Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27585 del 20/12/2011

Cassazione civile sez. III, 20/12/2011, (ud. 23/11/2011, dep. 20/12/2011), n.27585

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SEGRETO Antonio – Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.I. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA DARDANELLI 4 6, presso lo studio dell’avvocato PETROLO

MARINA, rappresentato e difeso dall’avvocato GUARINO ALFREDO giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

D.C.L., P.G. (OMISSIS),

PI.NI., P.I.M. (OMISSIS),

T.E. (OMISSIS), P.E. (OMISSIS),

MO.GI., COMUNE COLLE SANNITA;

– Intimati –

Nonchè da:

P.I.M. (OMISSIS), T.E.

(OMISSIS), P.E. (OMISSIS), P.

G. (OMISSIS), nella qualità di eredi del defunto

P.B., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA NOMENTANA

91, presso lo studio dell’avvocato BEATRICE GIOVANNI, rappresentati e

difesi dall’avvocato DEL GROSSO GIUSEPPE giusta delega in atti;

– ricorrenti incidentali –

contro

M.I. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA DARDANELLI 46, presso lo studio dell’avvocato PETROLO

MARINA, rappresentato e difeso dall’avvocato GUARINO ALFREDO giusta

delega in atti;

– controricorrente all’incidentale –

e contro

D.C.L., PI.NI., MO.GI., COMUNE

COLLE SANNITA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3659/2008 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 21/10/2008; R.G.N. 5720/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/11/2011 dal Consigliere Dott. GIOVANNI GIACALONE;

udito l’Avvocato ALFREDO GUARINO;

udito l’Avvocato FRANCESCO DEL GROSSO per delega;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale assorbito l’incidentale.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

1. M.I. impugna per cassazione, sulla base di tre motivi, illustrati da memoria, la sentenza Corte App. Napoli, depositata il 21 ottobre 2008, che, per quanto qui rileva, riformando quella di primo grado: a. ha accolto l’appello principale del Comune di Colle Sannita e dichiarata inammissibile per carenza di legittimazione passiva la domanda risarcitoria promossa contro lo stesso dal M., sul presupposto che l’abbattimento del fabbricato di questi era avvenuto in conseguenza di ordine del Sindaco assunto quale Ufficiale di Governo, sicchè dei danni derivanti dall’esercizio di tale potere doveva rispondere lo Stato, osservando altresì che nella materia ricorreva la responsabilità personale dell’amministratore; quale ulteriore conseguenza restava assorbito l’appello incidentale del M. nei confronti di detto ente; b. dichiarava inammissibile l’appello incidentale del M. nei confronti degli amministratori comunali, volto alla condanna dei predetti al risarcimento, in quanto il gravame non era sorretto da alcun motivo specifico, essendosi il predetto limitato a “ribadire la posizione già evidenziata nel giudizio di primo grado, contestando ed impugnando fermamente tutto quanto ex adverso affermato, dedotto e prodotto nel corso di entrambi i gradi di giudizio”.

2. Il M. formula i seguenti motivi:

2.1. Omessa motivazione sulla responsabilità dell’assessore ai lavori pubblici del Comune P.B. e del Responsabile dell’Ufficio Tecnico Ing. Mo.Gi. nell’abbattimento del fabbricato del M. e, di conseguenza, circa la responsabilità del Comune.

2.2. Violazione di norme di diritto, ex art. 360 c.p.c., n. 3, in riferimento all’art. 132 c.p.c., n. 4 e all’art. 221 c.p.c. e chiede alla Corte: 1. se il giudice deve valutare nel pronunziare sentenza, le prove documentali inserite nel fascicolo di parte nonchè allegate alla perizia giurata di parte, inserita nel fascicolo di parte, e richiamata in una relazione, pure allegata nel fascicolo di parte, della competente Stazione dei Carabinieri, quando tali prove documentali siano incidenti ai fini della decisione; 2. se la relazione in ordine alla presenza di una situazione di pericolo per la pubblica incolumità e in ordine alle disposizioni impartite per la eliminazione di tale situazione di pericolo, con la indicazione dei soggetti che hanno fornito tali disposizioni, firmata dal Responsabile dell’Ufficio Tecnico comunale, munita di timbro del Comune cui appartiene il prefato Responsabile, costituisca atto pubblico, fede facente in relazione a quanto asserito e asseverato, che non può essere pretermesso, nella formazione del convincimento del giudice, in assenza di impugnazioni e querele di falso.

2.3. Falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3 con riferimento all’art. 342 c.p.c., in relazione all’affermazione nella sentenza d’appello d’inammissibilità dell’appello incidentale del M. nei confronti dei convenuti P. e Mo. per genericità dei motivi, in assenza di qualsiasi motivazione nella sentenza di primo grado in ordine al rigetto della domanda del M. nei confronti dei predetti e chiede alla Corte “se i motivi di appello necessitino di essere specifici quando la sentenza appellata abbia omesso qualsivoglia considerazione in ordine alla richiesta di condanna aquilana nei confronti del convenuto verso il quale si dispiega appello incidentale”.

3. Resistono con controricorso, notificato l’11 gennaio 2010, gli eredi di P.B., chiedono dichiararsi inammissibile e, comunque, rigettarsi il ricorso e propongono contestualmente ricorso incidentale per violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 limitatamente al capo in cui la sentenza impugnata aveva omesso qualsiasi motivazione circa il verificarsi della prescrizione in favore degli odierni controricorrenti. Nelle conclusioni del ricorso incidentale formulano anche tale quesito di diritto “il litisconsorzio meramente processuale, che si verifica quando vi è chiamata in causa, per ordine del giudice, di un terzo cui è ritenuta comune la controversia, imponendo la presenza in causa del terzo anche nei successivi gradi del giudizio, comporta o meno che a tale soggetto debbano ritenersi automaticamente estese senza espressa manifestazione di volontà della parte interessata, le domande e le conclusioni formulate nei confronti di altri soggetti processuali?”.

Il M. propone controricorso rispetto a tale ricorso incidentale. Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

4. I ricorsi vanno riuniti essendo stati proposti avverso la medesima sentenza (art. 335 c.p.c.).

4.1. I motivi del ricorso principale si rivelano tutti inammissibili per mancanza del momento di sintesi in relazione al primo motivo e per inidoneità dei quesiti formulati in relazione agli altri motivi.

Infatti, l’art. 366-bis cod. proc. civ., nel testo applicabile ratione temporis, prevede le modalità di formulazione dei motivi del ricorso in cassazione, disponendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso se, in presenza dei motivi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, ciascuna censura deve, all’esito della sua illustrazione, tradursi in un quesito di diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va funzionalizzata, come attestato dall’art. 384 cod. proc. civ., all’enunciazione del principio di diritto ovvero a dicta giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza; mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 (il cui oggetto riguarda il solo iter argomentativo della decisione impugnata), è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione (Cass. n. 4556/09).

4.2. Orbene, nel caso in esame, rispetto al primo motivo, che deduce vizio motivazionale non è stato formulato il momento di sintesi, che come da questa Corte precisato richiede un quid pluris rispetto alla mera illustrazione del motivo, imponendo un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile (v. Cass., 18/7/2007, n. 16002). L’individuazione del denunziato vizio di motivazione risulta perciò impropriamente rimessa all’attività esegetica del motivo da parte di questa Corte (Cass. n. 9470(08). Si deve, peraltro, ribadire che è inammissibile, alla stregua della seconda parte dell’art. 366 bis cod. proc. civ., il motivo di ricorso per cassazione con cui, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la parte si limiti a censurare l’apoditticità e carenza di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento alla valutazione d’inadeguatezza delle prove da parte del giudice del merito, in quanto la norma processuale impone la precisazione delle ragioni che rendono la motivazione inidonea a giustificare la decisione mediante lo specifico riferimento ai fatti rilevanti, alla documentazione prodotta, alla sua provenienza e all’incidenza rispetto alla decisione (Cass. n. 4589/09). Senza contare che il motivo è inammissibile anche perchè deduce quale vizio motivazionale una vera e propria omessa pronuncia, senza – peraltro – specificare se e come la relativa questione sia stata proposta alla Corte territoriale.

4.3. Invece, rispetto alle violazioni di legge dedotte negli altri due motivi (ed anche il secondo sembra denunciare più un error in procedendo che un error in iudicando invocando impropriamente il n. 3 anzichè il n. 4 dell’art. 360 c.p.c., comma 1) non sono stati idoneamente formulati i quesiti di diritto.

4.4. I quesiti, come noto, non possono consistere in una domanda che si risolva in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni illustrate nel motivo e porre la Corte di cassazione in condizione di rispondere al quesito con l’enunciazione di una regula iuris (principio di diritto) che sia suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata. A titolo indicativo, si può delineare uno schema secondo il quale sinteticamente si domanda alla corte se, in una fattispecie quale quella contestualmente e sommariamente descritta nel quesito (fatto), si applichi la regola di diritto auspicata dal ricorrente in luogo di quella diversa adottata nella sentenza impugnata (Cass. S.U., ord. n 2658/08). E ciò quand’anche le ragioni dell’errore e della soluzione che si assume corretta siano invece – come prescritto dall’ari. 366 c.p.c., n. 4 – adeguatamente indicate nell’illustrazione del motivo, non potendo la norma di cui all’art. 366 bis c.p.c. interpretarsi nel senso che il quesito di diritto possa desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo, poichè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (Cass. 20 giugno 2008 n. 16941). Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede, pertanto, che, con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed averne indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto, formulato in modo tale da circoscrivere la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto (v.

Cass., 17/7/2008 n. 19769; 26/3/2007, n. 7258). Occorre, insomma che la Corte, leggendo il solo quesito, possa comprendere l’errore di diritto che si assume compiuto dal giudice nel caso concreto e quale, secondo il ricorrente, sarebbe stata la regola da applicare.

4.5. Non si rivelano, pertanto, idonei i tre quesiti in questione:

dato che non contengono alcun riferimento in fatto (nè l’oggetto della questione controversa, nè la sintesi degli sviluppi della controversia sullo stesso), nè espongono chiaramente le regole di diritto che si assumono erroneamente applicate e, quanto a quelle di cui s’invoca l’applicazione, in ciascuno di detti quesiti, si è in presenza di enunciazioni di carattere generale ed astratto che, in quanto prive di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, non consentono di dare risposte utili a definire la causa (Cass. S.U. 11.3.2008 n. 6420). Del resto, il quesito di diritto non può risolversi – come nell’ipotesi – in una tautologia o in un interrogativo circolare, che già presuppone la risposta (Cass. S.U. 2/12/2008 n. 28536).

5. Data l’inammissibilità del ricorso principale, resta assorbita ogni decisione in ordine a quello incidentale, esplicitamente condizionato (peraltro, tardivamente proposto l’il gennaio 2010, rispetto al termine ‘lungo”, scaduto il 6 dicembre 2009, per l’impugnazione della sentenza d’appello, depositata il 21 ottobre 2008).

6. Pertanto, il ricorso principale va dichiarato inammissibile, assorbito l’incidentale. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza tra le parti costituite, secondo la liquidazione di cui al dispositivo. Nulla per le spese rispetto agli altri intimati che non hanno svolto attività difensiva.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi. Dichiara inammissibile il ricorso principale, assorbito l’incidentale. Condanna il ricorrente a pagamento delle spese del presente giudizio nei confronti degli eredi di P. B., che liquida complessivamente in Euro 2.200,00=, di cui Euro 2.000,00= per onorario oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 23 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2011

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