Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2761 del 08/02/2010

Cassazione civile sez. I, 08/02/2010, (ud. 23/11/2009, dep. 08/02/2010), n.2761

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. FITTIPALDI Onofrio – Consigliere –

Dott. SALVATO Luigi – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

M.A., rappresentata e difesa, in forza di procura

speciale a margine del ricorso, dall’Avv. MARRA Alfonso Luigi, per

legge domiciliata in Roma presso la Cancelleria civile della Corte di

Cassazione, Piazza Cavour;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso, per legge, dall’Avvocatura Generale dello

Stato e presso gli Uffici di questa domiciliato in Roma, Via dei

Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’appello di Roma depositato il 14

luglio 2006.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23 novembre 2009 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che il relatore designato, nella relazione depositata il 23 aprile 2009, ha formulato la seguente proposta di definizione:

” M.A. ha proposto ricorso per cassazione il 16 luglio 2007 sulla base di sedici motivi avverso il provvedimento emesso dalla Corte d’appello di Roma in data 14 luglio 2006 con cui il Ministero della giustizia veniva condannato ex L. n. 89 del 2001, al pagamento di un indennizzo di Euro 500,00 per l’eccessivo protrarsi di un processo svoltosi in appello (avente ad oggetto il pagamento di interessi e rivalutazione monetaria su trattamenti assistenziali corrisposti dal Ministero dell’interno).

Il ricorso reca motivi seguiti da quesito di diritto, come imposto dall’art. 366 bis c.p.c..

Il Ministero ha resistito con controricorso.

Il decreto impugnato ha accolto la domanda di equo indennizzo per danno non patrimoniale nella misura dianzi specificata avendo accertato una durata irragionevole del processo di appello di un anno e otto mesi, sulla base di una ritenuta durata ragionevole di anni due.

Con il primo motivo di ricorso si censura la pronuncia per non avere dato applicazione all’art. 6 della Conv. di Strasburgo secondo l’interpretazione fornita dalla Corte Edu. Il motivo appare del tutto inconsistente, limitandosi a delle astratte affermazioni di principio senza muovere alcuna censura concreta a punti o capi del decreto specificatamente individuati.

Con il secondo motivo si lamenta la errata individuazione del periodo di normale durata del processo. Anche tale motivo è inammissibile.

Lo stesso è basato sulla astratta e tautologica affermazione che la giusta durata del processo – stante la sua natura assistenziale – a- vrebbe dovuto essere di un anno e mezzo per il secondo grado, senza chiarire in riferimento alla fattispecie in esame le ragioni per cui si sarebbe dovuto adottare tale criterio.

E’, infatti, noto che i termini stabiliti dalla Cedu non sono rigidi, ma costituiscono dei criteri di riferimento che possono quindi essere, entro certi limiti, adattati con valutazione del giudice al caso concreto, e che la natura previdenziale di una causa non comporta di per sè l’applicazione di un termine di durata ragionevole ridotto, dipendendo tale determinazione pur sempre dalla valutazione della complessità della causa rimessa al giudice, in ordine alla quale non si rinviene nel motivo alcuna censura.

Con il terzo, il quarto e il quinto motivo si deduce, sotto il profilo della violazione di legge e del vizio motivazionale, il mancato computo dell’indennizzo riferito all’intera durata del processo anzichè al solo periodo di irragionevole durata. I motivi sono manifestamente infondati, avendo a più riprese affermato questa Corte che la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a, espressamente stabilisce che il danno debba essere liquidato per il solo periodo eccedente la durata ragionevole ed essendo tale norma insuperabile, posto che essa esprime ed attua il disposto costituzionale (art. 111) sulla necessaria dislocazione temporale minima di un giusto processo (Cass., Sez. 1^, 3 gennaio 2008, n. 14).

Con il sesto e il settimo e il decimo motivo si deduce sotto diversi profili l’insufficiente liquidazione del danno non patrimoniale.

La censura è fondata, avendo la Corte d’appello liquidato la somma di Euro 500,00 per un anno e otto mesi di ritardo, discostandosi in modo eccessivo dai parametri Cedu, pur tenendosi conto della motivazione circa la modesta entità della posta in gioco, che di per sè può consentire di discendere in una certa ragionevole misura al di sotto dei parametri minimi di liquidazione stabiliti dalla Cedu, ma in misura assai modesta le volte In cui si tratti di controversia di lavoro e previa comparazione con le condizioni socio-economiche della parte richiedente.

Con l’ottavo e il nono motivo, si deduce sotto diversi profili il mancato riconoscimento di un bonus di Euro 2.000,00 in ragione della natura previdenziale della controversia.

Tali censure sono manifestamente infondate.

La Corte di Strasburgo ha, infatti, affermato il principio che il bonus in questione debba essere riconosciuto nel caso in cui la controversia riveste una certa importanza ed ha poi fatto un elenco esemplificativo, comprendente le cause di lavoro e quelle previdenziali. Tutto ciò non significa che dette cause siano necessariamente di per sè particolarmente importanti con una conseguente liquidazione automatica del bonus in questione, ma che, data la loro natura, è possibile che lo siano con una certa frequenza. Tale valutazione di importanza rientra nella ponderazione del giudice di merito che, come è noto, dispone di una certa discrezionalità nel variare l’importo di indennizzo per anno di ritardo (da Euro mille a Euro millecinquecento, salvo limitato discostamento in più o in meno a seconda delle circostanze) e che in tale valutazione, qualora riconosca la causa di particolare incidenza sulla situazione della parte, può arrivare a riconoscere il bonus in questione. Tutto ciò non implica uno specifico obbligo di motivazione, essendo elemento compreso nella valutazione che concerne la liquidazione del danno, per cui, se il giudice non si pronuncia sul bonus, implicitamente ciò sta a significare che non ha ritenuto la controversia di tale rilevanza da riconoscerlo.

L’esame degli altri motivi, concernenti le spese, resta assorbito, dovendosi procedere ad una nuova liquidazione in ragione dell’accoglimento del motivo di ricorso attinente al quantum del danno non patrimoniale”.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che gli argomenti e le proposte contenuti nella relazione di cui sopra, alla quale non sono stati mossi rilievi critici, sono condivisi dal Collegio, con la precisazione che segue in ordine alla liquidazione del danno non patrimoniale;

che, infatti, va data continuità al principio recentemente affermato da Cass., Sez. 1^, 8 luglio 2009, n. 16086, secondo cui “in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, secondo la giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo (sentenze 29 marzo 2006, sui ricorsi n. 63261 del 2000 e nn. 64890 e 64705 del 2001), gli importi concessi dal giudice nazionale a titolo di risarcimento danni possono essere anche inferiori a quelli da essa liquidati, a condizione che le decisioni pertinenti siano coerenti con la tradizione giuridica e con il tenore di vita del paese interessato, e purchè detti importi non risultino irragionevoli, reputandosi, peraltro, non irragionevole una soglia pari al 45 per cento del risarcimento che la Corte avrebbe attribuito. Pertanto, stante l’esigenza di offrire un’interpretazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, idonea a garantire che la diversità di calcolo non incida negativamente sulla complessiva attitudine ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, evitando il possibile profilarsi di un contrasto della medesima con l’art. 6 della CEDU (come interpretata dalla Corte di Strasburgo), la quantificazione del danno non patrimoniale dev’essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo eccedente il termine di ragionevole durata”;

che, quindi, accolto, per quanto di ragione, il ricorso e cassato, in relazione alle censure accolte, il decreto impugnato, ben può procedersi alla decisione nel merito del ricorso, ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto;

che, pertanto, considerato il periodo di irragionevole durata del giudizio presupposto in un anno e otto mesi e determinato, in applicazione dello standard minimo CEDU – che nessun argomento del ricorso impone di derogare in melius -, nella somma di Euro 750,00 ad anno il parametro per indennizzare la parte del danno non patrimoniale riportato nel processo presupposto, devesi riconoscere all’istante l’indennizzo forfettario complessivo di Euro 1.250,00 oltre interessi legali dalla domanda al saldo;

che le spese, liquidate come da dispositivo, vanno poste a carico del soccombente Ministero della Giustizia: quanto al giudizio di merito, per l’intero, e, quanto al giudizio di cassazione, nella misura di 1/2, essendo il ricorso accolto solo in parte, compensandosi per la restante parte, con distrazione in favore del difensore antistatario.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione; cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della giustizia a corrispondere a M.A. la somma di Euro 1.250,00 oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo, ed oltre alle spese processuali – nell’intero quanto al giudizio di merito e per 1/2 in relazione a quello di cassazione, compensandosi la restante parte -, spese distratte in favore dell’Avv. Alfonso Luigi Marra e liquidate, quanto al giudizio di Merito, in Euro 830,00 (di cui Euro 100,00 per esborsi, Euro 450,00 per onorari ed Euro 280,00 per diritti), e, quanto al giudizio di legittimità, nella misura, ridotta per effetto della disposta parziale compensazione, di Euro 300,00 (di cui Euro 50,00 per esborsi), oltre a spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 23 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 8 febbraio 2010

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