Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27581 del 02/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 02/12/2020, (ud. 07/10/2020, dep. 02/12/2020), n.27581

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13728-2019 proposto da:

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA,

(OMISSIS), in persona del Ministro pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

R.A., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

STEFANIA OSTAN;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 365/2018 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 24/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 07/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ALFONSINA

DE FELICE.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

la Corte d’appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale della stessa città, ha dichiarato l’illegittimità della sospensione disciplinare di un giorno dall’insegnamento, inflitta ad R.A., alla quale era stato contestato di aver chiesto ad una delle proprie alunne di smentire, col dirigente scolastico, la circostanza di tenere lezioni private ad alunni della scuola ove la stessa prestava servizio;

la Corte territoriale ha invece confermato la sentenza di prime cure in merito alla legittimità della censura, inflitta in relazione alla contestazione di aver tenuto lezioni private nei confronti di alunni della propria scuola;

quanto alla sanzione della sospensione, la Corte d’appello ha ritenuto che, considerata la sua maggiore gravità rispetto alla censura e all’avvertimento scritto, in difetto di attribuzione in capo al dirigente scolastico, l’organo competente a esercitare il potere disciplinare fosse l’ufficio per i procedimenti disciplinari istituito presso la sede scolastica regionale;

ha argomentato in diritto che il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis, comma 1, individua il soggetto competente non sulla base della sanzione in concreto irrogata, bensì sulla base della sanzione edittale prevista per l’infrazione contestata dalla legge o dalla fonte collettiva, attribuendo al responsabile della struttura la competenza disciplinare limitatamente alle infrazioni di minore gravità;

a proposito del personale scolastico, ha affermato che il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis, va interpretato alla luce del D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 492, il quale, prevedendo che la durata minima della sospensione dall’insegnamento possa raggiungere i trenta giorni, fa sì che una sospensione anche di un solo giorno non possa annoverarsi fra le sanzioni cd. “minori”, affidate al potere disciplinare del dirigente scolastico;

la cassazione della sentenza è domandata dal Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca sulla base di un unico motivo;

R.A. ha resistito con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale affidato a quattro motivi, cui il Ministero non ha opposto difese;

è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

Ricorso principale:

con l’unico motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente principale deduce “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis, del D.Lgs. n. 297 del 1994, artt. 492,494 e 498”;

sostiene che il discrimen fra la competenza del Dirigente e quella dell’Ufficio per i procedimenti disciplinari sarebbe delineato dalla sanzione concretamente irrogata al dipendente e non dalle misure edittali astrattamente previste per la specifica infrazione.

Ricorso incidentale:

col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la ricorrente incidentale contesta “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 55 e 55 bis, dell’art. 2704 c.c., e del D.P.R. n. 445 del 2000, art. 53 e ss., della L. n. 241 del 1990, art. 22, comma 1, lett. d), del D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 40 e ss., delle norme di cui al D.P.C.M. 3 dicembre 2013, in tema di approvazione delle regole tecniche del protocollo informatico”;

deduce l’erroneità della sentenza della Corte d’appello nel punto in cui ha dichiarato legittima la censura, irrogata con provvedimento del 19 aprile 2016, per essere stata la contestazione tempestiva, atteso che la dichiarazione della prof. G., dalla stessa datata e firmata – sebbene non protocollata – fosse idonea a conferire certezza al momento in cui l’amministrazione scolastica aveva acquisito la notitia criminis;

denuncia che l’attestazione del protocollo è l’unica valida ad attribuire data certa al documento e, conseguentemente, a consentire la verifica del rispetto dei termini perentori stabiliti dagli artt. 55 e 55 bis, ai fini della corretta instaurazione del procedimento disciplinare;

col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, lamenta “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2106 c.c., L. n. 300 del 1970, art. 7, del D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 492, comma 3, CCNL comparto scuola 2007-2009, art. 95, e art. 112 c.p.c.; omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio”;

per entrambi i profili contestati, la ricorrente incidentale si duole che la sentenza d’appello, violando il criterio di proporzionalità della sanzione, abbia affermato la legittimità della censura, senza nè valutare il buon nome dell’insegnante nè considerare che si trattava di una prima violazione, e non abbia invece stabilito che in relazione al comportamento contestato la sanzione avrebbe dovuto semmai essere quella dell’avvertimento scritto;

con il terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, contesta “Violazione e falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, artt. 3 e 21 septies, del D.Lgs. n.. n. 165 del 2001, artt. 55 e 55 bis, del D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 403, nonchè dell’art. 111 Cost.”;

la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto legittima l’irrogazione della censura a carico di R.A., senza valutare l’omessa specificazione della condotta vietata e il mero rinvio alle norme violate da parte dell’amministrazione scolastica, insufficiente ad integrare la motivazione richiesta dalla legge;

col quarto motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deduce “Violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55, della circolare del Ministero della Pubblica Amministrazione n. 14/2010”;

la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto soddisfatto l’obbligo di pubblicità del codice disciplinare, in quanto contenuto in atti aventi forza di legge, pubblicati ufficialmente, pur in mancanza di affissione.

Ricorso principale:

il motivo è infondato;

la sentenza gravata ha fatto corretta applicazione del principio affermato da questa Corte, secondo cui l’attribuzione della competenza al dirigente della struttura cui appartiene il dipendente ovvero all’ufficio per i procedimenti disciplinari, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis, si definisce esclusivamente sulla base delle sanzioni edittali massime stabilite per i fatti contestati e non sulla base della misura che la pubblica amministrazione possa prevedere di infliggere (così Cass. n. 20845 del 2019);

il principio è stato ribadito con la recente ordinanza Cass. n. 30226 del 2019, riferita ad un’ipotesi sovrapponibile a quella oggetto dell’odierno giudizio, ove si è esplicitata la ratio che presiede all’invalidità della misura applicata in violazione delle regole di competenza interna – per essere stata la sanzione irrogata dal dirigente scolastico e responsabile della struttura in luogo dell’U.P.D. – sì come consistente nella minore garanzia di terzietà offerta al lavoratore, dovuta all’identificazione fra la figura di chi è preposto al dipendente e di chi lo giudica in sede amministrativa.

Ricorso incidentale:

il primo motivo è inammissibile, atteso che la ricorrente incidentale, pur deducendo un vizio di violazione di legge, contesta in realtà un accertamento di fatto compiuto dalla Corte d’appello, la quale ha ritenuto che la contestazione dell’illecito sia avvenuta tempestivamente con riferimento al momento in cui la stessa amministrazione è venuta a conoscenza dell’illecito (p. 8 e 9 sent.);

inoltre, la violazione di legge non è ammissibilmente dedotta perchè la ricorrente incidentale omette di individuare qual è l’affermazione specifica, contenuta nella sentenza d’appello in contrasto con le norme di cui si assume la violazione;

il secondo motivo, col quale si contesta l’omessa pronuncia sulla proporzionalità della sanzione (censura in luogo di ammonimento) è inammissibile;

la Corte d’appello ha affermato, quanto all’adozione della censura, che questa traeva la sua motivazione proprio dall’indicazione della condotta tenuta dall’insegnante “…in espressa violazione di norma e di raccomandazioni interne rafforzative…”(p. 4 sent.);

pertanto, la doglianza non fa che chiedere a questa Corte la rivalutazione di una circostanza di fatto già oggetto di accertamento e valutazione da parte del provvedimento gravato;

col terzo motivo la ricorrente incidentale si duole della omessa specificazione delle norme violate, e, tuttavia, anche tale motivo è inammissibile, attesa la genericità e l’ambiguità della doglianza, di cui non è dato neppure comprendere se la stessa abbia inteso riferirsi alla sanzione ovvero alla contestazione;

il quarto ed ultimo motivo è infondato, atteso che la Corte d’appello ha dato corretta attuazione al principio di diritto affermato pacificamente da questa Corte in base al quale “Nel rapporto di lavoro degli insegnati della scuola pubblica, ai fini dell’osservanza dell’art. 7 dello statuto dei lavoratori, – che prescrive l’affissione delle norme disciplinari vigenti all’interno dell’impresa per rendere conoscibili a tutti i lavoratori, le fattispecie di illecito e le relative sanzioni, applicabile anche al rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti per il combinato disposto del D.Lgs. n. 29 del 1993, artt. 55 e 59, – deve ritenersi che, tanto per i comportamenti per i quali è prevista la sanzione espulsiva, quanto per quelli per i quali è prevista la sanzione conservativa, l’affissione non sia necessaria ove il comportamento vietato e la sanzione applicabile siano previsti da disposizioni contenute in fonte normativa avente forza di legge, come tale ufficialmente pubblicata e conosciuta dalla generalità.” (Così, per tutte, Cass. n. 56 del 2007);

in definitiva, il ricorso principale e il ricorso incidentale vanno rigettati;

le spese del presente giudizio sono compensate in ragione della reciproca soccombenza delle parti;

in considerazione del rigetto del ricorso, non sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale (Ndr: testo originale non comprensibile) la ricorrente incidentale, è invece tenuta al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale.

Rigetta altresì, il ricorso incidentale.

Compensa le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, all’Adunanza camerale, il 7 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2020

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