Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2759 del 06/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 06/02/2020, (ud. 04/07/2019, dep. 06/02/2020), n.2759

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22796-2017 proposto da:

IMPRESA E.D.G. SRL, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

PAOLO PARLATO;

– ricorrente –

contro

IMPRESA DOTT. A.S. SPA, in persona del titolare pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COLA DI RIENZO 285,

presso lo studio dell’avvocato GABRIELE MASOCCO, rappresentata e

difesa dall’avvocato MARIO ATRIPALDI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3279/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 13/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 04/07/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA

FALASCHI.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Tribunale di Napoli, con sentenza n. 6619 del 2012, rigettava la proposta dall’Impresa E.D.G. nei confronti dell’Impresa A.S. condividendo le conclusioni a seguito della Consulenza Tecnica secondo cui “non si rilevavano vizi o difformità delle opere eseguite dalla parte convenuta” mentre nulla disponeva sulla domanda riconvenzionale.

Nelle more il Tribunale di Cosenza su istanza dell’Impresa Dott. A.S. emetteva decreto ingiuntivo per il compenso dei lavori realizzati di Euro 46.242,95 avverso il quale l’Impresa E.d.G. proponeva opposizione presso il medesimo Tribunale di Cosenza, giudizio che veniva definito con sentenza n. 1293 del 2010 di declaratoria di continenza rispetto al primo, dichiarata altresì la nullità del decreto ingiuntivo opposto, assegnando alle parti un termine di 90 giorni per la riassunzione dinanzi al Tribunale di Napoli.

Il Tribunale di Napoli, con sentenza n. 4732 del 2013 ritenuta fondata la domanda di pagamento dell’impresa A.S. condannava la D.G. al pagamento di Euro 46.242,95.

A seguito di due separati atti di appello, poi riuniti, proposti dall’Impresa d.G. avverso le sentenze del Tribunale di Napoli n. 6619/2012 e n. 4732/2013, la Corte di appello di Napoli, con sentenza n. 3279 del 2017, dichiarava l’appello inammissibile per carenza di interesse ai sensi dell’art. 100 c.p.c. con riferimento alla prima decisione ed infondato relativamente alla seconda.

Avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli la Soc. Impresa E.D.G. S.p.a propone ricorso per Cassazione, fondato su tre motivi. L’Impresa del Dott. A.S. resiste con controricorso.

Ritenuto che il ricorso potesse essere respinto, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), su proposta del relatore, regolarmente comunicata alle parti, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

In prossimità dell’adunanza camerale il ricorrente ha anche depositato memoria illustrativa.

Atteso che:

– con il primo motivo la società ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c. in relazione alla ritenuta carenza di interesse dovuta ad errata interpretazione della domanda riconvenzionale dell’Impresa del Dott. A.S. nel procedimento rg. N. 39322/2004 definito con sentenza n. 6619/2012 (art. 360 c.p.c., n. 3). La ricorrente assume che la sentenza impugnata sia erronea poichè l’interesse a contraddire alla domanda riconvenzionale discenderebbe dall’esigenza di ottenere comunque una pronunzia su tale domanda. Inoltre egli afferma che l’interesse ad agire deriverebbe dalla circostanza che il giudice di prime cure, formulati i mezzi istruttori in ordine alla riconvenzionale spiegata, l’avrebbe rigettati, a suo dire, proprio sul presupposto dell’infondatezza della domanda medesima. Di qui il sorgere di un interesse alla pronuncia.

Con il secondo motivo la Società ricorrente denuncia la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c. sulla individuazione della avvenuta declaratoria di inammissibilità dell’avversa domanda (art. 360 c.p.c., n. 3).

Ad avviso della ricorrente la Corte di appello avrebbe errato nell’interpretazione della sentenza di primo grado laddove ha ritenuto che la domanda riconvenzionale proposta dall’Impresa A.S. fosse stata oggetto di declaratoria di inammissibilità.

Il primo ed il secondo motivo, da esaminarsi congiuntamente alla luce della loro stretta connessione argomentativa che li avvince, sono da ritenere inammissibili sotto un duplice profilo.

Prima facie occorre osservare che secondo consolidata giurisprudenza consolidata il principio enunciato nell’art. 100 c.p.c., per il quale per proporre una domanda e per contraddire ad essa è necessario avervi interesse, si estende anche ai giudizi di impugnazione, in ordine ai quali, in particolare, l’interesse ad impugnare una data sentenza o un capo di questa va desunto dall’utilità giuridica che dall’eventuale accoglimento del gravame possa derivare alla parte che lo propone e si ricollega pertanto ad una soccombenza, anche solo parziale, nel precedente giudizio, intesa come effetto pregiudizievole derivante dalle statuizioni (idonee a passare in giudicato) contenute nella sentenza impugnata (Cass.9308 del 2011).

Si è altresì, precisato che l’utilità concreta che deriva alla parte dall’eventuale accoglimento dell’impugnazione stessa non può esaurirsi in un mero interesse astratto privo di riflessi pratici sulla decisione adottata, ma deve riguardare una più concreta soluzione giuridica (Cass.10726 del 2017).

Tanto premesso, nel caso di specie l’Impresa E.D.G. lamenta l’omessa pronuncia ovvero il rigetto implicito della domanda avversaria da parte del giudice di prime cure, senza però dedurre una propria soccombenza, la quale costituisce presupposto per proporre l’impugnazione.

Ne consegue che non subendo alcun pregiudizio da siffatta omissione, alcun interesse ad agire può essergli riconosciuto.

Si aggiunga che la società ricorrente neanche riproduce, come avrebbe dovuto fare ai sensi dell’art. 366 c.p.c., il tenore della domanda riconvenzionale la cui pronuncia ritiene omessa, dal momento che nella sentenza impugnata viene dato atto che nel giudizio introdotto dalla società D.G. la convenuta aveva solo espresso una riserva di domanda riconvenzionale poi non formulata (v. pag. 3 della sentenza gravata);

– con il terzo motivo la società ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 50 c.p.c e dell’art. 2697 c.c.. Ad avviso del ricorrente la Corte di appello avrebbe erroneamente interpretato il motivo di gravame proposto per aver già il giudice di primo grado posto a carico dell’eccipiente la prova dell’intempestività della notifica dell’atto di riassunzione che a norma dell’art. 50 c.p.c. è da ritenersi perentorio.

Anche l’ultimo motivo è inammissibile.

Preliminarmente occorre osservare che per consolidato orientamento di questa Corte ove la sentenza (o un capo di questa) sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura delle altre (Cass.18641 del 2017).

Nel caso in esame il capo della sentenza impugnata dal ricorrente è sorretto da una doppia ratio decidendi. Da un lato la corte di merito, confermando la decisione del giudice di prime cure, afferma che il termine di riassunzione decorre dalla data di comunicazione della sentenza, tuttavia dagli atti di causa non risultava rinvenibile detta data, come del resto dedotto dalla società appellata, per cui non poteva essere gravato di fornire prova negativa della mancata comunicazione della sentenza.

Aggiunge, inoltre, la corte distrettuale che a fronte di siffatto quadro probatorio inidoneo ad identificare con certezza l’esatto giorno dell’asserita comunicazione da parte della cancelleria, sarebbe comunque, spettato all’eccipiente fornire la prova dell’avvenuto adempimento.

Orbene, seppure quest’ultima ratio appare del tutto errata alla luce della giurisprudenza invocata dalla ricorrente (Cass. n. 888 del 2012), è evidente che la mancata censura della diversa ragione che ha comunque corroborato la decisione di entrambi i giudici di merito, quanto al difetto di comunicazione della sentenza a cura della cancelleria, determina la definitività della stessa rispetto alla cassazione della decisione.

Il ricorso va dunque respinto.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto al T.U. di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;

condanna la ricorrente alla rifusione delle spese processuali che liquida in favore della controricorrente in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della VI-2 Sezione Civile, il 4 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 febbraio 2020

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