Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 276 del 07/01/2011

Cassazione civile sez. I, 07/01/2011, (ud. 16/11/2010, dep. 07/01/2011), n.276

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.D. (c.f. (OMISSIS)), D.A.

(C.F. (OMISSIS)), nella qualita’ di eredi di DA.

A., D.G. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA LILIO LUIGI 65, presso l’avvocato DE

BERARDINIS PAOLO, rappresentati e difesi dall’avvocato DI BARI

ANGELO, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

PROVINCIA DI BARI (c.f. (OMISSIS)), in persona del Presidente pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PREFETTI 17,

presso l’avvocato PANDISCIA CARLO, rappresentata e difesa dagli

avvocati DIPIERRO ROSA, MINUCCI SABATINO, giusta procura a margine

del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1183/2003 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 04/12/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/11/2010 dal Consigliere Dott. ROSA MARIA DI VIRGILIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Da.An., proprietaria di un terreno in (OMISSIS), in catasto fg 38, particelle 1986, 1984, 1966, 1957 e 1949, e D.G., proprietaria di un terreno posto nello stesso agro, in catasto, fg. 38, particella 1971, terreni tutti dei quali era stata disposta, per la sistemazione della strada provinciale (OMISSIS), l’occupazione d’urgenza e la successiva espropriazione, proponevano opposizione alla stima dell’indennita’ di occupazione e di espropriazione, convenendo avanti alla corte d’appello la Provincia di Bari, ente beneficiario della procedura ablativa. La Provincia contestava l’ammissibilita’ e la fondatezza della domanda attrice.

La corte territoriale, per quanto qui interessa,ha ritenuto infondata la tesi delle attrici, intesa a far valere la palese potenzialita’ edificatoria, seppure di fatto, dei fondi, atteso che l’area in oggetto aveva destinazione agricola in base agli strumenti urbanistici non preordinati all’esproprio, e che non era prospettabile il riferimento alla edificabilita’ di fatto, o al maggior valore che i terreni, pur agricoli, avrebbero potuto avere in vista di future possibilita’ edificatorie.

La corte ha quindi rigettato la domanda delle attrici e ha condannato le stesse alla rifusione delle spese di lite a favore della Provincia.

Contro detta decisione ricorrono D.D. e D. A., eredi di Da.An., nonche’ D.G., sulla base di due motivi; resiste la Provincia con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1 – Con il primo articolato motivo, i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione della L. n. 848 del 1955, con riferimento all’art. 1 del 1^ Protocollo della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo la rilevanza delle considerazioni contenute in atto di citazione e piu’ in dettaglio, nella CTU, quanto alla particolare collocazione dei terreni, alla vicinanza a zona residenziale e commerciale e ad opere di urbanizzazione primaria, non in relazione ad una diversa qualificazione degli stessi,ricadenti in zona E1 e quindi agricoli, ma sul profilo della compatibilita’ dell’indennizzo offerto,calcolato secondo i corretti parametri enucleabili dalla normativa interna, con i criteri desumibili dalla normativa internazionale, ugualmente vincolante, rappresentata dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ratificata e resa esecutiva con la L. n. 848 del 1955.

I ricorrenti a riguardo si rifanno alle pronunce interpretative della Corte di Strasburgo in materia di indennita’ espropriativa, costituenti parte integrante della Convenzione medesima (pronunce della CEDU del 28/11/2002, n. 25701/94, dell’11 gennaio 2001, n. 38460/1997), rilevando che l’adozione di un criterio legittimo di determinazione dell’indennita’, nel caso, rapportato al valore agricolo medio in rapporto alle colture effettivamente praticate, non implica per cio’ solo la legittimita’ dell’indennita’ calcolata in relazione ai principi della Convenzione, in relazione a cui occorre valutare, in caso di disparita’ tra depauperamento patrimoniale del privato ed offerta indennitaria, che il sacrificio del privato non risulti eccessivo e sproporzionato, ovvero non giustificato da particolari ragioni, non coincidenti sic et simpliciter con il requisito dell’utilita’ sociale; al fine di tale giudizio, risultano assolutamente pregnanti e decisive le considerazioni relative all’appetibilita’ del suolo, alla latente potenzialita’ edificatoria, ovvero alla prospettiva di uno sfruttamento diverso del suolo;il sacrificio del privato non puo’ non rapportarsi al valore piu’ probabile di mercato, ne’ le sentenze della CEDU distinguono tra suoli agricoli ed edificabili, in relazione alla necessita’ che l’indennita’ offerta garantisca un serio ristoro al soggetto espropriato.

Secondo i ricorrenti, il giudice nazionale, verificata l’incompatibilita’ tra il criterio indennitario della legge nazionale ed il principio del rispetto della proprieta’ individuale, deve disapplicare il criterio stesso o integrarlo con altri criteri, per non incorrere in vizio di violazione di legge (internazionale); la disapplicazione e’ istituto esemplarmente delineato dalla Corte di Giustizia CE con riferimento alle norme del diritto comunitario (sent. 8 giugno 2000), e, con riferimento ai principi della CEDU, dalla stessa S.C. e dalla Corte di Strasburgo (vedi Cass. 10542/02, 11096/04, e la ratio sottesa all’ordinanza 15400/04; vedi la sentenza della Corte di Strasburgo del 29/7/04 – caso Scordino).

Nella specie, continuano i ricorrenti, v’e’ sproporzione evidente tra l’indennita’ offerta ed il depauperamento patrimoniale subito, in considerazione del fine di utilita’ sociale sotteso alla procedura espropriativa, e considerato che il valore massimo indicato dal CTU corrisponde alla valutazione intermedia tra il valore desumibile dal listino della borsa immobiliare della camera di Commercio per uliveto di 1^ classe(3000 1/mq) ed il valore degli stessi beni sul libero mercato di (OMISSIS) (quasi 30.000 L/mq), valore non contestato in causa; il divario sarebbe altresi’ evidente anche ove si applicasse il valore definito “minimo” dal CTU. 1.2 – Con il secondo motivo, i ricorrenti si dolgono dell’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non avere la Corte reso alcuna pronuncia sulla domanda di indennizzo per la distruzione in corso d’opera della rete di recinzione e del muretto sottoposto, sia nel terreno espropriato che nei terreni residui; se si intendesse una reiezione implicita, vi sarebbe omessa motivazione, e la Corte si sarebbe distaccata dalle conclusioni del CTU senza motivare.

2.1 – Il primo motivo e’ infondato.

I ricorrenti si sono limitati a sostenere la necessita’ di disapplicazione da parte del giudice nazionale della normativa interna in quanto produttiva di effetto incompatibile con il principio del rispetto della proprieta’ individuale come interpretato dalla Corte di Strasburgo, ma, anche a tacere dalla ammissibilita’ dell’ipotizzata disapplicazione della legge ordinaria ritenuta incompatibile con una norma Cedu (com’e’ noto, la ritenuta incompatibilita’ potrebbe solo configurare una questione di legittimita’ costituzionale, secondo l’impostazione seguita dalle sentenze della Corte costituzionale, nn. 349 e 348 del 2007), va rilevato che i ricorrenti non hanno citato alcuna norma della Convenzione in contrasto con gli specifici criteri di calcolo dell’indennita’ di espropriazione delle aree non edificabili nel nostro ordinamento (sulla determinazione secondo i criteri di cui alla L. n. 865 del 1971, artt. 15 e 16 richiamata dalla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 4, vedi tra le ultime, Cass. 17672/2009, 8243/2006, 10424/2005 e sulla manifesta infondatezza della questione di costituzionalita’ sollevata rispetto agli artt. 3, 42 e 117 Cost., vedi la pronuncia resa dalle S.U., n. 22753/2009) e le decisioni della Corte di Strasburgo riguardano tutte i fondi con destinazione edificatoria, come proprio l’invocata sentenza Scordino, che ha ritenuto incompatibile con i precetti dell’art. 1^ dell’allegato 1^ alla Convenzione il meccanismo riduttivo di calcolo stabilito dai primi due commi dell’art. 5 bis, proprio per tale ragione dichiarato incostituzionale dalla nota sentenza 348/2007 della Corte costituzionale. Nella specie, pacifica la qualificazione dei terreni come ricadenti in zona E1 e, dunque, agricoli, coltivati ad uliveto, come ribadito dal CTU, non puo’ che farsi applicazione del “valore agricolo” operato dalle commissioni provinciali in base ai meccanismi ed agli elementi indicati nella L. n. 865 del 1971, non potendo sostituirsi a detto valore una diversa valutazione, priva di fondamento normativo, basata,come vorrebbero i ricorrenti e come operato dal CTU, sulla media tra i valori del listino della borsa immobiliare della Camera di Commercio per uliveto di 1^ classe e di mercato, ovvero sul solo prezzo della borsa immobiliare.

E la scelta legislativa di suddividere le aree in due sole categorie – aree edificabili da una parte, e dall’altra, tutte le rimanenti – e di valutare queste ultime ai fini del calcolo dell’indennita’ di espropriazione in base al valore agricolo tabellare e’ stata dichiarata costituzionalmente legittima dalla Corte Cost. nella sentenza 261/1997.

2.2 – Anche il secondo motivo del ricorso e’ infondato. Ed invero, non v’era necessita’ di pronuncia sulla domanda risarcitoria, in quanto sulla stessa la corte d’appello non era competente in unico grado, non estendendosi la competenza prevista dalla L. n. 865 del 1971, art. 19 a domande sia pure connesse, ma diverse per oggetto o titolo (vedi sul principio, Cass. 4090/2007, Cass. 13178/2006, Cass. 821/2004).

3.- Va pertanto respinto il ricorso ed i ricorrenti, quali soccombenti, vanno condannati alla rifusione alla Provincia di Bari delle spese del presente giudizio, negli importi liquidati in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti a rifondere alla Provincia di Bari le spese di lite del presente giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 2200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.

Cosi’ deciso in Roma, il 16 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2011

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