Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27607 del 03/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 03/12/2020, (ud. 15/10/2020, dep. 03/12/2020), n.27607

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28623-2019 proposto da:

T.A., elettivamente domiciliato in ROMA, alla via

VIGLIANA, n. 10, presso lo studio del Dott. CHRISTIAN BONI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO;

– ricorrente –

contro

ARCA PUGLIA CENTRALE, in persona del legale rappresentante in carica,

elettivamente domiciliata in ROMA, alla via PO, n. 12, presso lo

studio dell’avvocato FRANCESCO MARASCIO, rappresentata e difesa

dall’avvocato GIOVANNA CARLUCCI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1272/2019 del TRIBUNALE di BARI, depositata il

22/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 15/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. Cristiano

Valle, osserva quanto segue.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

T.A. deduce due motivi ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avverso la sentenza del Tribunale di Bari, n. 1272 del 22/03/2019, resa in causa incardinata dal Taglialatela ai sensi dell’art. 617 c.p.c., comma 2, che ha rigettato opposizione agli atti esecutivi nei confronti dell’ARCA Puglia Centrale.

Questa resiste con controricorso.

E’ stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375,376 e 380 bis c.p.c., in quanto il relatore ha ritenuto che il ricorso fosse destinato ad essere dichiarato inammissibile e comunque manifestamente infondato.

E’ stata quindi fissata con decreto l’adunanza della Corte, e il decreto è stato notificato alle parti con l’indicazione della proposta. Non sono state presentate memorie.

Il primo motivo deduce: “Violazione e falsa applicazione di legge in riferimento agli artt. 654,479,156 c.p.c., avendo il Giudice erroneamente ritenuto sanabile ex art. 156 c.p.c., la nullità del precetto asserendo che, comunque, nello stesso non sarebbero ravvisabili le carenze lamentate”.

Il mezzo, che è relativo alla mancata indicazione nel precetto del provvedimento che ha dichiarato l’esecutorietà è aspecifica, in quanto il testo del precetto, privo della detta indicazione, non è in alcun modo riportato o trascritto in atto, con la conseguenza che il ricorso difetta di adeguata indicazione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6. Deve, inoltre, ribadirsi il recente orientamento di questa Corte (Cass. n. 1928 del 28/01/2020 Rv. 656889 – 01): “Il precetto fondato su decreto ingiuntivo divenuto esecutivo per mancata opposizione non deve essere preceduto da un’ulteriore notifica del provvedimento monitorio, ma deve fare menzione del provvedimento che ha disposto l’esecutorietà e dell’apposizione della formula esecutiva (ex art. 634 c.p.c., comma 2), nonchè della data di notifica dell’ingiunzione (ex art. 480 c.p.c., comma 2). I suddetti elementi formali sono prescritti, a pena di nullità dell’atto di precetto, allo scopo di consentire all’intimato inequivoca dell’obbligazione da adempiere e del titolo esecutivo azionato, sicchè la loro omissione (nella specie, l’indicazione della data di notificazione del decreto ingiuntivo) non comporta l’invalidità dell’intimazione qualora sia stato comunque raggiunto lo scopo dell’atto e, cioè, il debitore sia stato messo in condizione di conoscere con esattezza chi sia il creditore, quale sia il credito di cui si chiede conto e quale il titolo che lo sorregge”.

Il secondo mezzo è così formulato: “Art. 360, comma 1, n. 3. Violazione e falsa applicazione degli artt. 617 e 140 c.p.c., ai fini della decisione si è pronunciato sulla questione relativa all’errore nell’indicazione del cognome del debitore in sede di notifica ex art. 140 c.p.c., del decreto ingiuntivo ritenendo erroneamente la stessa perfezionatasi.”.

Il mezzo, riguardante l’indicazione nella raccomandata con ricevuta di ritorno della notifica del decreto ingiuntivo del cognome dell’opponente quale ” Ta.” invece che T. è, pure esso, inadeguatamente formulato e comunque la discrasia è stata correttamente ritenuta sanata per raggiungimento dello scopo dell’atto. Sul punto si rammenta che, secondo un principio più volte affermato da questa Corte, l’errore sulle generalità del destinatario di un atto è causa di nullità della notificazione solo nel caso in cui sia tale da determinare incertezza assoluta sulla persona cui la notificazione è diretta (Cass. 22-1-2004 n. 1079; Cass. 8-10-2001 n. 12325; Cass. 19-32014 n. 6352), il che, nel caso di specie non è avvenuto, o, quantomeno, non è dato cogliere, alla stregua elle allegazioni difensive di cui in ricorso e risultando esatti gli altri dati, quali l’indicazione della via e del numero civico.

In ogni caso deve evidenziarsi che lo stesso ricorrente ammette che la questione è stata sollevata con l’opposizione tardiva al monitorio e si duole del fatto che il giudice avrebbe comunque pronunciato su di essa, con la conseguenza che il motivo non ha ragione di essere, ossia il ricorrente difetta di idoneo interesse a proporlo, in quanto il vizio dell’indicazione del cognome è stato del tutto ininfluente.

In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese di lite di questa fase di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, tenuto conto del valore della controversia.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso;

condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, che liquida in Euro 4.100,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario al 15%, oltre CA e IVA per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, sezione VI civile 3, il 15 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2020

 

 

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