Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2757 del 05/02/2018


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Cassazione civile, sez. II, 05/02/2018, (ud. 05/12/2017, dep.05/02/2018),  n. 2757

Fatto

ESPOSIZIONE DEL FATTO

Con sentenza depositata il 22 marzo 2007, il Tribunale di Palermo, in accoglimento delle domande proposte da N.G., condannava M.F.P., Ma.Gi., M.M., M.E., C.B., in proprio e quale erede di C.A., nonchè Co.An., anche lei quale erede di C.A., in solido, al pagamento in favore di N.G. di 880.000,00 Euro, a titolo di compenso professionale per la redazione di un progetto edilizio.

Interposto appello da parte di M.F.P., Ma.Gi., M.M., C.B., Co.An. e S.G., quale unico erede di M.E., all’udienza del 25 giugno 2009 veniva dichiarata l’interruzione del processo per l’intervenuto decesso dell’appellato N.G..

Venivano depositati separati ricorsi, rispettivamente ex art. 302 c.p.c. da parte di due degli eredi del de cuius in data 14.12.2009 ed ex art. 303 c.p.c. dagli appellanti, signori M., C. e S., in data 14.1.2009. Successivamente, con ordinanza del 25 febbraio 2011 veniva disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei due eredi del N. che non si erano costituiti dopo l’interruzione del processo, N.S. e R.L.B..

All’esito di detta integrazione, il primo si costituiva in giudizio mentre la seconda restava contumace.

La Corte d’appello di Palermo, in riforma della sentenza di primo grado, condannava M.F.P., Ma.Gi., M.M., C.B., Co.An. e S.G. in solido al pagamento, in favore di N.V., N.R.F., N.G. e N.S., quali eredi di N.G., di 176.312,51 Euro, oltre ad interessi nella misura e con decorrenza previste dalla L. n. 143 del 1949, art. 9.

Dichiarava compensate per metà le spese di lite di entrambi i gradi, che poneva a solidale carico degli appellanti per la quota residua.

La Corte territoriale, per quanto in questa sede ancora rileva, rigettava l’eccezione di estinzione del giudizio di appello, proposta dagli appellati eredi del N., ritenendo che il processo era stato validamente proseguito per effetto del deposito del ricorso in prosecuzione e della successiva notifica del ricorso in riassunzione a tutti gli eredi del N., come da ordinanza di integrazione del contraddittorio della Corte d’appello del 3.3.2011.

Nel merito, il giudice di appello, premessa la natura onerosa del contratto d’opera professionale, avente ad oggetto una complessa progettazione di un vasto complesso immobiliare, suddivisa in due stralci, rilevava che non risultava provata la prospettazione degli appellanti, secondo cui il compenso dell’opera, non avrebbe dovuto essere posta a carico dei committenti, ma degli eventuali futuri acquirenti.

Affermava inoltre che alla progettazione del I stralcio avevano partecipato, oltre che dall’ing. N., anche gli ingegneri S. e Ca., i quali avevano sottoscritto il progetto in questione.

Da ciò, in difetto di prova dell’entità del rispettivo apporto e della circostanza che l’incarico fosse stato conferito ai professionisti costituiti in collegio ex art. 7 T.P., la conseguenza che al N. doveva riconoscersi solo 1/3 del compenso dovuto per la realizzazione del 1^ stralcio dell’opera, fermo invece l’intero compenso per il 2^ stralcio.

Su tale importo riconosceva, altresì gli interessi nella misura e con la decorrenza di cui alla L. n. 143 del 1949, art. 9 escludendo il maggior danno ex art. 1224 c.c., in quanto non provato.

Considerato l’esito complessivo del giudizio e l’accoglimento soltanto parziale della domanda degli eredi del N., disponeva la compensazione delle spese dell’intero giudizio, in ragione della metà.

Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, con cinque motivi, R.L.B..

M.G., M.G., entrambi in qualità di eredi di M.F.P. e di Ma.Gi., C.B., Co.An., S.G., P.S.G., quale erede di M.M., hanno resistito con controricorso ed hanno altresì proposto ricorso incidentale, affidato a due motivi.

Pure S. e N.G., nonchè V. e N.R.F. si sono costituiti mediante controricorso ed hanno proposto ricorso incidentale, rispettivamente con sette e tre motivi, aderendo alle doglianze della ricorrente principale.

A detto ricorso incidentale resistono con controricorso M.G., M.G., C.B., Co.An., S.G., P.S.G..

In prossimità dell’odierna udienza collegiale tutte le parti hanno depositato memorie illustrative.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Deve, in via pregiudiziale, rilevarsi l’inammissibilità, per tardività, del ricorso incidentale proposto da V. e N.R.F., nonchè da S. e N.G., da qualificarsi, entrambi, come ricorsi incidentali adesivi al ricorso principale, posto che le parti hanno espressamente dichiarato di aderire ai motivi di ricorso proposti dalla ricorrente principale R.L.B., chiedendo in buona sostanza l’accoglimento del ricorso per le medesime ragioni fatte valere dal ricorrente principale.

Da ciò discende l’inapplicabilità dell’art. 334 c.p.c., applicabile solo all’impugnazione incidentale in senso stretto, che è quella proveniente dalla parte contro la quale è stata proposta l’impugnazione principale, mentre, nel caso di ricorso adesivo, 1′ interesse non è sorto per effetto dell’impugnazione altrui, ma in conseguenza dell’emanazione della sentenza (Cass. Ss. Uu. 3191/1991; 1610/2008; 2174/2016).

Esso, dunque, non si sottrae all’onere di osservanza dei termini ordinari di impugnazione, con la conseguenza della tardività del ricorso che non abbia rispettato per la sua proposizione il termine di cui all’art. 327 c.p.c., comma 1, (Cass. 6284/2008).

Orbene, nel caso di specie entrambi i ricorsi incidentali proposti da V. e N.R.F., nonchè da S. e N.G. sono tardivi in quanto, essendo stata depositata la sentenza impugnata in data 8 ottobre 2012, il loro ricorso incidentale risulta notificato solo nel dicembre 2013, e quindi oltre il termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c..

Ciò posto, il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 565 e ss, nonchè art. 581 c.c. e ss., censurando la sentenza impugnata per aver omesso di pronunciare statuizione di condanna anche in favore di essa ricorrente.

Il motivo è fondato.

La ricorrente, in qualità di erede dell’ing. N.G. e litisconsorte necessaria, subentrata al de cuius ex art. 110 c.p.c., è, in tale qualità, tra i destinatari della sentenza della Corte d’Appello, ancorchè non costituita in quel giudizio; gli effetti della sentenza si producono infatti, necessariamente, nei confronti di tutti gli eredi subentrati al de cuius.

Il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 298 e 303 c.p.c., per il mancato rilievo della nullità dei due atti di riassunzione del processo, l’uno depositato dai germani V. e N.R.F. (che era tra l’altro privo di procura alle liti avente data certa) in data 17 dicembre 2009, e l’altro depositato dagli appellanti in data 14.1.2010, per avere, in partticolare, la sentenza impugnata affermato erroneamente la sanatoria della nullità a seguito della notifica di atti del tutto inidonei a tale scopo.

Secondo la prospettazione della ricorrente, il ricorso per riassunzione non consentiva di comprendere la vicenda, nè quali fossero le pretese delle parti e la stessa materia del contendere, come evidenziato dalla stessa Corte territoriale, con l’ordinanza del 3.3.2011, in cui si affermava la mancanza, nell’atto di riassunzione, dei requisiti dell’artt. 303 c.p.c..

La Corte aveva peraltro erroneamente ritenuto di poter superare l’eccezione di estinzione, sul rilievo che la prosecuzione del giudizio a cura dei germani N. avrebbe impedito l’effetto estintivo.

Pure il ricorso in prosecuzione, peraltro, era affetto da nullità e pertanto inidoneo ad impedire l’estinzione del giudizio.

L’articolato motivo è infondato.

Occorre al riguardo riprendere l’iter argomentativo del giudice di appello.

Orbene, dichiarata l’interruzione del processo a seguito del decesso di N.G., il processo è stato validamente proseguito da due degli eredi del de cuius N.V. e N.R., con ricorso depositato in cancelleria il 17 dicembre 2009.

Deve al riguardo disattendersi la deduzione della ricorrente secondo cui il ricorso in prosecuzione postula la mancata interruzione del processo.

In realtà, ciò che distingue la prosecuzione ex art. 302 c.p.c. dalla riassunzione ex art. 303 c.p.c. è costituito dalla qualità della parte cui è riferibile l’atto di riattivazione del processo:

si ha prosecuzione quando l’iniziativa provenga dalla parte colpita dall’evento interruttivo, dal suo rappresentante o dai suoi successori;

si ha riassunzione quando l’iniziativa provenga da una parte non colpita dall’evento.

Ciò posto, l’odierna ricorrente deduce la nullità del suddetto ricorso in prosecuzione, depositato da due dei cinque eredi, per carenza di idonea procura e perchè mancante, sotto il profilo sostanziale, dei requisiti essenziali previsti dalla legge.

Si osserva in contrario che, come evidenziato dal giudice di appello, il ricorso originariamente carente della procura fu successivamente integrato con il deposito della stessa, il 24 dicembre, come attestato dal timbro di cancelleria, e dunque nel termine di cui all’art. 305 c.p.c..

Orbene, questa Corte ha ripetutamente affermato che, nel caso di interruzione del processo, il ricorso in prosecuzione ex art. 302 c.p.c., in quanto atto di mero impulso processuale nell’ambito di un procedimento già instaurato, di cui permangono tutti gli effetti sostanziali e processuali, non richiede il conferimento di un mandato speciale al difensore, per cui deve ritenersi consentito, ai sensi dell’art. 125 c.p.c., il rilascio della procura anche in data posteriore alla notificazione del ricorso, purchè anteriormente alla costituzione della parte rappresentata (Cass. n. 62/1991).

Il tempestivo deposito di detto ricorso in prosecuzione, quale mero atto d’impulso processuale, è stato dunque correttamente ritenuto sufficiente ad evitare l’estinzione del giudizio.

Il giudice di appello ha inoltre affermato che il contenuto del ricorso in prosecuzione non richiede, a differenza del ricorso in riassunzione, ex art. 303 c.p.c. requisiti specifici e che esso aveva comunque evitato l’estinzione del giudizio.

Pure tale assunto è conforme al consolidato indirizzo di questa Corte.

In tema di interruzione del processo, infatti, una volta eseguito tempestivamente il deposito del ricorso in cancelleria con la richiesta di fissazione dell’udienza, il rapporto processuale, quiescente, è ripristinato con integrale perfezionamento della prosecuzione, posto che l’atto di riassunzione, opera, in relazione al processo, in termini oggettivi ed è valido, per raggiungimento dello scopo ai sensi dell’art. 156 c.p.c., quando contenga, come nel caso di specie, gli elementi sufficienti ad individuare il giudizio che si intende far proseguire (Cass. 8437/2007; 7611/2008; 21869/2013).

Con il deposito del ricorso in cancelleria nei termini di cui all’art. 305 c.p.c. è stato dunque validamente ripristinato il rapporto processuale quiescente, con integrale perfezionamento della prosecuzione.

Da ciò, discende che, come affermato dal consolidato indirizzo di questa Corte, la successiva notifica del ricorso e dell’unito decreto, rilevante ai soli fini del ripristino del contraddittorio, pure ove sia viziata o inesistente, o comunque non correttamente compiuta, dev’essere eventualmente rinnovata, con fissazione di nuovo termine, ma il giudice non può dichiarare l’estinzione del processo (Cass. 2174 del 4.2.2016).

La Corte territoriale, preso atto del ricorso in prosecuzione, ha dunque correttamente disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri coeredi del de cuius, e segnatamente della moglie R.L.B. e del figlio N.S., essendosi già l’altra figlia G., costituita difendendosi nel merito.

Nel frattempo pure gli appellanti avevano depositato ricorso ex art. 303 c.p.c., per la riassunzione del giudizio e detto ricorso veniva notificato a tutti gli eredi del de cuius.

Esclusa dunque l’estinzione del giudizio in conseguenza del deposito del ricorso in prosecuzione, il successivo ricorso in riassunzione, separatamente proposto dagli appellanti, vale a dire una parte diversa da quella colpita dall’evento interruttivo, fu notificato a tutti gli eredi del de cuius.

Orbene secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, ai fini del rispetto del requisito del contenuto del ricorso di cui all’art. 303 c.p.c., comma 2, secondo cui il ricorso deve contenere “gli estremi della domanda” è sufficiente che con esso siano resi noti tutti gli elementi di identificazione della causa e del suo oggetto (Cass. 12506/2007).

L’atto di riassunzione degli appellanti, ad avviso di questo collegio, conteneva tutti gli elementi necessari all’identificazione della controversia e del suo oggetto, risultando pertanto idoneo al raggiungimento dello scopo.

In ogni caso, la notificazione, ai sensi della successiva ordinanza del 3.3.2011 della Corte territoriale, agli eredi non costituiti, anche di copia dell’atto di appello nonchè della sentenza impugnata, al fine di integrazione dell’ originaria riassunzione, appare pienamente idonea a consentire a costoro di conoscere gli elementi essenziali della lite e le rispettive posizioni delle parti, così garantendone il diritto alla adeguata conoscenza (oltre che alla mera conoscibilità) della lite instaurata dal de cuius.

Ogni eventuale lacuna dell’originario atto di riassunzione veniva dunque sanata ai sensi e per gli effetti degli artt. 162 e 164 c.p.c..

Il terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 298,303 e 83 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 3) codice di rito, lamentando che a seguito del decesso di Ma.Gi., il procuratore era privo di procura quando ha depositato l’atto di riassunzione.

La censura è infondata.

Pacifico che il decesso di Ma.Gi. non era stato formalmente dichiarato, si osserva che secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, la fattispecie cui l’art. 300 c.p.c. ricollega l’effetto interruttivo del processo consta di due elementi essenziali, rispettivamente costituiti dall’evento previsto come causa di interruzione e dalla relativa comunicazione formale ad opera del procuratore, in difetto della quale, il rapporto processuale continua a svolgersi come se l’evento non si fosse verificato. Ne consegue che il procuratore della parte colpita dall’evento interruttivo non dichiarato è legittimato a provvedere in base alla procura originariamente rilasciatagli, alla riassunzione del processo che sia stato interrotto per analogo evento riguardante un’altra parte e formalmente dichiarato (Cass. 9480/2014). Il quarto motivo denuncia la violazione dell’art. 1703 c.c. e L. n. 143 del 1949, art. 7 censurando la statuizione che ha riconosciuto all’ing. N. solo 1/3 del compenso per la progettazione del 1^ stralcio.

Il motivo è destituito di fondamento.

Esso infatti sollecita un sindacato di merito, inammissibile nel presente giudizio, sull’accertamento della Corte territoriale, che il progetto per cui è causa era stato redatto dai tre professionisti che lo avevano sottoscritto.

Da ciò la conseguenza, in assenza di prova di un diverso impegno profuso dai professionisti, che il compenso doveva ripartirsi in parti eguali tra i medesimi.

Tale statuizione, fondata, come si è evidenziato, su motivazione, logica coerente ed adeguata, non implica alcuna violazione di legge ed è dunque esente da censure.

Il quinto motivo denuncia la violazione dell’art. 1224 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3) e 5), lamentandosi il mancato riconoscimento del maggior danno da svalutazione monetaria ex art. 1224 c.c., assumendo che l’ing. N., noto professionista, equiparabile all’imprenditore commerciale ai fini dell’impiego del denaro, poteva altresì qualificarsi come creditore occasionale, che avrebbe impiegato a fini di risparmio il compenso spettante.

Il motivo è infondato.

La Corte territoriale ha infatti accertato che il professionista non aveva provato la sussistenza del maggior danno ex art. 1224 c.c., anche in considerazione del fatto che, ai sensi della L. n. 143 del 1949, art. 9 agli ingegneri sono dovuti interessi ragguagliati al tasso ufficiale di sconto, ovvero tasso di riferimento (determinato prima dalla banca d’Italia, successivamente dalla Banca Europea): ha pertanto escluso la maggiorazione ex art. 1224 c.c. sul compenso del professionista richiesta dagli odierni ricorrenti.

Tale statuizione è conforme al consolidato indirizzo di questa Corte.

Conviene premettere che il credito del professionista per il compenso spettante in ragione dell’attività svolta nell’esecuzione di un contratto d’opera, ex artt. 2230 c.c. e ss., è di valuta, e non si trasforma in credito di valore neppure per effetto dell’inadempimento del cliente, sicchè esso dà luogo, in caso di mora, alla corresponsione degli interessi nella misura legale, indipendentemente da ogni prova del pregiudizio subito, salvo che dimostri il maggior danno ai sensi dell’art. 1224 c.c., comma 2. (Cass. 20131/2014).

In particolare, ai sensi dell’art. 9 della tariffa professionale degli ingegneri ed architetti approvata con L. 2 marzo 1949, n. 143, gli interessi moratori per i crediti professionali sono ragguagliati al tasso ufficiale di sconto stabilito dalla Banca d’Italia, mentre nell’ipotesi in cui il professionista assuma di aver risentito, a causa dell’inadempimento del debitore, un danno in misura superiore ai predetti interessi legali, è tenuto a fornire la prova, ai sensi dell’art. 1224 c.c., comma 2, degli ulteriori effetti economici pregiudizievoli subiti. Incombe pertanto al professionista l’onere di dedurre e dimostrare che il pagamento tempestivo da parte del debitore gli avrebbe consentito, mediante l’opportuno impiego della s., di evitare o limitare gli effetti della sopravvenuta inflazione (Cass. 9409/2006).

Passando al ricorso incidentale dei signori M.G., M.G., C.B., Co.An., S.G. e P.S.G., con il primo motivo si denuncia la violazione dell’art. 2230 c.c., nonchè degli artt. 115 e 116 c.p.c., e l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione ex art. 360 c.p.c., n. 5). In particolare, si deduce di non aver mai conferito all’ing. N. incarico per la progettazione del c.d. 2^ stralcio dei lavori e si lamenta che la Corte avrebbe omesso di rilevare che, in generale, non era stata raggiunta la prova di tale progettazione, anche perchè gli elaborati relativi a tale II stralcio, mai visionati dai presunti committenti, non risulterebbero essere stati acquisiti agli atti di causa.

Il motivo è infondato.

La Corte ha infatti accertato che l’ing. N. aveva eseguito la progettazione anche del c.d. 2^ stralcio dei lavori, dando rilievo al carattere unitario della progettazione, nonchè alle dichiarazioni testimoniali assunte ed alle valutazioni della Ctu.

L’accertamento della Corte risulta logicamente ed adeguatamente motivato, e, considerato che la valutazione delle acquisizioni istruttorie è demandata al giudice di merito, esso si sottrae a sindacato nella presente sede.

Del pari inammissibile il secondo motivo di ricorso incidentale, con il quale si denuncia, quale conseguenza dell’eventuale accoglimento del primo motivo di ricorso, la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., censurando la regolazione delle spese di lite.

La reiezione del primo motivo del ricorso incidentale assorbe l’esame della presente censura.

Si osserva dunque che la statuizione che ha condannato gli appellanti ricorrenti incidentali al pagamento di metà delle spese di lite costituisce corretta applicazione del criterio della soccombenza.

In conclusione, va accolto il primo motivo del ricorso principale di R.L.B., rigettati gli altri.

Vanno invece dichiarati inammissibili i ricorsi incidentali proposti, rispettivamente, da V. e N.R.F., nonchè da S. e N.G..

Dev’essere infine rigettato il ricorso incidentale proposto da M.G., M.G., C.B., Co.An., S.G. e P.S.G..

La sentenza impugnata va dunque cassata nei limiti dell’unico motivo accolto, con rinvio innanzi ad altra sezione della Corte d’Appello di Palermo, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater sussistono i presupposti per il versamento, da parte di tutti i ricorrenti incidentali dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto rispettivamente per il ricorso principale e per quelli incidentali, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale, respinti gli altri.

Dichiara inammissibile il ricorso incidentale proposto da V. e N.R.F., nonchè da S. e N.G.. Rigetta il ricorso incidentale proposto da M.G., M.G., C.B., Co.An., S.G. e P.S.G..

Cassa la sentenza impugnata in relazione all’unico motivo accolto e rinvia la causa, anche per la regolazione delle spese del presente giudizio, ad altra sezione della Corte d’Appello di Palermo.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per i ricorsi incidentali, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 5 febbraio 2018

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