Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2759 del 06/02/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 2759 Anno 2014
Presidente: MIANI CANEVARI FABRIZIO
Relatore: BANDINI GIANFRANCO

SENTENZA

sul ricorso 21848-2008 proposto da:
FAZIO ELEONORA C.F. FZALNR71B67H501S, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA RENO 21, presso lo studio
dell’avvocato RIZZO ROBERTO, che la rappresenta e
difende giusta delega in atti;
– ricorrente 2013
3654

contro

POSTE ITALIANE S.P.A. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la

Data pubblicazione: 06/02/2014

rappresenta e difende giusta delega in atti;

controricorrente

avverso la sentenza n. 914/2007 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 10/09/2007 r.g.n. 3677/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
del

12/12/2013

dal

Consigliere

Dott.

GIANFRANCO HANUINI;
udito l’Avvocato RIZZO ROBERTO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ENNIO ATTILIO SEPE, che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

udienza

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

gravame proposto da Fazio Eleonora nei confronti della Poste
Italiane spa avverso la pronuncia di prime cure, che aveva disatteso
la domanda di declaratoria di nullità del termine apposto ai contratti
conclusi inter partes:

il primo, relativo al periodo 17 febbraio – 30 aprile 1998, a norma

dell’art. 8 del CCNL 26 novembre 1994 ed in particolare in base alla
previsione dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997, per la
presenza di

“esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di

ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso,
quale condizione per la trasformazione della natura giuridica
dell’Ente ed in ragione della graduale introduzione di nuovi processi
produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa
dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio
delle risorse umane”, prorogato fino al 30 maggio 1998 per “esigenze
contingenti e imprevedibili anche in ragione delle decisione assunte
dal Socio unico della Società, che impediscono allo stato una
definizione stabile dell’organico”;

il secondo, ai sensi dell’art. 8 CCNL 26.11.1994, relativo al

periodo 22 giugno – 30 settembre 1998, “per la necessità di
espletamento del servizio in concomitanza di assenza per ferie nel
periodo giugno – settembre”.
3

Con sentenza del 5.2-10.9.2007 la Corte d’Appello di Roma rigettò il

Avverso la suddetta sentenza della Corte territoriale, Fazio Eleonora

con memoria.
La Poste Italiane spa ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. La Corte territoriale, dopo dettagliata disamina degli accordi
succedutisi nel tempo fra le parti collettive, ha respinto il gravame in
ordine alla legittimità della proroga apposta al primo dei contratti
conclusi inter partes sul rilievo che tanto tale proroga, quanto il
contratto prorogato erano stati adottati nell’ambito temporale di
efficacia degli accordi autorizzatori intervenuti.
Tale impostazione è stata censurata con il primo motivo di ricorso,
con il quale, denunciando violazione di norme di diritto, nonché vizio
di motivazione, si deduce l’illegittimità della proroga, non essendo
ravvisabili le esigenze contingenti ed imprevedibili richieste dall’art. 2
legge n. 230/62 e potendo le parti sociali, ai sensi dell’art. 23 legge
n. 56/87, individuare nuove ipotesi di legittima apposizione del
termine, ma non autorizzare una serie di proroghe.
1.1 Deve premettersi che, con l’accordo del 27 aprile 1998, citato
anche nella sentenza impugnata, le parti, dopo aver concordato (al
comma 1) un certo assetto relativo allo smaltimento delle ferie (che
non interessa in questa sede), hanno stabilito quanto segue: Le parti
prendono atto, inoltre, che l’azienda dopo l’avvenuta trasformazione
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ha proposto ricorso per cassazione fondato su tre motivi e illustrato

in s.p.a. si trova a dover fronteggiare esigenze imprevedibili e

riorganizzazione (comma 2); pertanto, le stesse parti convengono
che, per fronteggiare le esigenze di cui al comma 2 del presente
accordo l’azienda disporrà la proroga di 30 gg. dei rapporti di lavoro
a termine in scadenza al 30.4.98 così come previsto dalla normativa
vigente in materia (comma 3).
Alla luce del suddetto accordo la censura deve ritenersi del tutto
infondata; infatti la motivazione della sentenza impugnata deve
essere considerata pienamente corretta in relazione al contenuto del
suddetto accordo, nel quale le parti contrattuali si sono date atto
dell’esistenza di tali esigenze ed hanno concordato, per far fronte
alle stesse, la proroga di trenta giorni per i contratti in scadenza al 30
aprile 1998; non giova, in senso contrario, sottolineare che l’art. 23
legge n. 56/87, nel delegare all’autonomia collettiva la previsione di
ipotesi diverse ed ulteriori di apposizione del termine al contratto di
lavoro, nulla ha disposto in materia di proroga; l’accordo sopra citato,
infatti, non prevede una nuova e diversa disciplina della proroga, ma
contiene una mera presa d’atto delle parti sociali relativamente
all’esistenza delle condizioni (esigenze contingenti ed imprevedibili)
previste dalla legge (cfr ad. 2 legge n. 230/62) per legittimare la
proroga; una presa d’atto che rileva unicamente sotto il profilo
probatorio esentando il datore di lavoro dall’onere di provare
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contingenti scaturite dai nuovi processi di ristrutturazione e

ulteriormente la sussistenza delle suddette circostanze (cfr, Cass., n.

2. Con il secondo motivo, denunciando nullità della sentenza per
omessa pronuncia e vizio di omessa motivazione, la parte ricorrente
si duole che la Corte territoriale non si sia pronunciata in ordine alla
svolta eccezione relativa alla intervenuta cessazione del vigore,
all’epoca dei fatti, del CCNL 26.11.1994; ad avviso della parte
ricorrente, stante l’esplicita previsione di cui all’art. 87 di tale CCNL, il
contratto stesso non sarebbe più stato applicabile dópo la data
indicata del 31.12.1997.
2.1 La clausola contrattuale oggetto di controversia è quella dell’art.
87 CCNL 26.11.1994, che, sotto la rubrica “Decorrenza e durata”,
afferma “1. Fatte salve le diverse decorrenze espressamente
indicate per i singoli istituti, il presente contratto ha decorrenza dalla
data della stipulazione e rimarrà in vigore fino al 31 dicembre 1997.
2. Dalla medesima data il rapporto di lavoro del personale dell’Ente è
disciplinato dal codice civile – libro V – dalle leggi che regolano il
rapporto di lavoro nell’impresa, del regolamento d’azienda, dal
presente contratto e dal contratto individuale.
3. La parte relativa al trattamento economico scadrà il 31 dicembre
1995′.

La giurisprudenza di questa Corte ritiene che i contratti collettivi di
diritto comune, costituendo manifestazione dell’autonomia negoziale
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19696/2007).

degli stipulanti, operano esclusivamente entro l’ambito temporale

sino ad un nuovo regolamento collettivo – secondo la disposizione
dell’art. 2074 cc -, ponendosi come limite alla libera volontà delle
organizzazioni sindacali, sarebbe in contrasto con la garanzia
prevista dall’art. 39 della Costituzione (cfr, Cass., SU, n.
11325/2005).
Con riferimento al contratto collettivo in esame (anche se con
riguardo a fattispecie non afferente la problematica del contratto a
termine), questa Corte ha ritenuto che, a seguito della sua naturale
scadenza ed in difetto di una regola di ultrattività, la relativa
disciplina non è più applicabile ed il rapporto di lavoro in precedenza
regolato dal contratto resta disciplinato dalle norme di legge, salvo
che le parti abbiano inteso, anche solo per facta concludentia,
proseguire l’applicazione delle norme precedenti (cfr, Cass, n.
2590/2009).
Nel caso di specie la Corte territoriale ha preso diffusamente in
esame gli accordi sindacali intervenuti anche dopo la scadenza
contrattuale del 31.12.1997 (in particolare, fra gli altri, l’accordo del
16.1.1998 e quello del 27.2.1998), ritenendone la rilevanza ai fini del
decidere.
Tali accordi, riferendosi a disposizioni del CCNL del 1994 ed a sue
integrazioni per effetto di ulteriori accordi, sono dimostrativi, per facta
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concordato dalle parti, atteso che l’opposto principio di ultrattività

concludentia, della volontà pattizia di ritenere ancora operante,

CCNL.
Al contempo la Corte territoriale, decidendo la controversia proprio in
forza degli accordi contrattuali successivi, ha implicitamente
ravvisato la perdurante efficacia del CCNL 1994, con ciò dovendosi
escludere la sussistenza dei lamentati vizi, sia di omessa pronuncia
che di omessa motivazione, essendo quest’ultima inequivocamente
rinvenibile nella riconosciuta validità della volontà pattizia di
regolamentare la materia, facendo riferimento alle previsioni
contrattuali, anche dopo la ricordata scadenza.
Anche il motivo all’esame, nei distinti profili in cui si articola, va
quindi disatteso.
3. Con il terzo motivo (erroneamente rubricato anch’esso sotto il
numero 2), denunciando nullità della sentenza per omessa
pronuncia e vizio di omessa motivazione, la parte ricorrente si duole
che la Corte territoriale non si sia pronunciata sul motivo di gravame
relativo alla ritenuta (dal primo Giudice) intervenuta volontà della
parte lavoratrice, per

facta concludentia,

di recedere

consensualmente dal rapporto stante il lungo lasso di tempo
trascorso.
3.1 La sentenza impugnata non ha esaminato la questione perché
evidentemente assorbita dalla riconosciuta validità delle clausole di
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quanto meno nell’ambito che qui rileva, le previsioni della predetto

apposizione del termine e della proroga del primo contratto dedotto

Il che esclude da un lato la sussistenza dei vizi denunciati e, al
contempo, comporta l’inammissibilità del motivo all’esame, che,
quand’anche astrattamente accoglibile, non potrebbe condurre,
stante l’infondatezza della altre doglianze, ad alcun utile risultato per
la parte ricorrente.
4. Rilevato che nessun ulteriore specifico motivo di ricorso è stato
svolto in ordine alle statuizioni concernenti la legittimità del termine
apposto ai contratti de quibus, il ricorso va dunque rigettato.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle
spese, che liquida in euro 3.600,00 (tremilaseicento), di cui euro
3.500,00 (tremilacinquecento) per compenso, oltre accessori come
per legge.
Così deciso in Roma il 12 dicembre 2013.

in giudizio.

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