratione temporis); b) per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, invece, la prestazione è assoggettata a detto regime di tassazione separata solo per quanto riguarda la sorte capitale, costituita dagli accantonamenti imputabili ai contributi versati dal datore di lavoro e dal lavoratore e corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre si applica la ritenuta del 12,50%, prevista dalla L. 26 settembre 1985, n. 482, art. 6 alle somme provenienti dalla liquidazione del c.d. rendimento. Sono tali le somme derivanti dall’effettivo investimento del capitale accantonato sul mercato – non necessariamente finanziario – non anche quelle calcolate attraverso l’adozione di riserve matematiche e di sistemi tecnico-attuariali di capitalizzazione, al fine di garantire la copertura richiesta dalle prestazioni previdenziali concordate”.

10.La sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla Commissione regionale della Toscana, in diversa composizione, che si atterrà al principio di diritto suindicato e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

In accoglimento dei motivi di ricorso primo, secondo, terzo e quarto, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Commissione regionale della Toscana, in diversa composizione, che si atterrà al principio di diritto suindicato e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 18 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018

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