Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2757 del 06/02/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 2757 Anno 2014
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: ARIENZO ROSA

SENTENZA

sul ricorso 26774-2010 proposto da:
SIRIO – SICUREZZA INDUSTRIALE S.C.P.A., già SIRIO CONSORZIO PER LA SICUREZZA INDUSTRIALE C.F.
05325740016, in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA
CAVOUR 19, presso lo STUDIO dell’avvocato DE LUCA
2013
3423

TAMAJO RAFFAELE (STUDIO TOFFOLETTO-DE LUCA TAMAJO),
che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati
BONAMICO FRANCO e ROPOLO LUCA, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

Data pubblicazione: 06/02/2014

RUOTOLO ROBERTO C.F. RTLRRT60E31L304Z, domiciliato in
ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso
dall’avvocato GIORDANO FRANCO, giusta delega in atti;
– controricorrente

di TORINO, depositata il 13/05/2010 r.g.n. 775/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 27/11/2013 dal Consigliere Dott. ROSA
ARIENZO;
udito l’Avvocato SALIMBENI MARIA TERESA per delega DE
LUCA TAMAJO RAFFAELE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO CELENTANO, che ha concluso per
in via principale inammissibilità in subordine
infondatezza.

avverso la sentenza n. 272/2010 della CORTE D’APPELLO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 13.5.2010, la Corte di Appello di Torino rigettava il gravame proposto
dalla società Sino c.p.a. avverso la sentenza di prime cure che aveva accolto il ricorso
proposto da Ruotolo Roberto per il risarcimento del danno connesso all’inadempimento
della società per avere la stessa agito in violazione dell’accordo stipulato in data 11.4.2000
tra il consorzio Sino e le organizzazioni sindacali FIM- FIOM- UILM-FISMIC, non

operativo. Rilevava la Corte del merito che la tesi della società — ossia il mantenimento, in
favore dei lavoratori passati alle dipendenze del Consorzio, delle condizioni già in atto
presso le varie società del gruppo FIAT — avrebbe creato conseguenze paradossali, non
potendo essere l’accordo applicabile ai sorveglianti assunti direttamente dal Consorzio,
senza mai essere transitati presso altre società del gruppo, e potendo verificarsi, per i
sorveglianti ai quali era già garantito, per effetto di contrattazione di secondo livello, il
diritto in questione, una modifica in pejus delle condizioni contrattuali in atto fino
all’11.4.2000, con l’ effetto della perdita dei diritti già entrati nel loro patrimonio, al solo fine
di omogeneizzare la loro condizione con quella degli altri colleghi, finalità che, al contrario,
avrebbe determinato una situazione fonte di evidenti disparità di trattamento tra gli stessi.
Rilevava la Corte che il testo dell’accordo era da interpretare nel senso che, da una parte,
il Consorzio si era obbligato a favorire l’accesso dei propri dipendenti ai servizi di
ristorazione esistenti presso le società committenti e, dall’altra, si era obbligato a fornire ai
propri dipendenti, in tutti i casi di impossibilità di accesso al servizio mensa, un sostitutivo
del pasto, indipendentemente dall’orario di lavoro osservato e senza eccezione di sorta.
Infatti, nel testo dell’accordo, l’impossibilità di accedere al servizio di ristorazione era del
tutto svincolata dall’esistenza o meno di una mensa aziendale nello stabilimento presso il
quale il sorvegliante prestava l’attività lavorativa ed, al contrario, risultava per tabulas che
l’impossibilità per il dipendente di fruire di un servizio di ristorazione aziendale, per
inesistenza della struttura o a causa del mancato funzionamento della stessa in
determinati giorni od orari, era la condizione necessaria e sufficiente perché sorgesse, in
capo al dipendente, il diritto al sostitutivo del pasto. L’unica interpretazione era, quindi,
quella di riconoscere la sussistenza del diritto al sostitutivo del pasto in natura o ad un
controvalore in denaro e la esigenza avvertita dalle parti sociali era soltanto quella di
rendere omogenea la condizione dei sorveglianti dipendenti del consorzio, i quali,
provenendo da esperienze lavorative presso le diverse società del gruppo FIAT, avevano

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garantendo al lavoratore un sostitutivo del pasto ogni qualvolta il servizio mensa non fosse

trattamenti diversi in relazione ad alcuni istituti, mentre era del tutto estranea alle parti
stipulanti l’asserito intento di omogeneizzare il trattamento dei dipendenti SIRIO con quello
dei dipendenti delle varie società del gruppo (Fiat Auto, IVECO) presso i cui stabilimenti i
dipendenti Sino si trovassero di volta in volta a svolgere il servizio di sorveglianza. Le
previsioni dell’accordo risultavano, poi, confermate indirettamente dall’accordo aziendale
. del 27.11.2003, nel quale le convenzioni con i pubblici esercizi venivano espressamente

limite. Non poteva, inoltre, rilevare la dichiarazione sottoscritta dalle parti volta a fornire
una interpretazione autentica dell’accordo dell’11.4.2000, posto che non risultava che,
prima della sottoscrizione, fosse stato convocato l’organo collegiale e vi fosse stata
deliberazione della R.S.U., sicchè la volontà collegiale non poteva ritenersi validamente
formata.
Per la cassazione di tale decisione ricorre la Sirio con due motivi, illustrati con memoria
depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Resiste, con controricorso, il Ruotolo, che espone ulteriormente le proprie difese in
memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la società denunzia, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., violazione e
falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366 e 1371 c. c., riportando il testo integrale
dell’accordo ed osservando che l’intendimento dello stesso era quello di omogeneizzare
le situazioni di fatto preesistenti nelle società di provenienza del personale confluito nel
consorzio. In particolare, evidenzia che, a mente del criterio letterale di interpretazione,
l’intento delle parti era quello di favorire l’accesso ai servizi di ristorazione esistenti presso
le aziende ove veniva espletato il servizio anche dopo la cessione del contratto,
mantenendo ferme le condizioni preesistenti per i dipendenti di provenienza delle società
FIAT confluiti nella SIRIO.
Non è possibile, per la società, inferire che, qualora la situazione di fatto preesistente non
. fosse tale da permettere al lavoratore di fruire del servizio di ristorazione, le parti stipulanti
_ abbiano inteso comunque assicurare ai lavoratori, una volta dipendenti SIRIO, una
situazione di fatto migliorativa rispetto a quella preesistente, e, pertanto, hanno errato i
.,

giudici torinesi nel ritenere che la comune intenzione delle parti fosse quella di istituire un
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riconosciute come una idonea alternativa al concetto di sostitutivo del pasto, senza alcun

vantaggio prima inesistente, quand’anche nella situazione preesistente il lavoratore non
fruisse del servizio di ristorazione aziendale perché, in ipotesi, inesistente.
Sostiene la ricorrente che la lettura data della clausola riguardante la mensa era disgiunta
dalla premessa, nonché dai periodi in cui quest’ultima si articola e che, al contrario,
l’intendimento delle parti dell’accordo era quello di far sì che i sorveglianti Sirio fossero
considerati alla stregua dei dipendenti delle società operanti nei siti ove veniva reso il
servizio, e cioè il medesimo trattamento riservato ai sorveglianti prima di divenire, per
effetto dell’esternalizzazione, dipendenti Sirio, nella logica di assicurare un trattamento
omogeneo rispetto a quello che i sorveglianti stessi avevano nelle imprese di origine
laddove avessero continuato ad operare per le rispettive società di provenienza.
Sostiene la Sirio che non è, invece, possibile leggere in tale seconda locuzione l’impegno
della società ad assicurare sempre e comunque ai propri sorveglianti, in qualsivoglia realtà
presso cui fossero eventualmente chiamati a prestare servizio ed in qualsiasi turno, il
servizio mensa, ovvero il sostitutivo del pasto, in quanto, peraltro, tale particolare forma di
trattamento non era mai stata prevista in nessuna società di provenienza dei sorveglianti
poi divenuti Sirio e non poteva, pertanto, costituire un minimo comune denominatore da
“omogeneizzare”, comportando un’innovazione, ossia la costituzione di un diritto prima
inesistente. L’accordo doveva essere letto nel suo significato complessivo, considerando il
comportamento dell’azienda anche successivamente all’aprile 2000 ed, in particolare, il
richiamo, quale clausola di salvaguardia, alle situazioni in atto presso il gruppo FIAT, che
non contemplano la sussistenza generalizzata di consimili obblighi. L’intento era quello
dichiarato in premessa, ossia l’omogeneizzazione di situazioni preesistenti alla luce della
natura consortile della Sirio, ma non la negoziazione di benefici e privilegi aggiuntivi,
ulteriori e diversi rispetto alle situazioni in atto nel gruppo Fiat e riconosciute di spettanza
ai dipendenti. Anche il comportamento successivo delle parti era stato conforme a tale
interpretazione e proprio l’intesa del 27.11.2003, nel riferirsi alla estensione delle
convenzioni con i pubblici servizi quale valida alternativa al concetto sostitutivo del pasto
“così’ come in atto nel Gruppo Fiat con invarianza di costi e senza oneri successivi”,
confortava la tesi interpretativa esposta, evidenziando che il paradigma di riferimento era
la situazione esistente nelle diverse realtà operative delle società del Gruppo Fiat, che
identificano il limite minimo ed il tetto cui i sorveglianti Sirio hanno diritto di accedere e
beneficiare sotto il profilo del diritto al servizio mensa. La situazione non può, in
conclusione – secondo la ricorrente – essere peggiore rispetto a quella degli altri dipendenti
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Fiat che operano in quei siti, ma neppure migliore, il che si deduce anche dal riferimento
alla previsione della invarianza dei costi con riferimento alla possibilità di convenzioni con i
pubblici servizi.
Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta, sempre ai sensi dell’alt 360, n. 3, c.p.c.,
violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366 e 1371 c. c., evidenziando
come i rappresentanti sindacali aziendali all’epoca presenti erano espressione delle R.S.A.

stipula dell’intesa ancora non eletta. Osserva che le R.S.A. agiscono sempre in
rappresentanza solo ed esclusivamente dei lavoratori dell’unità produttiva, sull’iniziativa
dei quali sono state costituite, e non in rappresentanza di altri lavoratori, che, pure
appartenendo alla medesima impresa, operano in altra unità produttiva ed in altro contesto
territoriale sulla scorta di quanto previsto dall’art. 35 Statuto dei Lavoratori. La previsione,
nell’art. 19 St. Lav., del coordinamento delle rappresentanze sindacali nell’ipotesi di
aziende con più unità produttive, si spiega, secondo la Sirio, proprio in virtù dell’esclusione
di un potere di rappresentanza unico per tutti i lavoratori dell’impresa e della costituzione
in diversi ambiti territoriali delle R.S.A.. Trattandosi di accordo aziendale, lo stesso ha
un’efficacia limitata all’area torinese, poiché gli stipulanti hanno tratto il loro potere
negoziale e di rappresentanza esclusivamente dalla base dei lavoratori sulla cui iniziativa
era stata costituita la RSA. Il punto di riferimento continua sempre ad essere l’unità
produttiva, non essendo ammissibile che soggetti privi di qualsiasi collegamento con
lavoratori, che operano in altre distinte unità produttive, compiano atti negoziali per costoro
vincolanti.
Il ricorso è inammissibile.
È stato più volte affermato in giurisprudenza che, in materia di contrattazione collettiva, la
comune volontà delle parti contrattuali non sempre è agevolmente ricostruibile attraverso il
mero riferimento al senso letterale delle parole, atteso che la natura di detta
contrattazione, sovente articolata su diversi livelli (nazionale, provinciale, aziendale ecc.),
la vastità e la complessità della materia trattata in ragione della interdipendenza dei
molteplici profili della posizione lavorativa (che spesso consigliano alle parti sociali il
ricorso a strumenti sconosciuti alle negoziazione tra le parti private, come preamboli, note
a verbale, ecc), il particolare linguaggio usato nel settore delle relazioni industriali non
necessariamente coincidente con quello comune e, da ultimo, il carattere vincolante che
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costituite ai sensi dell’art. 19 dello Statuto dei Lavoratori e non delle R.S.U., all’epoca della

non di rado assumono nell’azienda l’uso e la prassi, costituiscono elementi tutti che
rendono indispensabile nella materia della contrattazione collettiva una utilizzazione dei
generali criteri ermeneutici, che di detta specificità tenga conto, con conseguente
assegnazione di un preminente rilievo al canone interpretativo dell’art. 1363 c.c. (così
Cass. 6 luglio 2006 n. 15393, che richiama Cass. 6 maggio 1998 n. 4592, ed, ex plurimis,
Cass. 21.3.2006 n. 6462, Cass. 9 maggio 2002 n. 6656, Cass. 9 agosto 2000 n. 10500).
questa Corte in relazione alla interpretazione dell’accordo aziendale, riservata al giudice di
merito in ragione della sua efficacia limitata, diversa da quella propria degli accordi
collettivi nazionali oggetto di esegesi diretta da parte di questa Corte ai sensi dell’art. 360
c.p.c., n. 3, come modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006 (cfr. Cass. 4 febbraio 2010 n. 2625,
cui sono conformi Cass. 8 febbraio 2010 n. 2742 e Cass. 15 febbraio 2010 n. 3459).
Proprio in ragione di quanto sancito da tale orientamento giurisprudenziale, osserva la
Corte che le osservazioni critiche svolte in ricorso sono indirizzate, sostanzialmente, a
sostenere un diverso risultato interpretativo dell’accordo predetto, considerato preferibile a
quello accolto nella sentenza censurata. Una censura siffatta e’, quindi, inammissibile alla
stregua della funzione del giudizio di legittimita’, limitata, per accordi del tipo in esame, al
controllo della motivazione e alla verifica dell’impiego corretto dei canoni ermeneutici
secondo le censure proposte dal ricorrente (v. Cass. 2625/2010 cit.).
D’altra parte, la prospettazione di una diversa ricostruzione storica della clausola e dei
suoi intenti finalizzati alla “omogeneizzazione” dei trattamenti contrattuali dei lavoratori,
non potrebbe comportare – alla luce delle considerazioni sopra premesse – un diretto
esame del diverso risultato interpretativo da contrapporre a quello raggiunto dal giudice di
merito con riguardo alla natura e alla funzione del negozio.
Nel caso di specie la impugnata sentenza, con una interpretazione logico-sistematica,
rispettosa della menzionata regola dell’art. 1363 c.c., ha evidenziato come l’unica
interpretazione desumibile dagli accordi di contrattazione collettiva aziendale era quella di
riconoscere la sussistenza del diritto del lavoratore a vedersi corrispondere, per il servizio
prestato nei siti o nelle fasce orarie in cui non era assicurato il servizio mensa, un
sostitutivo del pasto in natura o un controvalore di denaro.
Seguendo tale solco interpretativo la stessa Corte ha aggiunto che, se era innegabile che
l’accordo dell’11.4.2000 era stato stipulato in considerazione di un’esigenza d’
“omogeneizzazione” del trattamento contrattuale dei lavoratori, era altresì, evidente che
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Peraltro, va ribadito quanto in modo del tutto condivisibile evidenziato successivamente da

”l’unica reale esigenza, avvertita dalla prati collettive, era quella di rendere omogenea la
condizione dei sorveglianti dipendenti del Consorzio Sirio, i quali, provenendo da
esperienze lavorative presso le diverse società del gruppo FIAT avevano trattamenti
diversi in relazione ad alcuni istituti, mentre era del tutto estranea alle parti stipulanti —
oltreché a qualsiasi logica — l’asserita di omogeneizzare il trattamento dei dipendenti Sirio
con il trattamento dei dipendenti delle varie società del gruppo presso i cui stabilimenti i

La validità della tesi interpretativa viene desunta anche dal comportamento complessivo
delle parti successivo alla stipulazione del contratto, in conformità al criterio interpretativo
previsto dall’art. 1362, seconda parte c. c., essendo stato evidenziato come nell’accordo
aziendale Sirio — R.S.U. del 27.11.2003, le convenzioni con i pubblici esercizi vengano
espressamente riconosciute come una idonea alternativa al concetto di sostitutivo del
pasto, con ciò ribadendosi la necessità di garantire ai dipendenti Sirio il pasto presso le
mense aziendali ovvero un sostitutivo del pasto, senza alcun limite, né temporale (con
riferimento ai turni di lavoro), né geografico (con riferimento ai siti aziendali), sostitutivo
che poteva anche consistere nelle convenzioni stipulate con i pubblici esercizio o in altre
forme, non rilevando, a tal fine, la circostanza che il Consorzio Sirio mettesse a
disposizione dei propri dipendenti un locale attrezzato per la consumazione di un pasto
che agli stessi, peraltro, non veniva affatto fornito dall’azienda.
Nè appare condivisibile quanto sostenuto dalla ricorrente in merito all’asserito carattere
innovativo od aggiuntivo del dato rappresentato dalla clausola che contemplava “il
sostitutivo del pasto” in luogo del servizio di ristorazione, posto che la stessa norma
aziendale richiamata lo prevedeva espressamente, per cui ancora una volta si ha la
conferma che si è in presenza di una mera contrapposizione valutativa dell’accordo
operata dalla difesa della società rispetto a quella svolta dai giudici d’appello nel rispetto
dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, sia logico-sistematica che letterale.
In conclusione, una lettura non formalistica ma contenutistica dell’accordo aziendale non
può che confortare l’assunto del giudice d’appello, che ha escluso – con argomentazioni
ineccepibili sul versante logico-giuridico – che possa sostenersi che le parti sindacali
abbiano voluto garantire il mantenimento della situazione preesistente (possibilità di
accesso o meno del lavoratore, prima di divenire dipendente del Consorzio Sirio, al

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dipendenti Sirio si trovassero di volta in volta a svolgere il servizio di sorveglianza”.

servizio di ristorazione) anche successivamente al passaggio di titolarità del rapporto di
lavoro in capo alla società ricorrente.
In ordine al secondo motivo di ricorso, deve rilevarsi l’assoluta novità della sua
prospettazione, non essendo stato chiarito in quali termini la medesima questione sia stata
specificamente affrontata e posta all’esame dei giudici nella fase del merito, sicchè deve

Il ricorso deve essere dichiarato, per le esposte considerazioni, inammissibile.
La complessità delle questioni, che attengono all’ interpretazione di clausole di accordo
aziendale, giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del presente
giudizio.
P.Q.M.
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e compensa tra le parti le spese di lite del
presente giudizio.
Così deciso in ROMA, il 27.11.2013

dichiararsene l’inammissibilità.

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