Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27568 del 02/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 02/12/2020, (ud. 08/09/2020, dep. 02/12/2020), n.27568

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20313-2019 proposto da:

C.T., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato GIOVANNA COGO;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE SPA (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE MAZZINI 134,

presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che lo rappresenta e

difende unitamente agli avvocati GAETANA ALLEGRA, GAETANO GRANOZZI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1095/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 17/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’08/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott.ssa

ESPOSITO LUCIA.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

La Corte d’appello di Catania, in sede di rinvio dalla Corte di Cassazionerdisposto in funzione della determinazione dell’indennità L. n. 183 del 2010, ex art. 32, spettante a C.T., dipendente di Poste Italiane S.p.A. in virtù di contratto a tempo determinato di cui era stata accertata l’illegittimità del termine, stabiliva in sette mensilità la misura di detta indennità e compensava nella misura di un quarto le spese dell’intero giudizio, ponendo il residuo a carico della società;

avverso la sentenza propone ricorso per cassazione la lavoratrice sulla base di due motivi;

Poste Italiane s.p.a. resiste con controricorso;

entrambe le parti hanno prodotto memorie;

la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata notificata alla parte costituita, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

con il primo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 91,92,132 c.p.c., L. n. 183 del 2010, nonchè omesso esame di fatto rilevante ai fini del giudizio, motivazione illogica, contraddittoria e apparente, poichè la Corte d’appello avrebbe effettuato la compensazione sulla base di una inesistente situazione di reciproca soccombenza e di giusti motivi, costituiti da inesistenti contrasti giurisprudenziali al tempo della decisione cassata e profili di novità legati alle modifiche legislative (art. 360 c.p.c., n. 3, 4 e 5);

con il secondo motivo deduce violazione di plurime disposizioni di legge, rilevando che le spese sono state liquidate in modo unitario, al di sotto dei minimi tariffari e senza riconoscimento delle spese di trasferta, nonchè motivazione omessa o assente circa un fatto rilevante per il giudizio;

il primo motivo è manifestamente infondato perchè la compensazione è giustificata dalla reciproca soccombenza, ravvisabile anche in caso di parzialità dell’accoglimento, pur se meramente quantitativa e riguardante una domanda articolata in unico capo (ex multis Cass. n. 10113 del 24/04/2018, Cass. n. 1268 del 21/01/2020) e tanto è sufficiente a giustificare la compensazione;

in ordine al secondo motivo di ricorso, va premesso che è principio consolidato quello in forza del quale (cfr. Cass. 15 novembre 2017, n. 27020, Cass. 11 dicembre 2019 n. 32394) in materia di liquidazione degli onorari di avvocato, qualora la parte abbia presentato nota specifica con l’indicazione delle spese vive sostenute e dei diritti ed onorari spettanti, il giudice non può procedere ad una liquidazione globale, ma deve eseguirla in modo tale che la parte interessata sia messa in grado di controllare se il giudice abbia rispettato i limiti delle relative tabelle e così denunciare le specifiche violazioni della legge o delle tariffe;

nel caso in cui la sentenza non rispetti tale indicazione, tuttavia, ai fini dell’impugnazione deve pur sempre ricorrere un interesse giuridicamente tutelato in favore della parte, nel senso che questa deve poter conseguire una concreta utilità e poter rimuovere un danno effettivo e non limitarsi alla declamazione di teoriche esigenze di esattezza giuridica, con la conseguenza che è inammissibile, per carenza d’interesse, una impugnazione in cui la parte vittoriosa non provi specificamente il pregiudizio subito per la liquidazione globale, siccome attributiva di una somma inferiore ai minimi inderogabili (Cass. 8 marzo 2007 n. 5318);

una simile situazione è ravvisabile nella specie, poichè la ricorrente, oltre a non aver provato di aver presentato nota specifica, ha denunciato la liquidazione globale delle spese giudiziali in primo grado, in grado di appello e nei giudizi di legittimità e di riassunzione, ma non ha sviluppato il ricorso in modo da far emergere il pregiudizio che quella liquidazione globale in concreto ha determinato;

invero, premesso che la liquidazione delle spese del primo grado, poi confermata, non risulta essere stata oggetto di impugnazione con l’atto di appello, va osservato che la ricorrente si è limitata ad affermare in termini apodittici la non conformità della liquidazione al valore della controversia e all’attività svolta, senza indicare gli importi minimi per onorari e diritti che sarebbero stati violati e omettendo di documentare le attività processuali espletate (al riguardo si fa riferimento a un allegato recante un indice cronologico non avente carattere di ufficialità, poichè privo del timbro e della firma delle cancellerie);

in base alle svolte argomentazioni il motivo di ricorso è inammissibile per carenza di interesse, rimanendo assorbiti nella pronuncia i profili di censura attinenti alla motivazione e il ricorso complessivamente rigettato;

le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in complessivi Euro 2.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 8 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2020

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