Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27567 del 30/10/2018

Cassazione civile sez. trib., 30/10/2018, (ud. 13/09/2018, dep. 30/10/2018), n.27567

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. D’ORIANO Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 22916/2013 R.G. proposto da:

Comune di Giulianova, in persona del Sindaco pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avv. Ferdinando D’Amario, con domicilio

eletto presso il suo studio in Roma, via Trionfale, n. 5637;

– ricorrente –

contro

S.E.C.I. – Società Esercizi Commerciali Industriali s.p.a., in

persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e

difeso dall’Avv. Andrea Zappalà, con domicilio eletto presso il suo

studio in Roma, via Ludovisi, n. 16;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale di

L’Aquila depositata il 22 aprile 2013;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 13 settembre

2018 dal Consigliere Cosimo D’Arrigo;

uditi gli Avv. Ferdinando D’Amario e Ilaria Napolitano per delega

dell’Avv. Andrea Zappalà;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Dr. Giacalone Giovanni, che ha concluso chiedendo il

rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La S.E.C.I. s.p.a. impugnava innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Teramo l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) emesso dal Comune di Giulianova per il recupero di ICI relativa a talune aree edificabili di proprietà della menzionata società. Il Comune resisteva osservando che la base imponibile per il calcolo dell’imposta era rappresentata dal valore di commercio dei fondi, quale desunto dall’atto di compravendita degli stessi.

La Commissione provinciale accoglieva il ricorso, rilevando che i valori delle aree edificabili delle quali si discuteva era stato fissato dallo stesso Comune con Delib. consiglio comunale digitale 26 maggio 2006, n. 45, dalla quale pertanto non poteva discostarsi.

Il Comune di Giulianova appellava la decisione deducendo che l’aver adottato una Delib. di approvazione del valore da prendere in considerazione ai fini della determinazione della base imponibile per il calcolo dell’ICI non escludeva che ai terreni potesse attribuirsi un diverso valore in presenza di elementi oggettivi (il prezzo dichiarato nell’atto di compravendita) che giustificavano una differente determinazione.

La S.E.C.I. s.p.a. si costituiva in giudizio e la Commissione tributaria regionale di L’Aquila rigettava l’appello.

Tale sentenza è stata fatta oggetto, da parte del Comune di Giulianova, di ricorso per cassazione articolato in quattro motivi. La S.E.C.I. s.p.a. ha resistito con controricorso illustrato da successive memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c.. Sostiene il ricorrente di aver dedotto in appello che sarebbe spettato alla controparte dimostrare che i terreni avessero un valore imponibile diverso da quello posto alla base dell’avviso di accertamento e che il giudice d’appello avrebbe totalmente omesso di esaminare la questione.

Il motivo è inammissibile in quanto non centra la ratio decidendi della sentenza impugnata. La Commissione tributaria regionale ha focalizzato la propria attenzione sul punto se il Comune che determini con proprio atto il valore di un’area edificabile ai fini ICI possa poi discostarsene, procedendo all’accertamento del valore effettivo di tali aree, senza modificare tale Delib. e basandosi su elementi di valutazione ad essa estranei, quale – nel caso in esame – il prezzo dichiarato nell’atto di compravendita dei terreni. A tale quesito il giudice d’appello ha dato risposta negativa, rilevando che il D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 59, nell’attribuire all’ente locale la potestà di stabilire parametri certi di applicazione dell’imposta, implicitamente esclude che, una volta adottata la relativa Delib., l’ICI possa essere calcolata in misura diversa. In sostanza, puntualizza la Commissione tributaria regionale, ove emergano diversi elementi di valutazione dell’effettiva base imponibile, sarebbe onere del Comune modificare la Delib. adottata ai sensi del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 59, prima di procedere ad esigere l’ICI in maggior misura.

E’ evidente che il motivo in esame non si confronta il ragionamento posto a fondamento della decisione impugnata ed è, pertanto, inammissibile.

D’altro canto, poichè – secondo la prospettazione della Commissione tributaria regionale – gli eventuali elementi fattuali idonei ad attribuire ad un’area edificabile un valore diverso da quello fissato dal Comune con apposita Delib. sono irrilevanti fino alla modifica della medesima Delib., l’eccezione del difetto di prova, del cui mancato esame si duole l’ente, doveva intendersi implicitamente rigettata, in quanto logicamente incompatibile con le conclusioni esplicitate nella sentenza impugnata.

2. Con il secondo motivo si deduce il difetto di motivazione del provvedimento impugnato.

Tale vizio non è più previsto fra i motivi di ricorso per cassazione, a seguito della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile alle sentenze pubblicate dall’11 settembre 2012. Pertanto, il sindacato di legittimità sulla motivazione è oggi ridotto al “minimo costituzionale”, nel senso che è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830). Nessuna di tali anomalie è stata convincentemente prospettata con il ricorso in esame, sicchè il motivo è inammissibile.

In realtà, la censura si riferisce alla parte della sentenza impugnata in cui la Commissione regionale avrebbe omesso di esaminare la questione del difetto di prova di quanto affermato da controparte. La doglianza è quindi sostanzialmente sovrapponibile o comunque strettamente connessa al vizio di minuspetizione denunciato con il primo motivo e si rileva infondata per le medesime ragioni già esposte al riguardo.

3. Con il terzo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 (Disposizioni sul processo tributario). La censura si rivolge contro il capo della decisione che esclude che l’area in questione fosse esterna al perimetro di efficacia della già menzionata Delib. consiglio comunale 26 maggio 2006, n. 45. In particolare, sostiene l’ente ricorrente che la Commissione tributaria regionale avrebbe fatto erronea applicazione del principio devolutivo dell’appello.

Il motivo è inammissibile.

Nella sentenza impugnata si osserva che l’asserzione difensiva secondo cui le aree in questione non ricadevano fra quelle oggetto della Delib. comunale di determinazione del valore imponibile ai fini ICI “non figura in alcun modo negli atti di primo grado, nè risulta trasfusa nell’atto di appello”. Il giudice di merito individua, quindi, una quaestio facti nuova e inammissibile, in quanto prospettata per la prima volta solamente nel corso della discussione orale e ripresa in una memoria integrativa.

Il successivo richiamo a “come si configura l’effetto d’evolutivo dell’appello” costituisce una considerazione ultronea, che non giova a sorreggere la ratio decidendi; questa, infatti, non si basa sulla mancata riproposizione in appello di una difesa formulata in primo grado, bensì sulla rilevazione del carattere assolutamente nuovo della stessa anche rispetto alle deduzioni formulate innanzi alla Commissione tributaria provinciale.

Pertanto, il motivo, interamente incentrato sulle problematiche dell’effetto devolutivo dell’appello, è inammissibile.

4. Con il quarto motivo si denuncia l’omessa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, che fa salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti in appello.

Il motivo è inammissibile per difetto del requisito di specificità richiesto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

Il Comune, infatti, sostiene che il giudice d’appello avrebbe dovuto esaminare il contenuto di una “dichiarazione del dirigente” che sarebbe valsa a dimostrare che le aree oggetto di accertamento ricadono in una zona territoriale non inclusa nelle tabelle di cui alla citata Delib. comunale digitale 26 maggio 2006, n. 45.

Omette, tuttavia, di riferire testualmente del contenuto di tale “dichiarazione” e di indicare in quale occasione tale documento sia stato ritualmente prodotto in giudizio e il punto esatto del fascicolo nel quale possa essere reperito. Il motivo, dunque, non è autosufficiente.

Inoltre, tale dichiarazione era volta a fornire la prova della quaestio facti che – come s’è già detto nel paragrafo precedente – la Commissione regionale ha ritenuto inammissibile, perchè formulata per la prima volta in grado d’appello.

Conseguentemente, la prova sarebbe stata comunque irrilevante.

5. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente, nella misura indicata nel dispositivo.

Ricorrono altresì i presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicchè va disposto il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione da lui proposta, senza spazio per valutazioni discrezionali (Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550).

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il Comune ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 13 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018

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