Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27563 del 21/11/2017


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 27563 Anno 2017
Presidente: SPIRITO ANGELO
Relatore: TATANGELO AUGUSTO

SENTENZA
sul ricorso iscritto al numero 17871 del ruolo generale dell’anno
2014, proposto

da
D’ALESSIO Claudio (C.F.: DLS CLD 61R24 G813E)
rappresentato e difeso, giusta procura a margine del ricorso,
dall’avvocato Alfredo Riccardi (C.F.: RCC LRD 67T27 C129N)
-ricorrentenei confronti di
ALFANOAnna Maria (C.F.: LFN NMR 75A71 Z112I)
VAIANO Flavio (C.F. VNA FLV 67R06H736L)
entrambi rappresentati e difesi, giusta procure allegate ai rispettivi controricorsi, dall’avvocato Candeloro Arpaia (C.F.: RPA CDL
52H20 B076Z)
-controricorrentenonché
LITTLE CAFÈ S.a.s. di Alfano Anna Maria & C., società cancellata dal registro delle imprese (C.F.: 03784560652), in
persona del socio accomandatario, legale rappresentante
pro tempore, Anna Maria Alfano
-intimataper la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Napoli

2,01/43itc3cA

n. 1726/2014, depositata in data 17 aprile 2014;
udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data
17 ottobre 2017 dal consigliere Augusto Tatangelo;

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LcL 23

Data pubblicazione: 21/11/2017

udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore
generale dott. Corrado Mistri, che ha concluso per il rigetto dei
primi quattro motivi del ricorso e per il parziale accoglimento del
quinto.

Fatti di causa
Claudio D’Alessio ha agito in giudizio nei confronti di Anna Maria
Arpaia e Flavio Vaiano, nonché della Little Cafè S.a.s., chiedendo

di notizie aventi contenuto diffamatorio nei suoi confronti.
La domanda è stata accolta dal Tribunale di Torre Annunziata.
La Corte di Appello di Napoli ha annullato la decisione di primo
grado, per la nullità della notificazione del relativo atto introduttivo, rimettendo le parti davanti al primo giudice ai sensi dell’art.
354 c.p.c..
Ricorre il D’Alessio, sulla base di quattro motivi.
Resistono con controricorso il Vaiano e la Alfano.
Non ha svolto attività difensiva in questa sede la società intimata.
Sia il ricorrente che i controricorrenti hanno depositato memorie
ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Ragioni della decisione
1. Ha carattere pregiudiziale la verifica della sussistenza della legittimazione e dell’interesse ad impugnare del ricorrente
D’Alessio.
Quest’ultimo si è costituito nel giudizio di secondo grado e, per
quanto emerge dalla sentenza impugnata (la circostanza non è
peraltro contestata, anzi è confermata nel ricorso), riconoscendo
la nullità delle notificazioni a tutti i convenuti dell’atto di citazione
introduttivo del giudizio davanti al tribunale, ha concluso chiedendo – in via principale – la rimessione della causa al giudice di
primo grado, ai sensi dell’art. 354 c.p.c., con compensazione delle spese di lite (solo in via gradata, e per l’ipotesi in cui fosse
stata ritenuta la regolarità delle notificazioni, ha chiesto il rigetto
del gravame dei convenuti e l’accertamento dell’avvenuto pas-

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il risarcimento di danni derivanti dalla diffusione a mezzo stampa

saggio in giudicato della sentenza di primo grado nei confronti
del Vaiano).
La corte di appello ha emesso una pronunzia totalmente conforme alle conclusioni di merito rassegnate dall’appellato in via
principale, dichiarando nulle le notificazioni degli atti introduttivi,
annullando di conseguenza la sentenza di primo grado e rimettendo la causa al primo giudice, ai sensi dell’art. 354 c.p.c. (ma

In questa situazione processuale, il D’Alessio non può ritenersi
soccombente (se non con riguardo al capo relativo alle spese
processuali, peraltro non oggetto di specifica impugnazione), in
quanto le conclusioni di merito da lui rassegnate in via principale
sono state integralmente accolte.
Va ribadito in proposito che la parte le cui conclusioni rassegnate
in via principale abbiano trovato integrale accoglimento non può
ritenersi soccombente, e dunque alla stessa non può riconoscersi
l’interesse e la conseguente legittimazione ad impugnare la decisione in relazione al mancato accoglimento delle conclusioni rassegnate in via subordinata (cfr. Cass., Sez. 2, Sentenza n. 1337
del 10/03/1981, Rv. 411952 – 01:

«poiché l’interesse

all’impugnazione è determinato dalla soccombenza, che si risolve
nel contrasto tra le richieste avanzate ed il contenuto della sentenza, l’adesione del convenuto alla domanda attrice, nel senso
di non opporsi alla pronunzia giudiziale invocata dalla controparte, preclude al convenuto medesimo la facoltà di proporre impugnazione avverso detta pronunzia»; nel medesimo senso: Sez.
1, Sentenza n. 1154 del 19/05/1962, Rv. 251901 – 01; Sez. 1,
Sentenza n. 838 del 03/05/1967, Rv. 326955 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 814 del 14/03/1968, Rv. 332086 – 01; Sez. 1, Sentenza
n. 3566 del 26/10/1968, Rv. 336762 – 01; Sez. L, Sentenza n.

5177 del 27/07/1983, Rv. 430041 – 01, la quale puntualizza che
«le conclusioni formulate dalla parte in via subordinata non costituiscono domanda In senso proprio, con la conseguenza che il loro accoglimento non esaurisce l’interesse ad agire, il quale è definito dalle conclusioni spiegate in via principale»;

anche in

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condannando al pagamento delle spese processuali il D’Alessio).

Cass., Sez. 2, Sentenza n. 6770 del 04/05/2012, Rv. 622152 01, si afferma il principio per cui

«nell’accertamento

dell’interesse all’impugnazione non si può prescindere dalla prospettazione delle domande formulata dalla parte, anche con specifico riferimento all’eventuale preferenza per l’accoglimento
dell’una domanda o dell’altra, rilevando in tal senso il principio
dispositivo e non potendo il giudice valutare una domanda come

renza nel quale la parte stessa l’abbia introdotta»).
Non può ritenersi contrastare con tale assunto la considerazione
che, ai fini dell’interesse ad impugnare, debba farsi riferimento
ad una nozione sostanziale e non meramente formale di soccombenza, secondo un principio affermato in numerose pronunzie di questa Corte, trattandosi di decisioni relative a situazioni
peculiari non assimilabili a quella per cui è causa, in cui la divergenza tra le conclusioni rassegnate e l’interesse effettivo della
parte era dovuta ad errori sui presupposti del diritto riconosciuto,
ritenuti scusabili, e non ad una consapevole determinazione, o
comunque riguardava aspetti della controversia in precedenza
non trattati, in cause aventi ad oggetto diritti indisponibili (cfr.
ad es.: Sez. U, Sentenza n. 1558 del 08/03/1986, Rv. 444932 01; Sez. L, Sentenza n. 6428 del 29/11/1988, Rv. 460755 – 01;
Sez. L, Sentenza n. 9684 del 28/09/1998, Rv. 519217 – 01; Sez.
L, Sentenza n. 2494 del 18/03/1999, Rv. 524273 – 01; Sez. 5,
Sentenza n. 6546 del 02/04/2004, Rv. 571795 – 01), ovvero di
casi in cui l’interesse all’impugnazione sorgeva dalla motivazione
posta concretamente a base della decisione e dalle relative implicazioni (come ad es. in Cass., Sez. 3, Sentenza n. 8326 del
03/05/2004, Rv. 572533 – 01), o di ipotesi in cui è stata semplicemente esclusa la sussistenza di un interesse sostanziale della
parte ad ottenere una modifica della decisione impugnata, al di
là delle conclusioni formalmente rassegnate (come ad es. in
Cass., Sez. 3, Sentenza n. 1902 del 11/02/2002, Rv. 552181 01).

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più vantaggiosa per la parte, senza riguardo all’ordine di prefe-

In ogni caso, al di là delle situazioni in cui – indipendentemente
dal tenore formale delle conclusioni rassegnate – la decisione
abbia nella sostanza riconosciuto o negato un bene della vita
concretamente reclamato in giudizio da una delle parti e contestato dall’altra, pare evidente a questa Corte che la legittimazione ad impugnare non possa del tutto prescindere
dall’atteggiamento processuale tenuto dall’impugnante e concre-

da questo rassegnate in relazione alle domande avverse, dovendosi considerare che lo stesso svolgimento del processo, tanto
nella determinazione del

thema decidendum

quanto

nell’individuazione del thema probandum, e quindi tanto nella
sua fase istruttoria quanto in quella decisoria, dipende ovviamente da tali conclusioni, di modo che, ad ammettere la legittimazione ad impugnare della parte le cui conclusioni siano state
integralmente accolte, si finirebbe per ledere il diritto di difesa
dell’altra ovvero per spostare inammissibilmente lo svolgimento
sostanziale del giudizio nel grado successivo.
Tutto ciò vale poi in particolar modo nelle cause attinenti a diritti
disponibili ed in relazione alle questioni di carattere processuale
che – come quella oggetto del presente giudizio – non attribuiscono o negano in via diretta e definitiva il bene della vita contestato, disponendo esclusivamente in relazione alle modalità di
svolgimento del giudizio (che nel caso di specie è stato ritenuto
dover avere nuovamente luogo davanti al giudice di primo grado).
Il ricorso del D’Alessio va pertanto dichiarato inammissibile, il
che esime dall’esame del merito dei singoli motivi posti a base
dello stesso.

2. Il ricorso è dichiarato inammissibile.
Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del
principio della soccombenza, come in dispositivo, con attribuzione al procuratore dei controricorrrenti, che ha reso la prescritta
dichiarazione di anticipo, ai sensi dell’art. 93 c.p.c..

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tizzatosi nelle domande da questo proposte e/o nelle conclusioni

Dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al
termine previsto dall’art. 1, co. 18, della legge n. 228 del 2012,
deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13,
co. 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dall’art. 1,

co. 17, della citata legge n. 228 del 2012.

per questi motivi

dichiara inammissibile il ricorso;

condanna il ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti, liquidandole per
ciascuno di essi in complessivi C 2.000,00, oltre C 200,00
per esborsi, nonché spese generali ed accessori di legge,
con distrazione in favore del procuratore costituito, avvocato Candeloro Arpaia.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del

2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del
2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, in data 17 ottobre 2017.

La Corte:

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