Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27602 del 03/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 03/12/2020, (ud. 15/10/2020, dep. 03/12/2020), n.27602

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 10781-2019 proposto da:

V.B., elettivamente domiciliato in ROMA, via ANTONIO

STOPPANA n. 34, presso lo studio dell’avvocato LUCA SILVAGNI,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE PAGANA;

– ricorrente –

contro

D.M., elettivamente domiciliata in ROMA, p.le CLODIO n. 14,

presso lo studio dell’avvocato FRANCESCA ROMANA GRAZIANI,

rappresentata e difesa dall’avvocato ROBERTO PICCIOLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 125/2019 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 25/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 15/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. Cristiano

Valle.

 

Fatto

OSSERVA

quanto segue:

V.L. impugna, con atto affidato a tre motivi, sentenza della Corte di Appello di Messina, di conferma della sentenza del Tribunale della stessa sede di rigetto dell’opposizione al precetto di oltre Euro centotrentamila, notificatogli ad istanza da D.M. per assegno di mantenimento del figlio della coppia, per il quinquennio precedente l’atto di intimazione.

D.M. resiste con controricorso.

La proposta di definizione in sede camerale, non partecipata, è stata ritualmente comunicata alle parti.

La sola parte ricorrente ha depositato memoria per l’adunanza del 15/10/2020.

I motivi di ricorso così censurano la sentenza d’appello.

Il primo mezzo deduce violazione degli artt. 81,100 e 161 c.p.c. e 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per avere i giudici di merito ritenuto sussistente la legittimazione della D. a richiedere l’assegno di mantenimento del figlio C. pur essendo questo maggiorenne.

Il secondo motivo deduce errore procedurale per violazione degli artt. 115 e 116 in relazione agli all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, non avendo la Corte di merito valutato la sussistenza di un accordo di fatto sussistente tra V.L. e V.C. in ordine al mantenimento.

Il terzo mezzo deduce violazione dell’art. 91 c.p.c., comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.

I primi due motivi di ricorso sono inammissibili.

Essi, attinenti alla legittimazione ad agire della madre per l’assegno di mantenimento del figlio e alla sussistenza di un patto tra V.L. e V.C. in forza del quale il figlio era stato assunto presso l’azienda del padre, possono essere congiuntamente scrutinati.

Il Tribunale e la Corte di Appello di Messina hanno respinto l’opposizione a precetto affermando che permane la legittimazione della madre (la D.) a chiedere il pagamento dell’assegno anche se il figlio è divenuto maggiorenne e che in ogni caso si tratterebbe di questioni da far valere non con l’opposizione a precetto bensì con domanda di modifica delle condizioni fissate nella sentenza di divorzio e ciò anche se il figlio, divenuto maggiorenne, abbia una propria fonte di reddito in risultanza di accordo tacito con il padre che l’avrebbe assunto presso una propria azienda prima.

I motivi all’esame non censurano adeguatamente il detto percorso motivazionale.

I provvedimenti di merito hanno deciso la controversia conformemente alla giurisprudenza di questa Corte e i motivi di ricorso non valgono a far propendere per una modifica dell’orientamento in base al quale in sede di opposizione non possono essere fatte valere questioni che dovrebbero essere fatte valere in sede di modifica delle condizioni di divorzio (da ultimo, quale espressione di un orientamento costante, cfr. Cass. n. 17689 del 02/07/2019 Rv. 654560 – 01: “Con l’opposizione aì precetto relativo a crediti maturati per il mancato pagamento dell’assegno di mantenimento, determinato a favore del figlio in sede di separazione o di divorzio, possono essere dedotte soltanto questioni relative alla validità ed efficacia del titolo e non anche fatti sopravvenuti, da farsi valere col procedimento di modifica delle condizioni della separazione di cui all’art. 710 c.p.c. o del divorzio di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 9. (Ribadendo il principio di cui in massima, la S.C. ha sottolineato che, nella specie, il fatto sopravvenuto costituito dalla collocazione del minore presso il padre non aveva privato il titolo esecutivo in materia di famiglia di efficacia e validità in quanto assistito da un’attitudine al giudicato, cd. “rebus sic stantibus”, riguardo alla quale i fatti sopravvenuti potevano rilevare soltanto attraverso la speciale procedura di revisione del provvedimento sul contributo del mantenimento del figlio, devoluta al giudice della separazione o del divorzio e a questi riservata a tutela del superiore interesse pubblicistico di composizione della crisi familiare, rilevante per l’ordine pubblico))”.

In ordine al permanere della legittimazione del genitore anche nel caso in cui il figlio sia divenuto maggiorenne si veda parimenti la giurisprudenza di legittimità, che la ritiene sussistente nel caso in cui il figlio, maggiorenne, non eserciti il diritto e non sia autosufficiente (da ultimo: Cass. n. 17380 del 20/08/2020 Rv. 658717 – 01), condizioni ritenute entrambi sussistenti nel caso di specie dai giudici di merito sulla base di apprezzamento di fatto loro competente e con pronuncia corretta di inammissibilità della questione dell’intervenuta assunzione del figlio presso l’azienda del padre, in quanto prospettata soltanto in sede di impugnazione.

I primi due motivi del ricorso sono, pertanto, inammissibili.

Il terzo motivo è del pari inammissibile.

La denuncia di violazione della norma di cui all’art. 91 c.p.c., comma 1, in questa sede di legittimità trova ingresso solo quando le spese siano poste a carico della parte integralmente vittoriosa (Cass. n. 18128 del 31/08/2020 Rv. 658963 – 01: “In materia di spese giudiziali, il sindacato di legittimità trova ingresso nella sola ipotesi in cui il giudice di merito abbia violato il principio della soccombenza ponendo le spese a carico della parte risultata totalmente vittoriosa, e ciò vale sia nel caso in cui la controversia venga decisa in ognuno dei suoi aspetti, processuali e di merito, sia nel caso in cui il giudice accerti e dichiari la cessazione della materia del contendere e sia, perciò, chiamato a decidere sul governo delle spese alla stregua del principio della cosiddetta soccombenza virtuale”.) e tanto non è dato cogliere dal motivo all’esame.

In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese di lite di questa fase di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, tenuto conto del valore della controversia.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso;

condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, che liquida in Euro 6.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario al 15%, oltre CA e IVA per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, sezione VI civile 3, il 15 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2020

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