Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27579 del 02/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 02/12/2020, (ud. 07/10/2020, dep. 02/12/2020), n.27579

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12531-2019 proposto da:

D.E., P.A., elettivamente domiciliati in

ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e

difesi dall’avvocato INNOCENZO D’ANGELO;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA,

(OMISSIS), in persona del Ministro pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 283/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 04/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 07/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ALFONSINA

DE FELICE.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

la Corte d’appello di Venezia, confermando la sentenza del Tribunale di Treviso, ha rigettato l’appello proposto da D.E. ed altri, docenti precari poi immessi in ruolo, e, dando attuazione ai principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte in materia di conseguenze derivanti dall’utilizzo abusivo di personale docente e non docente della scuola da parte del MIUR, ha ritenuto che la stabilizzazione degli appellanti, avvenuta durante il giudizio di primo grado, ha costituito una sanzione adeguata a ristorare la condotta abusiva, in quanto ha consentito al personale assunto a termine di ottenere il bene della vita di cui lamenta la lesione;

richiamandosi alle Sezioni Unite n. 5072 del 2016, la Corte territoriale ha respinto la richiesta di rimessione della questione alla Corte Costituzionale per asserita disparità di trattamento tra lavoratori privati e pubblici a causa della mancata previsione della conversione del rapporto di lavoro in capo ai secondi a norma del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36;

non ha, infine, ritenuto provato dagli odierni ricorrenti, a scopo risarcitorio, nessun danno diverso e ulteriore sì come derivante dalle asserite mancate retribuzioni percepite nei periodi estivi precedenti all’immissione in ruolo, tale da indurre a ritenere soltanto parzialmente satisfattiva la misura dell’intervenuta stabilizzazione;

la cassazione della sentenza è domandata da D.E. e dai suoi litisconsorti sulla base di tre motivi, illustrati da successiva memoria;

il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ha resistito con controricorso;

è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

col primo, articolato motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, i ricorrenti denunciano “Violazione e falsa applicazione delle norme di diritto in relazione alla L. n. 183 del 2010, art. 32, alla clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato del 18 marzo 1999, che figura nell’allegato alla Dir. Consiglio 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE, art. 1, commi 95, 131 e 132, della L. n. 107 del 2015, art. 1”;

contestano la statuizione circa l’insussistenza di danni risarcibili diversi e ulteriori e la adeguatezza della riparazione all’abusivo ricorso al contratto a termine mediante stabilizzazione ed immissione nei ruoli della scuola;

le sentenze della Corte di Giustizia (C.G.U.E. 26 novembre 2014 Mascolo ed altri) e della Corte Costituzionale (Corte Cost. n. 187 del 2016), hanno affermato l’illegittimità (per contrarietà alla lettera a) del punto 1 della clausola 5 dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato del 18 marzo 1999, allegato alla Dir. del Consiglio 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE), del rinnovo dei contratti di lavoro a tempo determinato da parte della p.a. per oltre 36 mesi, qualora detto rinnovo abbia trovato causa nella soddisfazione delle esigenze permanenti e durevoli legate all’espletamento del servizio scolastico nell’attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali;

per circostanza incontestata, i ricorrenti erano stati immessi in ruolo già nel corso del giudizio di primo grado, il loro diritto al risarcimento del danno era maturato ben prima dell’emanazione della L. n. 107 del 2015, e si era cristallizzato con la proposizione dei ricorsi in primo grado, depositati il 5 marzo 2012;

i ricorrenti chiedono che sia sollevato il rinvio pregiudiziale, ai sensi dell’art. 267 TFUE, in merito alla compatibilità fra la clausola 5 punto 1 dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato del 18 marzo 1999, allegato alla Dir. del Consiglio 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE, che contempla il divieto dell’abusiva reiterazione dei contratti a termine e la L. n. 107 del 2015, (art. 1, commi 95, 131 e 132), che prevede la stabilizzazione degli insegnanti a termine per il futuro senza effetto retroattivo e senza risarcimento del danno quale misura proporzionata, energica e sufficientemente dissuasiva per garantire la piena efficacia delle norme dell’accordo quadro per il periodo anteriore a quello in cui il complesso di misure di cui alle norme da ultimo indicate è destinato a produrre effetti;

col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, contestano l’illegittimità dell’intervento dello Stato nel modificare a proprio vantaggio le norme applicate ai giudizi in corso, nonchè “Incostituzionalità ai sensi dell’art. 117 Cost., comma 1, in relazione alla CEDU, art. 6, paragrafo 1, come interpretato dalla CEDU in relazione alla (negata) applicazione della L. n. 83 del 2010, art. 32”;

la pronuncia della Corte territoriale, la quale ha esteso gli effetti della L. n. 107 del 2015, a fattispecie afferenti a periodi precedenti alla sua emanazione, costituirebbe un’illegittima interferenza dello Stato nei giudizi risarcitori in corso, e violerebbe il principio affermato dalla CEDU, che vieta agli Stati di abusare della loro posizione dominante nei confronti dei cittadini;

col terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, lamentano “Omessa pronuncia per violazione dell’art. 112 c.p.c., (pag. 21)”; sostengono che la Corte territoriale non si sarebbe pronunciata sul capo della domanda d’appello ove i ricorrenti chiedevano condannarsi il Ministero a pagare le differenze retributive, ivi comprese quelle dovute per i mesi intermedi tra la conclusione di un contratto e l’inizio del successivo;

i primi due motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro reciproca connessione, sono infondati;

questa Corte, con la sentenza n. 3472 del 2020, ha esaminato tutte le tematiche sollevate dal ricorso in esame, sollecitata dall’ordinanza della VI Sezione, ove, tra l’altro, si segnalava che la questione della permanenza del diritto al risarcimento del danno, anche in ipotesi di intervenuta stabilizzazione, era stata oggetto del rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia da parte della Corte d’appello di Trento;

il recente arresto di questa Corte, dopo aver richiamato i principi di cui alle sentenze pronunciate all’udienza del 18 ottobre 2016 (dal n. 22552 al n. 22557), ha approfondito gli esatti termini della questione sottoposta all’odierno giudizio, conformandosi all’interpretazione resa dalla Corte di giustizia UE nella sentenza dell’8 maggio 2019 (causa C494/17, Rossato);

il principio di diritto contenuto in Cass. n. 3472 del 2020 afferma che nel settore scolastico, nell’ipotesi di reiterazione illegittima di contratti a termine stipulati su cd. organico di diritto, avveratasi a far data dal 10 luglio 2001 e prima dell’entrata in vigore della L. n. 107 del 2015, per i docenti ed il personale ATA, deve essere ritenuta misura proporzionata, effettiva, sufficientemente energica ed idonea a sanzionare debitamente l’abuso ed a “cancellare le conseguenze della violazione del diritto dell’Unione” la stabilizzazione acquisita attraverso il previgente sistema di reclutamento, fermo restando che l’immissione in ruolo non esclude la proponibilità della domanda di risarcimento per danni ulteriori, con oneri di allegazione e prova a carico del lavoratore che, in tal caso, non beneficia di alcuna agevolazione da danno presunto;

la questione di pregiudizialità è dunque disattesa, perchè le censure in essa formulate sono contrarie all’interpretazione consolidata di questa Corte che, in materia di contratti degli insegnanti e del personale ATA ha teso a salvaguardare la specialità delle norme vigenti in materia, escludendo, nella loro reiterazione, la configurabilità di un abuso contrario all’Accordo Quadro allegato alla Dir. n. 1999/70/CE;

la conclusione cui giunge la Corte territoriale, secondo la quale gli odierni ricorrenti hanno ottenuto il bene della vita per cui hanno agito in giudizio, senza che a tal fine possa rilevare la circostanza che la stabilizzazione sia avvenuta per mezzo di interventi diversi da quelli previsti nella L. n. 107 del 2015, si rivela in linea con i principi di diritto affermati dalla giurisprudenza di legittimità;

quanto alle pretese risarcitorie rivendicate col terzo motivo di ricorso, esse sono inammissibilmente prospettate, atteso che la Corte territoriale ha dato conto della mancata allegazione dei fatti costitutivi della pretesa, e che tale affermazione non risulta contestata in modo specifico dagli odierni ricorrenti;

quando la domanda di parte ha ad oggetto l’error in procedendo in cui si asserisce sia incorso il giudice del merito, questa Corte si atteggia anche come giudice del fatto ed ha il potere di esaminare direttamente gli atti di causa;

tuttavia, non essendo il predetto vizio rilevabile ex officio, nè potendo la Corte ricercare e verificare autonomamente i documenti interessati dall’accertamento, il consolidato orientamento di legittimità richiede alla parte ricorrente non solo di indicare gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame, ma anche di illustrare la corretta soluzione rispetto a quella erronea praticata dai giudici di merito, in modo da consentire alla Corte investita della questione, secondo la prospettazione alternativa del ricorrente, la verifica della sua esistenza e l’emenda dell’errore denunciato (in tal senso cfr. ex multis, Cass. n. 20181 del 2019);

in definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile con la compensazione delle spese stante la recente sopravvenienza dell’indirizzo qui seguito;

in considerazione dell’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Spese compensate.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, all’Adunanza camerale, il 7 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2020

 

 

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