Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27570 del 30/12/2016


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Cassazione civile, sez. VI, 30/12/2016, (ud. 16/09/2016, dep.30/12/2016),  n. 27570

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28688-2014 proposto da:

EQUITALIA SUD SPA (OMISSIS), in persona del Responsabile del

Contenzioso Esattoriale della Direzione Regionale del Lazio pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIOACCHINO ROSSINI

18, presso lo studio dell’avvocato GIOIA VACCARI, che la rappresenta

e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

D.C., ROMA CAPITALE (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 16314/2014 del TRIBUNALE di ROMA del 4/7/2014,

depositata il 25/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/09/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIETTA SCRIMA.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

E’ stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

“1. Equitalia Sud S.p.a. ha proposto ricorso per cassazione, basato su tre motivi, avverso la sentenza del Tribunale di Roma, depositata il 4 luglio 2014, con la quale, pronunciando sul gravame proposto dall’attuale ricorrente avverso la sentenza del Giudice di pace di Roma, depositata il 27 agosto 2012, di accoglimento dell’opposizione a cartella esattoriale proposta da D.C. (indicata nella sentenza impugnata anche talvolta come D.C.) nei confronti dell’attuale ricorrente e di Roma Capitale, il predetto Tribunale, ritenendo fondata l’eccezione sollevata dalla D. in ordine alla nullità della procura conferita dall’appellante, ha dichiarato la nullità dell’atto di appello, con condanna di Equitalia Sud S.p.a. alle spese di quel grado.

2. Le intimate non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

3. Osserva il relatore che il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375, 376 e 380-bis c.p.c., in quanto appare destinato ad essere dichiarato inammissibile.

4. Con il primo motivo di ricorso, lamentando “violazione dell’art. 182 c.p.c., comma 2 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, la parte ricorrente censura la sentenza impugnata per aver il Tribunale dichiarato la nullità della procura ad litem e, stante il carente potere rappresentativo del difensore, la nullità dell’atto di appello, senza assegnare, come prescritto dall’art. 182 c.p.c., un termine all’appellante per provvedere al deposito della documentazione attestante la regolarità del conferimento della detta procura.

5. Con il secondo motivo, rubricato “Ulteriore violazione art. 182 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui il Tribunale ha affermato che, nel caso di specie, non avendo il soggetto che ha conferito la procura neanche indicato di essere titolare di qualsiasi funzione riferibile ad un potere rappresentativo della società, non sussisterebbe l’inversione dell’onere della prova affermata dalle sentenze di legittimità richiamate nella sentenza impugnata (Cass. 19162/2007) e Cass. 23033/2011), con conseguente nullità della procura e dell’appello.

Sostiene la ricorrente che dalla giurisprudenza di legittimità richiamata nella sentenza impugnata e da quella riportata in ricorso (Cass. 798/2013) non si evince alcuna esclusione del dovere di promozione della sanatoria, dovendosi, qualora vi sia contestazione del potere di rappresentanza non emergente da atti soggetti a pubblicità legale, assegnare un termine perentorio per la produzione di documentazione relativa alla rappresentanza processuale o per la costituzione del legale rappresentante.

6. Con il terzo motivo, deducendo “violazione dell’art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui si riferisce alla procura ad litem di primo e di secondo grado, in quanto sulla procura ad litem conferita nel primo grado del giudizio, conclusosi con l’accoglimento dell’opposizione della D., si sarebbe ormai formato il giudicato. Pertanto, ad avviso della società ricorrente, le uniche valutazioni e censure ammissibili sarebbero quelle relative alla procura ad litem del grado di appello in relazione alla quale avrebbe dovuto essere disposta la regolarizzazione, come già evidenziato.

7. I motivi proposti, che, essendo strettamente connessi, possono essere trattati unitariamente, risultano essere manifestamente inammissibili, per genericità e violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, atteso che nel ricorso non risulta riportato il tenore letterale della procura rilasciata in grado di appello e di cui si discute in causa. Al riguardo si evidenzia che questa Corte ha più volte affermato il principio secondo cui il ricorrente che censuri la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, quali quelle processuali (censure peraltro impropriamente veicolate, nella specie, da Equitalia Sud S.p.a. con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4), deve specificare, ai fini del rispetto del principio di autosufficienza, gli elementi fattuali in concreto condizionanti gli ambiti di operatività della violazione (Cass. 13/05/2016, n. 9888; Cass. 30/09/2015, n. 19410; Cass., ord. 25/03/2013, n. 7455; Cass. 20/07/2012, n. 12664).

A quanto precede va aggiunto che, comunque, la procura in questione (indicata come “delega”), dall’intestazione della copia dell’atto di appello prodotta in questa sede dalla ricorrente, risulta rilasciata in calce al predetto atto pur se tale copia (composta da n. 6 pagine) non comprende detta “delega” (v. intestazione del predetto atto).

A tanto va aggiunto che nel fascicolo d’ufficio (NRG 69504/2012) inviato dal Tribunale di Roma, in cui è inserito anche il fascicolo di ufficio del primo grado, non è inserita alcuna copia dell’atto di appello”.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente ha depositato memoria.

A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella Camera di consiglio, il Collegio ritiene di condividere i motivi esposti nella sopra riportata relazione e di farne proprie le conclusioni, non comportandone il superamento gli argomenti sviluppati nella memoria depositata dalla parte ricorrente.

E’ il caso di aggiungere, per completezza, che la deduzione di una censura alla sentenza impugnata va “vestita” e, nella specie, la parte ricorrente non ha neppure indicato quale documentazione, esente dai vizi della procura di cui si discute in causa, rilevati e non contestati da Equitalia Sud S.p.a., come dedotto espressamente nella memoria, avrebbe prodotto a sanatoria dei vizi stessi, sicchè le censure proposte difettano pure di decisività e tanto a prescindere dal rilievo della inapplicabilità dell’art. 182 c.p.c. ai giudizi di impugnazione, stante l’effetto preclusivo prodotto dalla mancanza di rituale procura per l’impugnazione.

2. Il ricorso va, pertanto, rigettato.

3. Non vi è luogo a provvedere per le spese, non avendo gli intimati svolto attività difensiva in questa sede..

4. Va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. arti. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3 della Corte Suprema di Cassazione, il 16 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2016

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