Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27568 del 21/11/2017


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Civile Ord. Sez. 3 Num. 27568 Anno 2017
Presidente: SPIRITO ANGELO
Relatore: DE STEFANO FRANCO

Rep. e , (_

ORDINANZA
Ud. 25/10/2017

sul ricorso 26264-2014 proposto da:
CC

FEBI ANGELO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
GAGGIANO 39, presso lo studio dell’avvocato MARIA
FONTI, rappresentato e difeso dall’avvocato FABIO
FRATTINI giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente contro

ALLIANZ SPA , in persona del Procuratore dott.
2017
2040

ANTONIO PINO CONTE, elettivamente domiciliata in
ROMA, VIA PANAMA 88, presso lo studio dell’avvocato
GIORGIO SPADAFORA, che la rappresenta e difende
unitamente all’avvocato ANTONIO SPADAFORA giusta
procura in calce al controricorso;

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Data pubblicazione: 21/11/2017

- controricorrente nonché contro

COMEC COMMERCIO MEDIAZIONE E CAVA SRL , OJOG DUMITRU;
– intimati –

avverso la sentenza n. 6554/2013 della CORTE

udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 25/10/2017 dal Consigliere Dott. FRANCO
DE STEFANO;

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D’APPELLO di ROMA, depositata il 03/12/2013;

rilevato che:
Angelo Febi convenne in giudizio, con atto notificato il 48/07/2002, la RAS assicurazioni spa e la CO.ME.C. commercio
mediazione e cava srl, rispettivamente assicuratrice r.c.a. e
proprietaria dell’autocarro che lo aveva investito il 29/01/2000 sulla

causandogli gravi lesioni e danni pure patrimoniali; e, all’esito della
chiamata in causa del cdnducente dei veicolo (tale Dumitru Ojog),
l’udito tribunale di Roma / disattesa la riconvenzionale

Eietrassicuratrice e riconosduti all’attore PeibtUMI Permanenti Qlel 37%
a seguito di invalidità temporanea di 270 gg., condannò soiidaimente
convenuti e chiamato al pagamento della finale somma di C 59.750,
così determinata dopo avere liquidato il risarcimento in C 114.000 per
il danno biologico, C 19.000 a titolo di «pecunia doloris» ed C 1.750
per spese mediche, dato atto di un intervenuto pagamento – ad
opera della stessa assicuratrice – di C 75.000;
per quel che in questa sede rileva, il gravame del medesimo Febí
avverso la sentenza di primo grado n. 1511/05 fu accolto in parte
dalla corte di appello di Roma, la quale, all’esito di nuova c.t.u.,
riconobbe una ben maggiore entità dei postumi, ma: applicò non già
le invocate tabelle milanesi, ritenendo indispensabile la loro
produzione, ma quelle del tribunale di Roma e per di più nella
versione del 2004, liquidando il danno patrimoniale in C 295.000 e
personalizzandolo per altri C 145.000, per poi liquidare il danno da
incapacità lavorativa nel triplo della pensione sociale del 2013, col
criterio ex r.d. 1403/1922 ed una percentuale di invalidità del 100%,
applicato uno scarto del 20% tra vita fisica e lavorativa (liquidandolo
così in C 139.653,81), pure riconoscendo altre spese mediche
erroneamente non considerate dal primo giudice; sicché la condanna
in favore del danneggiato fu incrementata in totale di C 506.473,00;
e, per la cassazione della relativa sentenza, pubblicata il 03/12/2013

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via Tiburtina in Roma mentre era a bordo del suo motociclo,

col n. 6554, il Febi peraltro ricorre, affidandosi a quattro motivi, poi
illustrati da memoria; resiste con controricorso la sola Allianz spa,
succeduta alla RAS ass.ni spa;
considerato che:
il Collegio ha raccomandato la redazione della motivazione in forma

in via preliminare, l’evidente ragione d’inammissibilità del ricorso
impone, nel rispetto del principio della ragionevole durata del processo, di
definire con immediatezza il procedimento, senza la preventiva
integrazione del contraddittorio nei confronti di litisconsorti necessari cui
il ricorso risulta non notificato o malamente notificato, trattandosi di
un’attività processuale del tutto ininfluente sull’esito del giudizio (Cass.
Sez. U. 22/12/2015, n. 25772, che richiama la prima pronuncia in tal
senso di Cass. Sez. U. ord. 22/03/2010, n. 6826);
infatti, il ricorrente Febi si duole: col primo motivo, di «violazione
e falsa applicazione di norma di diritto ex art. 360 n. 3 c.p.c. per non
avere la corte di appello di Roma applicato nella liquidazione del
danno i parametri di cui alle tabelle di Milano»: censurando la
decisione di appello nella parte in cui ha ritenuto inapplicabili queste
ultime per non essere state prodotte dall’appellante; col secondo
motivo, di «violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2056, 2059,
1226 cod. civ.», per l’insufficienza del richiamo alle tabelle, anche
solo romane, del 2004 e la violazione dei minimi da quelle previsti;
col terzo motivo, di «violazione e falsa applicazione di norme di diritto
ex art. 360 n. 3 in ordine alla liquidazione del danno patrimoniale per
perdita della capacità lavorativa», contestando i metodi di
applicazione del criterio equitativo del triplo della pensione sociale;
col quarto motivo, di «violazione di legge ex art. 360 n. 3 c.p.c. in
ordine alla liquidazione del danno non patrimoniale e alla percentuale
di incremento», contestando appunto quest’ultima per la carenza di
esposizione dei criteri di personalizzazione invece indispensabile;

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semplificata;

il primo motivo è inammissibile: per principio assolutamente
consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, «il ricorrente che
proponga in sede di legittimità una determinata questione giuridica,
la quale implichi accertamenti di fatto, ha l’onere, al fine di evitare
una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di

merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo
abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la
veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la
questione stessa» (per l’ipotesi di questione non esaminata dal
giudice del merito, per tutte: Cass. 02/04/2004, n. 6542; Cass.
27/05/2010, n. 12992; Cass. Sez. U. 06/05/2016, n. 9138); ma il
Febi non indica specificamente in quale atto del giudizio di appello,
nei limiti in cui questo gli sarebbe stato consentito, egli avrebbe
prospettato con la dovuta analitica specificazione (osservata
solamente ed in parte nel ricorso per cassazione e sviluppata, del
tutto inammissibilmente, nella memoria) la questione sia della non
necessità della produzione per essere conoscibili dal giudicante le
tabelle cc.dd. milanesi, sia della maggiore convenienza per lui
danneggiato dei criteri di liquidazione da queste previsti, in luogo di
quelli in concreto applicati dalla corte territoriale;
il secondo motivo è del pari inammissibile, ma stavolta per difetto
di idonea specificazione di un interesse ad impugnare: infatti,
sicuramente se non altro in relazione a tabelle diverse da quelle
milanesi occorre che il ricorrente dimostri (e per di più in ricorso, non
potendo sopperire alla relativa carenza di tale atto alcuna
argomentazione proposta nella memoria) che la liquidazione in i
concreto operata sia inferiore rispetto a quella che avrebbe potuto’
conseguire in applicazione dei criteri che egli ritiene legittimi o
corretti, sviluppando – non essendo certo tenuto il giudice (e tanto
meno quello di legittimità) a conoscere i meccanismi applicativi di

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allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di

tabelle diverse da quelle cc.dd. milanesi, di portata ambito funzione
struttura e contenuto i più vari e legati alle peculiarità locali – gli uni
e gli altri e dimostrando di avere chiesto con altrettanta analiticità le
relative somme differenziali al giudice di appello;
il terzo motivo è inammissibile, in mancanza di elementi certi –

memoria – sulla non novità della questione: in modo evidente, nella
parte in cui si duole dell’adozione del criterio del triplo della pensione
sociale in luogo di quello «equitativo puro», senza ricordare che
anche quest’ultimo avrebbe dovuto comunque fare riferimento a
parametri controllabili ex post e quanto meno allegati – e solo per
questo colpevolmente ignorati – al giudice di appello dal danneggiato;
in ogni modo, anche nella parte in cui sviluppa una critica
generalizzata al meccanismo di operatività del criterio di liquidazione
equitativa ancorato al triplo della pensione sociale per mancata
applicazione dei correttivi di cui a Cass. 4186/04 e successive, esso
sarebbe infondato, visto che la personalizzazione è idoneamente
conseguita prendendo a parametro del calcolo l’importo della
pensione sociale al tempo della liquidazione, mentre la prospettazione
dell’eccessività dello scarto considerato tra vita lavorativa e vita fisica
media non è accompagnata da puntuale adduzione di dati, se del
caso pure alla stregua delle modifiche normative in tema di limite di
età pensionabile, alla cui stregua desumere la necessità di una misura
inferiore dello scarto; questioni, queste, che il ricorrente in ricorso
non adduce in quale passaggio degli atti dei gradi di merito avrebbe
prospettato ai relativi giudici;
infine, anche il quarto motivo è inammissibile, per difetto di
interesse: se è vero che la necessità di una personalizzazione è stata
presa in considerazione dalla gravata sentenza e riferita
esclusivamente all’intensità delle cure, è altrettanto vero che
l’importo della personalizzazione, se non altro con riferimento alla

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sempre nel ricorso, a nulla valendo eventuali integrazioni nella

misura del risarcimento a titolo di danno non patrimoniale qui non
ulteriormente revocabile in dubbio per la vista inammissibilità del
primo motivo, è ingentissima e rasenta il 50% (C 145.000 rispetto ad
C 295.000), mentre non viene neppure addotta, nel motivo di ricorso,
se e quale ragione, in base alla quale sarebbe spettata una

giudice del merito e questi l’abbia disattesa o, comunque, avrebbe
dovuto prendere in considerazione in modo da far conseguire al
beneficiario della liquidazione un risultato più favorevole di quello
comunque raggiunto;
il

ricorso,

inammissibili tutti

i

motivi,

è da

dichiararsi

inammissibile, con condanna del soccombente ricorrente alle spese;
infine, va dato atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo
(tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955) – della sussistenza dei
presupposti per l’applicazione dell’art. 13, co. 1-quater, del d.P.R. 30
maggio 2002, n. 115;
p. q. m.
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al
pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio
di legittimità, che liquida in C 10.200,00 per compensi, oltre alle
spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in
C 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002,
inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto
per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.

personalizzazione ancora più accentuata, sia stata mai sottoposta al

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