Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27567 del 30/12/2016


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Cassazione civile, sez. lav., 30/12/2016, (ud. 26/10/2016, dep.30/12/2016),  n. 27567

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17044-2011 proposto da:

T.A., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA CICERONE, 49, presso lo studio dell’avvocato TORTORA ADRIANO,

rappresentato e difeso dall’avvocato ROBERTO GIUFFRIDA, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE C.F. (OMISSIS), in

persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

Avvocati ANTONIETTA CORETTI, VINCENZO TRIOLO, VINCENZO STUMPO,

EMANUELE DE ROSE, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1273/2010 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 01/12/2010 R.G.N. 1079/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/10/2016 dal Consigliere Dott. ADRIANA DORONZO;

udito l’Avvocato TORTORA ADRIANO per delega Avvocato GIUFFRIDA

ROBERTO;

udito l’Avvocato STUMPO VINCENZO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO PAOLA, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza pubblicata il 1^ dicembre 2010, la Corte d’appello di Salerno ha rigettato l’appello proposto da T.A. nei confronti della sentenza di primo grado che, nel giudizio di opposizione proposto dallo stesso appellante contro la cartella esattoriale notificata il 13/1/2008 per conto dell’Inps e della SCCI, e avente ad oggetto il pagamento di contributi dovuti alla gestione speciale commercianti, aveva rigettato la domanda.

La Corte territoriale, dopo aver dichiarato inammissibile per tardività l’opposizione agli atti esecutivi, – così qualificate le eccezioni sollevate dal T. in ordine alla corretta formazione del ruolo e ai vizi di forma della cartella esattoriale, – ha confermato l’esistenza dell’obbligo di iscrizione dell’appellante nella gestione commercianti in forza del disposto dell’art. 12, comma 110, D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni nella L. 30 luglio 2010, n. 122: ha infatti ritenuto che tale norma, di interpretazione autentica, ha limitato il criterio della prevalenza dell’attività, i fini dell’iscrizione nella gestione commercianti, alle sole attività esercitate in forma d’impresa dai commercianti, artigiani e coltivatori diretti, ed escluso invece le attività rientranti nella gestione separata cui alla L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 260, per le quali sussiste l’obbligo del socio esercente l’attività commerciale, nonchè amministratore della società, di iscrizione. Così cumulandosi le obbligazioni contributive afferenti a ciascuna delle diverse attività, la Corte ha ritenuto che dal verbale ispettivo emergesse la partecipazione personale del T. al lavoro aziendale, con caratteri di abitualità e prevalenza, e che tale accertamento fosse sufficiente, tenuto conto della sua qualità di socio accomandatario della s.a.s. Recofim di T.A. & c. e detentore dell’85% delle quote di capitale sociale, e in mancanza di specifiche allegazioni contrarie.

Avverso tale pronuncia il T. ricorre per cassazione sulla base di quattro motivi.

L’Inps deposita controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- In via preliminare, deve darsi atto che il controricorso depositato dall’Inps (e notificato alla controparte in data 22 agosto 2011, a fronte della notifica del ricorso per cassazione eseguita a mani in data 24 giugno 2011) riguarda altra controversia, facendo riferimento ad un ricorso notificato in data 19 luglio 2011 e ad una sentenza della Corte d’appello di “Reggio Napoli del 11 febbraio-9 maggio 2011, n. 1065”, diversa da quella oggetto del presente giudizio. Le stesse difese sono articolate in risposta a motivi di ricorso mai proposti dal T.. Ne consegue l’inammissibilità del controricorso, dovendosi rilevare (inesistenza di una procura speciale a resistere relativa alla presente controversia, in mancanza di elementi per desumere anche in via implicita una positiva volontà del conferente di svolgere attività difensiva in questo giudizio.

2. – Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 346 e 436 c.p.c.; D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 25 e L. n. 241 del 1990, art. 3.

Sotto un primo aspetto, censura la sentenza nella parte in cui ha dichiarato inammissibile per tardività l’opposizione agli atti esecutivi, la quale era stata invece rigettata dal giudice di primo grado per ragioni di merito, senza che mai l’Inps avesse eccepito primo grado o riproposto nella memoria difensiva in appello la tardività. Sotto il secondo aspetto, rileva che i difetti della cartella denunciati (mancata indicazione del responsabile del procedimento, decadenza dall’iscrizione a ruolo e nullità della notifica), in quanto non contestati, erano sussistenti e idonei a determinare l’annullamento della cartella.

3. – Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 26, della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 203, D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 12, comma 110, convertito in L. 30 luglio 2010, n. 122; nello stesso motivo denuncia il difetto di motivazione della sentenza. Assume l’erroneità della decisione nella parte in cui si è ritenuto sussistente l’obbligo della sua iscrizione nella gestione commercianti per la sola qualità di socio accomandatario rivestita, senza alcuna verifica sull’effettivo esercizio da parte sua dell’attività commerciale con caratteri di abitualità e prevalenza e senza considerare che egli non era amministratore. Invoca a sostegno la pronuncia della Corte di cassazione, Sez. Un., 12/2/2010, n. 3240. Il motivo di ricorso si estende anche al rilievo che l’Inps non aveva proceduto a notificargli la decisione di iscriverlo nell’assicurazione corrispondente all’attività prevalente, così violando il disposto della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 208.

3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 437 c.p.c., degli artt. 2697 e 2700 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, e censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto provata la sua partecipazione personale al lavoro aziendale con abitualità e prevalenza, e ciò a fronte di una richiesta di prove dirette a dimostrare il contrario, non esaminate. Inoltre, la sentenza è errata nella parte in cui ha attribuito valore probatorio al verbale di accertamento senza considerare che esso non fa prova della intrinseca veridicità delle dichiarazioni raccolte dall’ispettore e del contenuto dei documenti esaminati, ma solo dei fatti attestati o compiuti dagli ispettori.

4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia l’error in judicando e l’error in procedendo in cui è incorsa la Corte non avendo tenuto conto delle sentenze numero 5878/2008 e 1324 /2009 con le quali era stata accertata con valenza di giudicato la mancanza dei requisiti per l’iscrizione alla gestione commercianti.

5. – Il primo motivo è infondato.

L’inosservanza del termine perentorio per la proposizione di un’opposizione agli atti esecutivi, ai sensi dell’art. 617 c.p.c., previsto a pena di inammissibilità dell’opposizione, può essere rilevato d’ufficio anche in sede di legittimità, ai sensi dell’art. 382 c.p.c., comma 3, (Cass., ord. 11 maggio 2010, n. 11338; Cass. 12 novembre 2008, n. 27019), sicchè non rileva che la questione non sia mai stata sollevata dall’Inps e che il rigetto dell’opposizione, da parte del tribunale, sia avvenuto per ragioni di merito.

Il rigetto di questo aspetto della censura rende superfluo esaminare l’altro, costituito dal merito delle eccezioni sulla regolarità formale della cartella di pagamento.

3. – Il secondo e il terzo motivo, per l’evidente connessione che li lega, vanno trattati congiuntamente. Essi sono entrambi infondati.

Deve premettersi che nella sentenza impugnata non vi è traccia della questione posta nell’ultima parte del secondo motivo, relativa all’omessa notifica da parte dell’Inps della sua decisione di iscriverlo nell’assicurazione corrispondente all’attività prevalente, sicchè essa non può essere proposta per la prima volta in cassazione, a fronte del mancato adempimento da parte del ricorrente dell’onere non solo di allegare l’avvenuta sua deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto ed in che termini, onde dar modo alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della stessa (Cass. 18 ottobre 2013,n. 23675). Questo aspetto del motivo di ricorso è, pertanto, inammissibile.

4. – La questione interpretativa posta dai motivi in esame trova il principale riferimento normativo nel D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 12, comma 11, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, art. 1, comma 1, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica.

5. – Le Sezioni unite di questa Corte, con sentenza resa in data 8 agosto 2011, n. 17076, hanno affermato che “il criterio dell’attività prevalente, quale parametro di valutazione per individuare la gestione assicurativa dell’INPS alla quale versare i contributi previdenziali nel caso di svolgimento di plurime attività che, autonomamente considerate, comporterebbero l’iscrizione a diverse gestioni previdenziali, opera per le attività esercitate in forma d’impresa dai commercianti, dagli artigiani e dai coltivatori diretti. Per queste attività vale il criterio (semplificante) dell’attività prevalente per individuare l’unica gestione assicurativa alla quale versare i contributi previdenziali in riferimento anche all’attività non prevalente che, ove esercitata da sola, comporterebbe l’iscrizione in un’altra gestione assicurativa” e ciò con l’assenso dell’INPS che, in ragione del disposto del secondo periodo del medesimo art. 1, comma 208 cit., deve “decidere” sulla iscrizione nell’assicurazione corrispondente all’attività prevalente”.

6. – Secondo le Sezioni Unite, la regola risultante dalla norma interpretata (L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1 comma 208) e dalla norma di interpretazione autentica sopra citata, è nel senso che l’esercizio di attività di lavoro autonomo, soggetto a contribuzione nella Gestione separata, che si accompagni all’esercizio di un’attività di impresa commerciale, artigiana o agricola, la quale di per sè comporti l’obbligo dell’iscrizione alla relativa gestione assicurativa presso l’INPS, non fa scattare il criterio dell'”attività prevalente”.

In altri termini, per queste attività, non opera il criterio “semplificante” (dell’art. 1, comma 208, cit.) e derogatorio – dell’unificazione della posizione previdenziale in un’unica gestione con una sorta di fictio iuris per cui chi è ad un tempo commerciante ed artigiano (o coltivatore diretto) con caratteristiche tali da comportare l’iscrizione alle relative gestioni assicurative, è come se svolgesse un’unica attività di impresa – quella prevalente – con la conseguenza che unica è la posizione previdenziale.

Al contrario, la regola espressa dalla norma come interpretata è quella per la quale il concorso di attività di lavoro autonomo (come amministratore della società), soggetta ex se alla contribuzione nella gestione separata sui compensi percepiti a tale titolo, e quella di socio lavoratore nella società stessa, comporta l’obbligo della duplice iscrizione.

7.- I principi espressi dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 3240/2010 sono stati così superati, così come sono stati superati i dubbi di legittimità costituzionale e di compatibilità con l’art. 6 della CEDU sollevati con riferimento alla norma di interpretazione autentica (Corte Cost. n. 15/2012).

8.- La sentenza della Sezioni Unite di questa Corte è stata poi seguita da altre pronunce (Cass. 1 luglio 2015, n. 13446; Cass., 5 marzo 2013 n. 5444; v. pure Cass., ord. 27 aprile 2016, n. 8303; Cass., 26 febbraio 2016, n. 3835), le quali – partendo dall’esatta premessa secondo cui sussiste l’obbligo di iscrizione e contribuzione sia alla gestione commercianti che a quella separata stante l’autonomia delle posizioni – hanno affermato la necessità che per ciascuna di esse ricorrano i presupposti previsti dalla legge, e cioè che si realizzi una “coesistenza” di attività riconducibili, rispettivamente, al commercio e all’amministrazione societaria.

9.- Sull’obbligo di iscrizione alla gestione commercianti, la disciplina previgente è stata modificata dalla L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, comma 203 che così sostituisce la L. 3 giugno 1975, n. 160, art. 29, comma 1: “L’obbligo di iscrizione nella gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali di cui alla L. 22 luglio 1966, n. 613, e successive modificazioni ed integrazioni, sussiste per i soggetti che siano in possesso dei seguenti requisiti: a) siano titolari o gestori in proprio di imprese che, a prescindere dal numero dei dipendenti, siano organizzate e/o dirette prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti la famiglia, ivi compresi i parenti e gli affini entro il terzo grado, ovvero siano familiari coadiutori preposti al punto di vendita; b) abbiano la piena responsabilità dell’impresa ed assumano tutti gli oneri ed i rischi relativi alla sua gestione. Tale requisito non è richiesto per i familiari coadiutori preposti al punto di vendita nonchè per i soci di società a responsabilità limitata; c) partecipino personalmente al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza; d) siano in possesso, ove previsto da leggi o regolamenti, di licenze o autorizzazioni e/o siano iscritti in albi, registri e ruoli”.

10. – La iscrizione alla gestione commercianti è quindi obbligatoria ove si realizzino congiuntamente le fattispecie previste dalla legge e cioè: la titolarità o gestione di imprese organizzate e/o dirette in prevalenza con il lavoro proprio e dei propri familiari; la piena responsabilità ed i rischi di gestione (unica eccezione proprio per i soci di s.r.l.); la partecipazione al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza; il possesso, ove richiesto da norme e regolamenti per l’esercizio dell’attività propria, di licenze e qualifiche professionali (in tal senso, Cass., n. 5444/2013, cit.).

11. Ai fini, dunque, di tale ulteriore (rispetto a quello della gestione separata) obbligo contributivo è richiesta la verifica della sussistenza degli elementi della abitualità e della professionalità della prestazione lavorativa, nonchè degli altri requisiti eventualmente previsti dalle rispettive discipline normative di settore (Cass., 19 gennaio 2016, n. 873).

12.- La verifica della sussistenza di requisiti di legge per tale “coesistenza” è compito del giudice di merito, fermo restando che l’onere probatorio grava sull’ente previdenziale, tenuto a provare i fatti costitutivi dell’obbligo contributivo (cfr. ex multis Cass., 20 aprile 2002, n. 5763; Cass., 6 novembre 2009, n. 23600).

13.- Nella specie, la Corte ha ritenuto provato il coinvolgimento diretto nel lavoro aziendale del T., riconoscendo il carattere di abitualità e prevalenza dell’attività lavorativa. In particolare, la Corte ha tratto elementi per il suo giudizio dal verbale di ispettivo redatto in data 1/8/2003, in cui si dà atto che il ricorrente “partecipa personalmente al lavoro aziendale con abitualità e prevalenza”, nonchè dalla circostanza incontestata che egli era socio accomandatario detentore dell’85% delle quote di capitale sociale. A fronte di questo accertamento, le censure mosse con l’odierno ricorso appaiono generiche, dal momento che la parte si è limitata a contestare l’efficacia probatoria del verbale ispettivo senza tuttavia trascriverne il contenuto, sia pure nei soli tratti salienti, nè depositare il documento unitamente al ricorso per cassazione e senza, infine, offrire utili elementi per una sua facile reperibilità nel presente giudizio.

Qualora, infatti, il ricorrente per cassazione si dolga dell’omessa od erronea valutazione di un documento da parte del giudice del merito (come accade nella specie con riguardo al verbale di accertamento), per rispettare il principio di specificità dei motivi d’impugnazione e di autosufficienza – da intendere alla luce del canone generale “della strumentalità delle forme processuali” -, egli ha l’onere di indicare nel ricorso il contenuto rilevante del documento stesso, fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali e assolvendo, così, il duplice onere, rispettivamente previsto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, (a pena di inammissibilità) e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (a pena di improcedibilità del ricorso), nel rispetto del relativo scopo, che è quello di porre il Giudice di legittimità in condizione di verificare la sussistenza del vizio denunciato senza compiere generali verifiche degli atti e soprattutto sulla base di un ricorso che sia chiaro e sintetico (Cass. SU 11 aprile 2012, n. 5698; Cass. S.U. 3 novembre 2011, n. 22726).

14. Anche il profilo di censura riguardante la violazione dell’art. 437 c.p.c., e fondata sulla mancata ammissione da parte del giudice di merito dei mezzi istruttori richiesti, difetta di specificità, perchè la parte non trascrive i capitoli di prova di cui ha chiesto l’ammissione, così impedendo in questa sede il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che la Corte deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto ed alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (Cass. ord. 30 luglio 2010, n. 17915, principio affermato ai sensi dell’art. 360 c.p.c. bis, comma 1, Cass. 20 settembre 2013, n. 21632; Cass. ord. 3 gennaio 2014, n. 48).

15. – Così come non è riscontrabile alcuna violazione degli artt. 2697 e 2700 c.c., dal momento che nella sentenza impugnata non si rinvengono affermazioni in contrasto con i principi desunti dalle norme citate. La violazione potrebbe infatti ravvisarsi solo qualora il giudice avesse dichiarato espressamente di non dover osservare la regola di giudizio prevista dall’art. 2697 c.c., imponendo alla parte che si oppone alla pretesa contributiva l’onere di provarne l’inesistenza, laddove tale onere, riguardando i fatti costitutivi dell’obbligo contributivo, grava pacificamente sull’ente previdenziale, spettando invece all’opponente un onere di specifica contestazione (Cass. 6 novembre 2009, n. 23600; Cass. 26 novembre 2013, n. 26395), onere che la corte ha ritenuto non assolto (pag. 6, in fine, della sentenza).

Quanto ai verbali ispettivi, non è in discussione che essi non fanno fede dei fatti di cui i pubblici ufficiali hanno avuto notizia da altre persone, nè dei fatti della cui verità essi si siano convinti in virtù di presunzioni o di personali considerazioni logiche (Cass. n. 9111/95; Cass. n. 10569/01), ma ciò non esclude che essi possono essere posti a base del giudizio (Cass., 7 novembre 2014, n. 23800).

Nella specie, la Corte di merito ha applicato correttamente tali principi, giacchè il suo giudizio si è fondato non già sulla fede privilegiata del verbale ispettivo bensì sui dati da esso emergenti, valutati alla luce degli altri elementi come la qualità di socio accomandatario detentore dell’85% delle quote di capitale sociale e della mancanza di una specifica contestazione da parte del ricorrente.

Si è di fronte ad una motivazione certamente esistente (sicchè non sussiste l’omessa motivazione), oltre che sufficiente e priva di contraddizioni.

16. In proposito, deve ricordarsi che è principio acquisito dalla giurisprudenza di legittimità quello secondo cui “La motivazione omessa o insufficiente è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già quando, invece, vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione” (Cass., Sez. U, del 25/10/2013, n. 24148).

17. – Il quarto motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, in difetto della trascrizione del contenuto delle sentenze delle quali si invoca l’efficacia di giudicato, le quali peraltro non risultano depositate unitamente al ricorso, nè vi sono indicazioni per un loro facile reperimento nei fascicoli di parte o d’ufficio delle pregresse fasi del giudizio.

18. In definitiva, il ricorso deve essere rigettato. In considerazione del mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimato, non deve adottarsi alcun provvedimento sulle spese del presente giudizio.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2016

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