Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27592 del 02/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 02/12/2020, (ud. 30/09/2020, dep. 02/12/2020), n.27592

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 11710/2018 R.G. proposto da

O.J., rappresentato e difeso dall’Avv. Rosanna Carta, con

domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della

Corte di cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e

difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in

Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso il decreto del Tribunale di Cagliari depositato il 23

febbraio 2018;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30 settembre

2020 dal Consigliere Mercolino Guido.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che O.J., cittadino della Nigeria, ha proposto ricorso per cassazione, per tre motivi, avverso il decreto del 23 febbraio 2018, con cui il Tribunale di Cagliari ha rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e, in subordine, della protezione sussidiaria o del permesso di soggiorno per motivi umanitari da lui proposta;

che il Ministero dell’interno ha resistito con controricorso.

Considerato che con il primo motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, censurando il decreto impugnato per illogicità e contraddittorietà della motivazione, nella parte in cui ha rigettato l’istanza di audizione proposta da esso ricorrente, a causa della sua mancata comparizione in udienza, senza considerare che, in assenza di un’espressa previsione della comparizione personale nel decreto di fissazione dell’udienza, la mancata comparizione non poteva considerarsi ingiustificata;

che il motivo è inammissibile, non essendosi il Tribunale limitato, nel rigettare l’istanza di audizione proposta dal ricorrente, a dare atto della mancata comparizione personale dello stesso in udienza, ma avendo ritenuto altresì superfluo un rinvio per l’espletamento di tale incombente, in virtù di una pluralità di ragioni idonee ad escludere la necessità di acquisire chiarimenti o integrazioni in ordine ai fatti narrati nel ricorso, costituite dall’adeguatezza del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, dall’irrilevanza della vicenda personale narrata in quella sede e dalla mancata allegazione di fatti nuovi o diversi a sostegno della domanda giudiziale;

che nel procedimento d’impugnazione del diniego di riconoscimento della protezione internazionale, mentre la fissazione dell’udienza per la comparizione delle parti riveste carattere obbligatorio, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35-bis, comma 11, lett. a), in caso di indisponibilità della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, determinandosi altrimenti la nullità del decreto con cui viene deciso il ricorso, l’opportunità di disporre l’audizione è invece rimessa alla discrezionalità del giudice di merito, la cui valutazione è insindacabile in sede di legittimità ove, come nella specie, risulti sorretta da adeguata motivazione (cfr. Cass., Sez. I, 28/02/2019, n. 5973; Cass., Sez. VI, 31/01/2019, n. 2817);

che con il secondo motivo il ricorrente deduce l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sostenendo che il decreto impugnato non ha tenuto conto dello stato di estrema povertà, dovuto soprattutto ad una situazione di violenza indiscriminata, che lo ha costretto ad abbandonare il suo Paese di origine per trasferirsi in Libia, dove si è trattenuto per circa sette mesi, prima di fuggire a causa dell’imperversare di conflitti armati sempre più aspri e dell’insostenibilità delle condizioni di vita;

che il motivo è inammissibile, riflettendo l’omessa valutazione di circostanze di fatto puntualmente prese in esame dal decreto impugnato, il quale ha escluso per un verso che nella regione di provenienza del ricorrente sussista una situazione di violenza indiscriminata derivante da un conflitto armato, tale da legittimare il riconoscimento della protezione sussidiaria, e per altro verso che la situazione di povertà del Paese di origine risulti idonea a giustificare il riconoscimento della protezione umanitaria;

che, in quanto fondata sul richiamo ad informazioni fornite da fonti internazionali attendibili ed aggiornate, l’esclusione della configurabilità della fattispecie di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), si sottrae alle censure proposte dal ricorrente, costituendo proprio il risultato del ricorso a quei mezzi istruttori dei quali quest’ultimo lamenta la mancata utilizzazione, e quindi dell’adempimento del dovere di cooperazione istruttoria posto a carico del giudice nella materia in esame;

che, come questa Corte ha già avuto modo di precisare, il diritto alla protezione umanitaria non può essere riconosciuto per il semplice fatto che lo straniero versi in non buone condizioni economiche o di salute, occorrendo invece, conformemente al disposto degli artt. 2, 3 e 4 della CEDU, che tale condizione costituisca l’effetto di una grave violazione dei diritti umani subita dal richiedente nel Paese di provenienza (cfr. Cass., Sez. VI, 23/11/ 2017, n. 28015; 21/12/2016, n. 26641);

che parimenti irrilevante deve considerarsi l’allegazione di un’ampia violazione dei diritti umani in atto in un Paese di transito, se non accompagnata dalla precisazione del collegamento esistente tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, potendo tale situazione essere tenuta in conto soltanto ai fini della ricostruzione della vicenda personale del richiedente, e quindi della valutazione della sua credibilità, dal momento che l’indagine in ordine al rischio di persecuzioni o di un danno grave in caso di rimpatrio dev’essere effettuata con riferimento al Paese di origine, o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide (cfr. Cass., Sez. I, 6/12/2018, n. 31676; Cass., Sez. VI, 20/11/2018, n. 29875; 6/02/2018, n. 31676);

che con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 116 c.p.c., nonchè l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando il decreto impugnato per illogicità e contraddittorietà della motivazione, nella parte in cui ha escluso che la frequentazione dei corsi di italiano presso una struttura di accoglienza fosse sintomatica d’integrazione nel territorio italiano, in tal modo privando di qualsiasi valore l’impegno da lui profuso per inserirsi nel tessuto sociale e lavorativo del Paese di accoglienza;

che il motivo è inammissibile, avendo ad oggetto la valutazione degli elementi di fatto presi in considerazione ai fini della decisione in ordine alla domanda di riconoscimento della protezione umanitaria, e mirando quindi a sollecitare un nuovo apprezzamento dei fatti, non consentito a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di controllare la correttezza giuridica della decisione impugnata, nonchè la coerenza logica della stessa, nei limiti in cui le relative anomalie sono ancora deducibili come motivo di ricorso per cassazione, a seguito della sostituzione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. Un., 7/04/2014, n. 8053 e 8054; Cass., Sez. VI, 8/10/2014, n. 21257);

che il ricorso va dichiarato pertanto inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza, allo stato, dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dallo stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 30 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2020

 

 

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