Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27568 del 28/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 28/10/2019, (ud. 04/06/2019, dep. 28/10/2019), n.27568

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8188-2018 proposto da:

GLOBAL INTERNATIONAL SERVICE SRL” in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

DELLE MILIZIE 9, presso lo studio dell’avvocato ORESTE CARRACINO,

che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

T.M., S.M., S.P., elettivamente

domiciliate in ROMA, VIALE GLORIOSO 13, presso lo studio

dell’avvocato ANDREA BUSSA, che le rappresenta e difende unitamente

all’avvocato LIVIO BUSSA;

– controricorrente –

contro

EURO SERVICE SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 3226/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 08/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 04/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. LUIGI CAVA

LLARO.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza depositata l’8.9.2017, la Corte d’appello di Roma ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva dichiarato la natura subordinata della collaborazione precorsa tra Global International Service s.r.l. e tre lavoratrici già assunte da Euro Service s.p.a. con contratto di collaborazione coordinata e continuativa a progetto e il cui rapporto era poi proseguito con Global International Service s.r.l.; che avverso tale pronuncia Global International Service s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo cinque motivi di censura; che le lavoratrici indicate in epigrafe hanno resistito con controricorso, mentre Euro Service s.p.a. è rimasta intimata;

che è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il primo motivo, la ricorrente denuncia nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 156 c.p.c., art. 118 att. c.p.c. e art. 111 Cost., per essersi la Corte di merito limitata a rinviare alla motivazione della sentenza di primo grado senza considerare le specifiche doglianze mosse nei suoi riguardi dall’atto di appello;

che, con il secondo motivo, la ricorrente lamenta omesso esame circa un fatto decisivo per avere la Corte territoriale confermato la decisione di prime cure senza indicare le ragioni a sostegno della asserita natura subordinata della precorsa collaborazione;

che, con il terzo motivo, la ricorrente si duole di violazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61, per avere la Corte di merito ritenuto che i rapporti di collaborazione dedotti in giudizio dovessero essere qualificati come rapporti di lavoro subordinato, nonostante la specificità dell’attività dedotta quale oggetto del contratto di collaborazione a progetto e la sua estraneità all’oggetto dell’impresa;

che, con il quarto motivo, le medesime censure sono riproposte sub ecie di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio;

che, con il quinto motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 79-80, per non avere la Corte di merito tenuto conto dell’avvenuta certificazione dei rapporti di collaborazione dedotti in giudizio sull’erroneo presupposto che essa fosse intervenuta su rapporti da reputarsi già subordinati per nullità dei precedenti contratti a progetto;

che, con riguardo al primo e al secondo motivo, la sentenza impugnata ha bensì richiamato, trascrivendoli, gli argomenti svolti dal giudice di prime cure per suffragare l’affermazione secondo cui la collaborazione si era svolta con le modalità tipiche di un rapporto di lavoro subordinato, ma solo per evidenziare la genericità delle censure che a tale accertamento erano state mosse con l’atto di appello (cfr. in particolare pag. 3 della sentenza impugnata), di talchè, risultando le censure affatto estranee alla ratio decidendi della pronuncia (che, in parte qua, è propriamente una pronuncia di inammissibilità del motivo di gravame per genericità: art. 342 c.p.c.), non può che darsi continuità al principio secondo cui la proposizione con il ricorso per cassazione di censure prive di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata comporta l’inammissibilità del motivo di ricorso, non potendo quest’ultimo essere configurato quale impugnazione rispettosa del canone di cui all’art. 366 c.p.c., n. 4 (Cass. n. 17125 del 2007; nello stesso senso, più recentemente, Cass. nn. 11637 del 2016 e 24765 del 2017);

che analoghi profili di inammissibilità affliggono il terzo ed il quarto motivo, non confrontandosi le doglianze ivi esposte con la ratio decidendi della sentenza impugnata secondo cui, dovendo i rapporti di collaborazione qualificarsi in termini di rapporti di lavoro subordinato in ragione delle concrete modalità del loro svolgimento, del tutto irrilevante era la disamina del contenuto dei contratti a progetto;

che del pari inammissibile, infine, è il quinto motivo, dal momento che il contenuto della certificazione dei rapporti di collaborazione in questione non è stato trascritto in ricorso, nemmeno nelle parti essenziali al fine di dare alla censura un pur minimo fondamento fattuale, in spregio al consolidato principio secondo cui il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci l’omessa o inesatta valutazione di atti o documenti prodotti in giudizio, anche ove intenda far valere un vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, è onerato, a pena di inammissibilità del ricorso, non solo della specifica indicazione del documento e della chiara indicazione del nesso eziologico tra l’errore denunciato e la pronuncia emessa in concreto, ma anche della completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti e dei documenti, così da rendere immediatamente apprezzabile dalla Suprema Corte il vizio dedotto (Cass. n. 14107 del 2017);

che il ricorso, conclusivamente, va dichiarato inammissibile, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, che seguono la soccombenza;

che, in considerazione della declaratoria d’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 5.800,00, di cui Euro 5.600,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 4 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2019

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