Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 276 del 10/01/2017

Cassazione civile, sez. I, 10/01/2017, (ud. 28/10/2016, dep.10/01/2017),  n. 276

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14471-2011 proposto da:

COOPERATIVA EDILIZIA A R.L. “AZZURRA 87”, (P.I. (OMISSIS)), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 252, presso l’avvocato

GIUSEPPE RANDO, rappresentata e difesa dall’avvocato GIOVANNI

CONSOLAZIONE, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

L.P.C.F.M., (c.f. (OMISSIS)),

L.P.C.A.M. (c.f. (OMISSIS)), nella qualità di eredi di

L.P.C.P. e di L.P.C.S., elettivamente

domiciliate in ROMA, VIA LUCULLO 3, presso l’avvocato NICOLA

ADRAGNA, che le rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANNA

FIORELLA COLBERTALDO, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

contro

COMUNE DI TRAPANI;

– intimato –

Nonchè da:

COMUNE DI TRAPANI (C.F. (OMISSIS)), in persona del Sindaco pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA STOPPANI, 1, presso

l’avvocato CARLO COMANDE’, che lo rappresenta e difende, giusta

procura a margine della comparsa di costituzione di nuovo

procuratore;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

L.P.C.F.M. (c.f. (OMISSIS)),

L.P.C.A.M. (c.f. (OMISSIS)), nella qualità di eredi di

L.P.C.P. e di L.P.C.S., elettivamente

domiciliate in ROMA, VIA LUCULLO 3, presso l’avvocato NICOLA

ADRAGNA, che le rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANNA

FIORELLA COLBERTALDO, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti al ricorso incidentale –

contro

COOPERATIVA EDILIZIA A R.L. “AZZURRA 87”;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1237/2010 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 20/09/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/10/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO PIETRO LAMORGESE;

udito, per le controricorrenti L.P. +1, l’Avvocato ADRAGNA NICOLA

che ha chiesto il rigetto e deposita n. 1 cartolina verde;

udito, per il controricorrente e ricorrente incidentale COMUNE,

l’Avvocato SILVESTRI MATTEO, con delega, che ha chiesto il rigetto;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

IACOVIELLO Francesco Mauro, che ha concluso per l’inammissibilità

dell’incidentale, rigetto del ricorso principale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- La Corte d’appello di Palermo, con sentenza in data 20 settembre 2010, in riforma dell’impugnata sentenza del Tribunale di Trapani, ha accolto la domanda proposta da L.P.C.F.M. e L.P.C.A.M. (entrambe eredi di L.P.C.P. e procuratrici di L.P.C.S.) per la condanna del Comune di Trapani e della Cooperativa edilizia Azzurra 87 r.l. al risarcimento del danno per la perdita della proprietà di un terreno, illegittimamente occupato e irreversibilmente trasformato.

2.- La Corte ha premesso che, con delibera n. 217 del 5 dicembre 1995, il Comune di Trapani aveva approvato il progetto di realizzazione di alcuni programmi costruttivi per la realizzazione di alloggi di edilizia pubblica convenzionata e dichiarato la pubblica utilità dell’opera, fissando i relativi termini per i lavori e il compimento delle procedure espropriative; con ordinanza del 17 gennaio 1996 il Comune aveva individuato il terreno degli attori per la realizzazione dell’opera e redatto lo stato di consistenza; nel luglio 1998 la Cooperativa aveva irreversibilmente trasformato l’area in questione; tanto premesso, ad avviso della Corte, la predetta dichiarazione di pubblica utilità era divenuta inefficace, essendo scaduti i relativi termini, nel momento in cui, in data 3 agosto 1998, era stata determinata l’indennità provvisoria di espropriazione rettificata la precedente determinazione di essa); il Comune aveva riapprovato il programma costruttivo e, quindi, rinnovato la precedente dichiarazione di pubblica utilità, con delibera n. 219 del 29 dicembre 1997 che, tuttavia, contrariamente a quanto ritenuto dal tribunale, non aveva i requisiti di una legittima rinnovazione della dichiarazione di pubblica utilità, la quale imponeva lo svolgimento di un nuovo procedimento con la rinnovazione di tutti gli atti successivi alla precedente dichiarazione e preparatori della nuova (come, ad esempio, la redazione di un nuovo stato di consistenza), ai fini della valutazione della permanenza dell’interesse pubblico necessario per l’espropriazione; di conseguenza, la Corte ha escluso la configurabilità nella suddetta delibera del 1997 di una valida dichiarazione di pubblica utilità, ha ravvisato l’irreversibile trasformazione indicativa di una espropriazione acquisitiva e ha giudicato entrambi i convenuti responsabili in solido dei danni per la perdita della proprietà, il cui valore è stato calcolato in Lire 425.000.000, oltre rivalutazione e interessi; infine, ha considerato rinunciata e quindi ha rigettato la domanda di manleva del Comune contro la Azzurra 87, in quanto non riproposta in appello, a norma dell’art. 346 c.p.c.

3.- Avverso questa sentenza ricorrono la Cooperativa Azzurra 87, con cinque motivi, e il Comune di Trapani in via incidentale, con quattro motivi; le intimate resistono con controricorsi. Le parti hanno presentato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- I ricorsi della Cooperativa Azzurra 87 e del Comune di Trapani sono stati tempestivamente notificati e depositati in giudizio, sicchè le eccezioni di inammissibilità e improcedibilità sollevate dalle intimate sono infondate.

2.- I ricorsi del Comune di Trapani e della Cooperativa Azzurra 87 denunciano, nel primo motivo, la violazione e falsa applicazione della L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 13 e della L.R. Sicilia 6 maggio 1981, n. 86, art. 4, comma 11, per avere ritenuto che la rinnovazione della dichiarazione di pubblica utilità, operata con Delib. n. 219 del 1997, richiedesse l’adozione di uno specifico procedimento, mentre, nel caso in esame, la predetta dichiarazione era implicita nella (e conseguiva automaticamente alla) riapprovazione del programma costruttivo, a norma delle menzionate disposizioni.

Il secondo motivo di entrambi i ricorsi denuncia vizio di motivazione insufficiente e contraddittoria in ordine a un fatto controverso e decisivo, individuato nella necessità di attivare un apposito procedimento per la rinnovazione della dichiarazione di pubblica utilità, senza indicare le norme e gli atti che lo prevedevano.

2.1.- Entrambi i motivi sono infondati, essendosi la sentenza impugnata attenuta a principi consolidati.

La giurisprudenza di questa Corte è nel senso che, nel caso in cui la dichiarazione di pubblica utilità diventi inefficace per scadenza dei relativi termini (e anche quando non segua la tempestiva adozione del decreto di esproprio), essa possa essere rinnovata ma, a tal fine, non sono sufficienti la mera riapprovazione del progetto dell’opera, nè la riemissione del decreto di esproprio o la determinazione e l’offerta dell’indennità di espropriazione, i quali, essendo rivolti esclusivamente ad eludere il carattere perentorio dei termini finali per il compimento dell’espropriazione ed a raccordarsi ex tunc alla fase pregressa, sono nulli in quanto privi sia dell’oggetto sia del collegamento funzionale con la vicenda espropriativa (v. Cass., sez. un., n. 17491/2008). Si è anche sottolineata la necessità che la riapprovazione dia luogo ad una nuova dichiarazione di pubblica utilità, con un nuovo avvio del procedimento finalizzato a tale dichiarazione e con una nuova fissazione dei termini, essendo insufficiente la mera proroga dei termini originariamente fissati (v. Cass., sez. un., n. 10024/2007); di conseguenza, se medio tempore la realizzazione dell’opera sia già avvenuta, l’intera rinnovazione sarà disposta inutilmente e nella totale impossibilità di immutare il titolo di acquisizione dell’opera da parte dell’espropriante (v. Cass. n. 1836/2001).

In senso analogo è la giurisprudenza amministrativa, secondo la quale la rinnovazione della procedura espropriativa opera sempre in termini di soluzione di continuità rispetto alla pregressa fase, alla quale non ha possibilità di raccordarsi ex tunc, sicchè è necessario che, alla data di adozione del provvedimento di riapprovazione di un progetto comportante dichiarazione di p.u., sussistano le condizioni di attualità e concretezza dell’interesse pubblico che si intende perseguire con la realizzazione dell’opera e che si dia conto anche delle ragioni di forza maggiore che hanno impedito la regolare e tempestiva definizione della procedura espropriativa (v. Cons. di Stato, sez. 4, n. 3445 e 4984/2005). Ne consegue la necessità di acquisire nuovamente anche gli apporti endoprocedimentali previsti dalla legge ed acquisiti nell’originario procedimento (ad es., le osservazioni dei privati), di modo che anche tali apporti siano riferibili all’attualità della situazione di fatto su cui si va ad incidere (v. Cons. di Stato, sez. 4, n. 8289/2003, n. 3445 e 4984/2005; sulla necessità di una nuova comunicazione di avvio del procedimento, v. Cons. di Stato, sez. 4, n. 2004/2003, n. 4077/2002).

Pertanto, la mera riapprovazione del progetto dell’opera non vale ad integrare una nuova e valida dichiarazione implicita di pubblica utilità, nè vale come sanatoria della precedente dichiarazione.

3.- La Azzurra 87, con il terzo motivo del suo ricorso, denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2055 c.c., per avere affermato la propria responsabilità in via solidale con il Comune di Trapani, benchè essa fosse mera beneficiaria dell’espropriazione, non avesse fornito alcun contributo causale alla produzione del danno e benchè l’intera procedura espropriativa fosse stata condotta dal Comune di Trapani che aveva adottato i relativi atti.

3.1.- Il motivo è inammissibile. La questione proposta non è stata trattata nella sentenza impugnata (nè il motivo specifica se e quando sia stata sollevata nel giudizio di merito) e non può essere introdotta in questa sede di legittimità, implicando anche apprezzamenti di fatto.

4.- A quest’ultimo motivo si ricollega il quarto motivo del ricorso del Comune di Trapani che denuncia l’erroneità della sentenza impugnata per non avere condannato esclusivamente la Cooperativa Azzurra 87 e, comunque, per non averla condannata a tenere il Comune indenne da quanto dovuto ai privati, in forza di una clausola contrattuale (art. 1 della convenzione inter partes).

4.1.- Il motivo è inammissibile, risolvendosi nella richiesta di una diversa interpretazione di un atto negoziale che costituisce un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito e incensurabile in sede di legittimità, se non nelle ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale di cui all’art. 1362 c.c. e segg. ovvero di vizi motivazionali a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. n. 14355/2016, n. 10554/2010), nella specie neppure prospettate nel motivo.

5.- Il quarto motivo di ricorso di Azzurra 87 denuncia difetto di giurisdizione del giudice ordinario, in favore del giudice amministrativo.

5.1.- Il motivo è manifestamente infondato. Come correttamente osservato nella sentenza impugnata, essendo la causa stata introdotta con atto di citazione notificato il 27 novembre 1998, cioè in epoca successiva al 30 giugno 1998 e precedente al 10 agosto 2000 (data di entrata in vigore della L. 21 luglio 2000, n. 205, art. 7), la giurisdizione spetta al giudice ordinario (v. Cass., sez. un., n. 8209/2005, n. 22891/2004).

6.- Il terzo motivo del ricorso del Comune di Trapani e il quinto motivo del ricorso di Azzurra 87 denunciano violazione e falsa applicazione della L. n. 2359 del 1865, all. E, artt. 4 e 5 per avere erroneamente disapplicato la delibera n. 219 del 1997, che costituiva la causa del danno dedotto in giudizio, ignorando il principio secondo cui il potere di disapplicazione può essere esercitato dal giudice ordinario unicamente nei giudizi tra privati e nei casi in cui l’atto illegittimo venga in rilievo non come fondamento del diritto dedotto in giudizio, ma come mero antecedente logico.

6.1. Entrambi sono infondati.

Essi si basano su una risalente interpretazione della L. n. 2848 del 1865, all. E, ripresa nella giurisprudenza recente (v., da ultimo, Cass., sez. un., n. 2244/2015), secondo la quale il potere di disapplicazione dell’atto amministrativo illegittimo da parte del giudice ordinario non può essere esercitato nei giudizi in cui sia parte la P.A., ma unicamente nei giudizi tra privati (oltre che, com’è pacifico, nei soli casi in cui l’atto illegittimo venga in rilievo, non già come fondamento del diritto dedotto in giudizio, bensì come mero antecedente logico). E’ una questione ancora dibattuta, se si considera la nutrita giurisprudenza di legittimità che è di opinione diversa (v. implicitamente, tra le tante, Cass., sez. un., n. 12644/2014; n. 9631/2012, n. 8199/2005, n. 11103/2004, n. 332/2002, n. 15016/2001, n. 6001/1995), ma che non è necessario affrontare in questa sede.

Qui interessa osservare che comune ad entrambe le opzioni è la constatazione che il potere di disapplicazione riguarda, in ogni caso, gli atti con funzione provvedimentale, cioè emessi dall’Amministrazione come autorità: la L. del 1865, come noto, nell’istituire la giurisdizione unica del giudice ordinario sui diritti soggettivi, aveva particolare riguardo alle controversie che opponevano i privati alla pubblica amministrazione intesa come autorità, come dimostrato dal fatto che al giudice ordinario fosse precluso di annullare, revocare o modificare gli atti amministrativi illegittimi (art. 4). Ulteriori indicazioni in tal senso, come un’autorevole dottrina ha da tempo evidenziato, si desumono dalla stessa legge fondamentale, cui principi sono stati riassorbiti nella Carta costituzionale (v. Corte cost. n. 204/2004, p. 2 del considerato in diritto): l’art. 2, che devolve alla giurisdizione ordinaria le cause sui diritti “ancorchè siano emanati provvedimenti del potere esecutivo o dell’autorità amministrativa”; l’art. 4, che, autorizzando i tribunali “a conoscere degli effetti dell’atto” che sia stato causa di “lesione” del diritto, implicitamente si riferisce agli atti provvedimentali illegittimi, cioè pur sempre efficaci ed esecutori (a differenza di quelli nulli che non potrebbero dirsi “lesivi” in senso stretto); analogo concetto è espresso nell’art. 7 che, a proposito della proprietà privata, riconosce la potenziale lesività dell’atto intrinsecamente provvedimentale (che può essere causa di “pregiudizio ai diritti delle parti”).

Conseguenza di questa premessa è che per entrambe le opzioni cui si è accennato – che divergono a proposito dell’ambito soggettivo di applicabilità della disapplicazione degli atti amministrativi (solo nelle controversie tra privati o anche in quelle in cui sia parte una pubblica amministrazione) potere di disapplicazione riguarda esclusivamente gli atti aventi valore provvedimentale, seppure illegittimi, in quanto emessi da un’amministrazione-autorità che sia dotata di un potere conferitole dalla legge.

Al contrario, in presenza di atti emessi da un’amministrazione pubblica in carenza di potere (ad esempio, perchè mancanti degli elementi essenziali o viziati da difetto assoluto di attribuzione o nei casi previsti dalla legge, L. n. 241 del 1990., art. 21 septies), vale a dire quando l’azione della P.A. non sia riconoscibile come pubblico potere “perchè a sua volta deliberato nei modi ed in presenza dei requisiti richiesti per valere come atto o provvedimento e non come mera via di fatto” (v. Cass., sez. un., n. 13659/2006), ovvero nell’ambito di rapporti di diritto privato, l’atto è privo di valore provvedimentale e rileva, nel rapporto controverso, come un mero fatto, allo stesso modo che nei rapporti tra privati. In tali casi, non trattandosi di un provvedimento amministrativo, non v’è necessità di una disapplicazione dell’atto amministrativo e, quindi, non si pone il problema se il giudice possa o meno esercitare il relativo potere nei confronti della pubblica amministrazione che sia parte in causa nel giudizio promosso dal privato. Nella specie, come s’è detto, essendo divenuta inefficace la dichiarazione di pubblica utilità per scadenza dei relativi termini previsti per i lavori e le espropriazioni, con la Delib. del 1997 il Comune di Trapani ha emesso, in carenza di potere, una nuova dichiarazione di pubblica utilità a sanatoria di quella precedente: non rilevando essa come provvedimento ma come fatto, al pari dell’attività materiale successivamente posta in essere dall’amministrazione, non si poneva la necessità di una disapplicazione, ma di una valutazione della fattispecie illecita, che è ciò che la Corte di merito ha fatto. E in tal senso la motivazione della sentenza impugnata, laddove parla di disapplicazione, dev’essere corretta a norma dell’art. 384 c.p.c., comma 4.

7.- In conclusione, entrambi i ricorsi sono rigettati.

Le spese seguono la soccombenza si liquidano in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta i ricorsi; condanna la Cooperativa edilizia Azzurra 87 e il Comune di Trapani, in solido, alle spese del giudizio, liquidate in Euro 7800,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 28 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2017

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