Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27602 del 29/10/2019

Cassazione civile sez. III, 29/10/2019, (ud. 27/06/2019, dep. 29/10/2019), n.27602

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7098-2018 proposto da:

GENERALI ITALIA SPA, (OMISSIS) in persona dei suoi procuratori

speciali C.P. e PA.VI., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 28, presso lo studio

dell’avvocato GIUSEPPE CILIBERTI, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, LARGO

TRIONFALE 7, presso lo studio dell’avvocato LUCIANO SPINOSO,

rappresentato e difeso dall’avvocato NICOLA BROSIO;

– controricorrente –

e contro

AMISSIMA ASSICURAZIONI SPA, D.F.F.,

D.G.P., D.G.A.M.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 60/2018 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 13/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/06/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO.

Fatto

RITENUTO

Che:

1. Generali Ass.ni Spa (da qui Generali) ricorre, affidandosi a cinque motivi illustrati anche da memoria, per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di L’Aquila che, riformando parzialmente la pronuncia del Tribunale di Teramo – avente per oggetto il giudizio di responsabilità civile sul sinistro stradale occorso il 7.1.1997 dal quale erano derivati gravi danni a P.G. (trasportato nell’autovettura assicurata con la compagnia odierna ricorrente) – aveva accertato e dichiarato la colpa esclusiva del conducente del veicolo antagonista, escludendo il concorso del danneggiato, affermato in primo grado per non aver allacciato le cinture di sicurezza.

1.1.Per ciò che interessa in questa sede, la Corte territoriale ha condannato i convenuti in solido al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti dalla vittima del sinistro.

2.L’intimato ha resistito.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1.Tutte le censure proposte riguardano esclusivamente la quantificazione del danno.

1.1.Con il primo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la ricorrente deduce la nullità della sentenza per violazione degli artt. 1223,1224,1225,1226 e 2056 c.c. e dell’art. 113 c.p.c. in ordine ai criteri di liquidazione della somma dovuta: lamenta, in particolare, la mancata rivalutazione degli importi corrisposti a titolo di acconto e di quello pagato in spontanea esecuzione della sentenza di primo grado.

1.2. Con il secondo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti nonchè la nullità della sentenza per difetto assoluto di motivazione in ordine a quanto già pagato.

1.3. Con il terzo ed il quarto motivo, intrinsecamente connessi, la ricorrente deduce:

a. ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per difetto assoluto di motivazione: assume che la decisione del giudice d’appello aveva un effetto sostitutivo rispetto a quella del Tribunale nei casi in cui ne statuiva la riforma, ragione per cui era necessario che provvedesse a defalcare gli importi già pagati, previa una corretta rivalutazione. Precisa, al riguardo, che era stata formulata una specifica eccezione, del tutto ignorata dalla Corte territoriale;

b. ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.: la ricorrente prospetta le medesime doglianze del precedente motivo, precisando che dei vari pagamenti era stato dato atto nei verbali di udienza (cfr. pag. 21 ricorso); lamenta, ancora, la mancanza di motivazione e la conseguente violazione dell’art. 116 c.p.c..

1.4. Con il quinto motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, si deduce, infine, la violazione dell’art. 112 c.p.c., non avendo la Corte esaminato l’eccezione di avvenuto pagamento della sentenza di primo grado e degli acconti nè provveduto a rendere omogenee le poste dare-avere.

Richiama la comparsa di costituzione in appello ove il rilievo era stato specificamente proposto.

2. I motivi devono essere esaminati congiuntamente per la stretta connessione logica.

Essi sono tutti complessivamente fondati.

2.1. Il terzo motivo rappresenta il punto di partenza del percorso argomentativo affrontato dal Collegio.

La censura richiama, infatti, la riflessione sulla funzione della sentenza d’appello rispetto alla pronuncia di primo grado. Al riguardo questa Corte ha affermato che “l’effetto sostitutivo della sentenza d’appello, la quale confermi integralmente o riformi parzialmente la decisione di primo grado, comporta che, ove l’esecuzione non sia ancora iniziata, essa dovrà intraprendersi sulla base della pronuncia di secondo grado, mentre, se l’esecuzione sia già stata promossa in virtù del primo titolo esecutivo, la stessa proseguirà sulla base delle statuizioni ivi contenute che abbiano trovato conferma in sede di impugnazione.” (cfr. ex multis Cass. 9161/2013).

2.1. Sulla base di tale principio e tenuto conto che la Corte territoriale ha provveduto a riformulare il calcolo delle varie poste risarcitorie dovute per l’intero (avendo escluso la corresponsabilità del danneggiato), si ritiene che fosse compito del giudice d’appello determinare con esattezza la somma dovuta, provvedendo a defalcare tutti gli importi che erano stati già corrisposti per il medesimo titolo nelle more del giudizio, anche se con differente causale, al fine di giungere ad un decisum chiaro e definitivo sull’importo dovuto che in ragione del principio del giusto processo di cui all’art. 111 Cost. ed art. 6 della CEDU, declinato anche in termini di economia processuale – consentisse di evitare ulteriori fasi giurisdizionali.

2.2. Tanto premesso, anche gli altri motivi – tutti sovrapponibili fra loro, anche se proposti con riferimento alle differenti ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c. – sono fondati.

In ordine alla prima censura, è stato affermato il principio, ormai consolidato, secondo il quale “nelle obbligazioni risarcitorie, il creditore deve essere risarcito, mediante la corresponsione degli interessi compensativi, del danno che si presume essergli derivato dall’impossibilità di disporre tempestivamente della somma dovuta e di impiegarla in maniera remunerativa, sicchè la liquidazione del danno da ritardato adempimento, ove il debitore abbia pagato un acconto prima della quantificazione definitiva, deve avvenire: a) devalutando l’acconto ed il credito alla data dell’illecito; b) detraendo l’acconto dal credito; c) calcolando gli interessi compensativi mediante l’individuazione di un saggio scelto in via equitativa, da applicare prima sull’intero capitale, rivalutato anno per anno, per il periodo intercorso dalla data dell’illecito al pagamento dell’acconto, e poi sulla somma che residua dopo la detrazione dell’acconto, rivalutata annualmente, per il periodo che va da quel pagamento fino alla liquidazione definitiva” (cfr. Cass. 25817/2017; Cass. 6619/2018).

2.3. Il criterio postulato con il principio richiamato non risulta applicato dalla Corte territoriale che ha omesso di devalutare gli acconti corrisposti in via stragiudiziale, con ciò prescrivendo un meccanismo di scomputo erroneo in quanto riferito a poste non omogenee, nonostante che, oltretutto, la specifica eccezione fosse stata sollevata nell’atto di costituzione in appello (cfr. pagg. 11 e 12 comparsa di costituzione in appello, richiamate a pag. 16 del ricorso, doc. 3 del fascicolo del giudizio di legittimità).

2.4. Nel caso in esame, infatti, i giudici d’appello si sono limitati ad enunciare nel dispositivo (cfr. capo a) dei decisum, pag. 13 della sentenza impugnata) la previa detrazione degli acconti già corrisposti, solo in relazione al danno biologico riquantificato, senza affatto motivare sui criteri da utilizzare al fine di rendere determinato o correttamente determinabile l’importo dovuto.

3. Ma anche le altre censure, riguardanti l’omessa detrazione della somma pagata in esecuzione della sentenza di primo grado, risultano fondate visto che la Corte territoriale, nonostante che la circostanza fosse stata oggetto di specifica eccezione (cfr. pag. 12 comparsa di costituzione in appello) basata su prova documentale (doc. 5,6, e 7) richiamata anche nei verbali di udienza, ha omesso del tutto di pronunciarsi sull’esatto conteggio della somma dovuta, tenendo conto oltre che degli acconti corrisposti nelle more del giudizio, che del “saldo” versato dopo la pronuncia di primo grado.

3.1.Nè è idoneo a contrastare le doglianze proposte il rilievo del controricorrente che assume che la detrazione era stata già effettuata, previa rivalutazione, con la sentenza di primo grado che aveva liquidato il danno nella misura del 50%,già defalcando gli acconti versati con un conteggio che non era stato oggetto di censura: il rilievo, infatti, non ha pregio in quanto la Corte territoriale ha riformulato interamente il conteggio, ricalcolando specificamente le poste risarcitorie dovute, con la conseguenza che avrebbe dovuto motivare sulla necessaria devalutazione degli acconti e sul diffalco delle somme pagate in esecuzione della pronuncia di primo grado e non limitarsi ad enunciare in modo generico la previa “detrazione degli acconti già corrisposti”, senza spendere alcuna argomentazione sui criteri determinati e/o determinabili necessari per quantificare correttamente le somme dovute.

4.In conclusione, il ricorso deve essere accolto. Conseguentemente la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte d’Appello di L’Aquila in diversa composizione per il riesame della controversia alla luce dei seguenti principi di diritto:

a. “nelle obbligazioni risarcitorie, il creditore deve essere ristorato, mediante la corresponsione degli interessi compensativi, del danno che si presume essergli derivato dall’impossibilità di disporre tempestivamente della somma dovuta e di impiegarla in maniera remunerativa, sicchè la liquidazione del danno da ritardato adempimento, ove il debitore abbia pagato un acconto prima della quantificazione definitiva, deve avvenire: a) devalutando l’acconto ed il credito alla data dell’illecito; b) detraendo l’acconto dal credito; c) calcolando gli interessi compensativi mediante l’individuazione di un saggio scelto in via equitativax da applicare prima sull’intero capitale, rivalutato anno per anno, per il periodo intercorso dalla data dell’illecito al pagamento dell’acconto, e poi sulla somma che residua dopo la detrazione dell’acconto, rivalutata annualmente, per il periodo che va da quel pagamento fino alla liquidazione definitiva”;

b. “Nell’ipotesi di riforma della sentenza impugnata riferita al quantum debeatur è compito del giudice d’appello determinare la somma dovuta, sulla base di criteri determinati o determinabili che tengano conto dei principi sopra indicati, provvedendo a defalcare tutti gli importi che già corrisposti per il medesimo titolo nelle more del giudizio, anche se con differente causale, al fine di giungere ad un decisum chiaro e definitivo sull’importo dovuto che – in ragione del principio del giusto processo di cui all’art. 111 Cost. ed art. 6 della CEDU, declinato anche in termini di economia processuale – consenta di evitare ulteriori fasi giurisdizionali”.

La Corte di rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso.

Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di L’Aquila in diversa composizione per il riesame della controversia e per la decisione in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della terza sezione civile, il 27 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2019

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