Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27562 del 30/10/2018

Cassazione civile sez. trib., 30/10/2018, (ud. 26/06/2018, dep. 30/10/2018), n.27562

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONDELLO A.P. Pasqualina – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. BERNAZZANI Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24158-2013 proposto da:

G. COSTRUZIONI DI G.A. SAS, elettivamente

domiciliato in CARDITO VIA CESARE BATTISTI 94 presso lo studio

dell’avvocato GIUGLIANO ANDREA, rappresentato e difeso dall’avvocato

BENITO ANTONIO ESPOSITO, giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE (OMISSIS) DI NAPOLI

UFFICIO CONTROLLI;

– intimato –

avverso la sentenza n. 61/2013 della COMM.TRIB.REG. di NAPOLI,

depositata il 20/02/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/06/2018 dal Consigliere Dott. PAOLO BERNAZZANI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VITIELLO Mauro, che ha concluso per l’accoglimento limitatamente ai

motivi 4-5-6-7 del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La società contribuente G. Costruzioni s.a.s. propone ricorso, affidato ad otto motivi, avverso la sentenza della CTR della Campania n. 61/28/2013, emessa il 11.2.2013 e depositata il 20.2.2013, che, rigettando l’appello proposto dalla stessa contribuente avverso la decisione di prime cure, ha confermato la validità della impugnata cartella di pagamento per Iva ed Irpef relative all’anno di imposta 2005, emessa a seguito di accertamento D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36-bis e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54-bis.

La sentenza impugnata, in particolare, ha rilevato che nella specie non era prevista a pena di nullità la c.d. comunicazione di irregolarità, trattandosi di iscrizione a ruolo e di cartella emessa per il recupero di omessi o tardivi versamenti di imposte dovute sulla base della dichiarazione del contribuente; che non sussisteva alcuna decadenza, essendo stato rispettato il termine, determinato ai sensi della L. n. 156 del 2005, per la notifica della cartella; che, in ordine al dedotto integrale pagamento del debito d’imposta, gli accertamenti disposti con ordinanza istruttoria, materialmente effettuati dall’A.d.E., avevano fatto emergere che quanto versato non corrispondeva a quanto dovuto dalla ricorrente; che era tardiva, in quanto proposta per la prima volta in appello, la questione relativa all’emendabilità in sede contenziosa delle dichiarazione fiscale ai fini IVA della società contribuente.

L’Agenzia delle Entrate è rimasta intimata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente, ai fini di una più compiuta disamina dei primi tre motivi di impugnazione da esaminare, è opportuno precisare che la ricorrente, con memoria depositata nel giudizio di appello – richiamata nel ricorso -, ha dedotto di avere integralmente versato le somme richieste nell’impugnata cartella in relazione al mod. 770 dalla stessa presentato ed ha, altresì, allegato, quanto al debito a titolo di IVA ed accessori, che l’Ufficio aveva ingiustificatamente iscritto a ruolo la somma di Euro 12.591,51 a titolo di sanzioni (30h) e interessi; secondo la ricorrente, invero, sulla quantificazione di tale somma aveva influito un errore dalla stessa commesso nella compilazione del quadro VH della dichiarazione con riferimento alle liquidazioni mensili, atteso che la contribuente avrebbe dovuto, in realtà, essere soggetta a liquidazione trimestrale; la stessa rilevava, quindi, di aver versato l’IVA dovuta in sede di dichiarazione annuale, ossia in ritardo per due scadenze (aprile e settembre), ma tempestivamente quanto alla scadenza di dicembre, onde l’importo delle sanzioni avrebbe dovuto essere ricalcolato in termini più contenuti, con conseguente illegittimità dell’iscrizione a ruolo di parte della somma richiesta.

1.1. Sul punto, la CTR, con ordinanza in data 8.10.2012, riservata ogni decisione in rito e sul merito, disponeva la verifica, a carico dell’Ufficio impositore, della riferibilità dei pagamenti effettuati dalla società alle poste richieste con la cartella, in relazione alla documentazione depositata dal contribuente. Con l’impugnata sentenza, infine, la Commissione ha affermato, da un lato, che i predetti accertamenti disposti con ordinanza istruttoria avevano fatto emergere che quanto versato non corrispondeva a quanto dovuto dal ricorrente e, dall’altro, che doveva considerarsi tardiva, in quanto proposta per la prima volta in appello, la questione relativa all’emendabilità in sede contenziosa delle dichiarazione fiscale del contribuente.

2. Ciò posto, con il primo motivo di ricorso la ricorrente deduce violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, avendo la CTR omesso di motivare sul punto decisivo costituito dalla emendabilità, anche in sede giudiziale, della dichiarazione fiscale del contribuente per errori di fatto o di diritto, avendo la stessa ritenuto l’inammissibilità della questione in quanto dedotta per la prima volta in appello.

2.1. Il motivo è infondato: la CTR, invero, non ha omesso di motivare sulla sussistenza di un errore del contribuente nella redazione della propria dichiarazione, sulla sua incidenza causale sul calcolo del quantum richiesto e sulla emendabilità dello stesso; la Commissione, all’opposto, ha esplicitamente affermato che la questione doveva ritenersi inammissibile in quanto prospettata per la prima volta nel giudizio di gravame e, pertanto, configgente con il divieto di nova in appello; statuizione che non poteva non precludere, sul piano logico-giuridico, l’esame nel merito della questione.

2.2. A ciò si aggiunga che la CTR ha, altresì, fornito adeguata motivazione in ordine al concorrente profilo costituito dai pagamenti effettuati dalla contribuente e dalla loro efficacia non estintiva della pretesa tributaria fatta valere con la cartella impugnata, onde anche sotto tale aspetto non sussiste il dedotto vizio motivazionale, ferma restando la preclusione in sede di legittimità di istanze dirette ad ottenere il riesame degli aspetti strettamente afferenti al merito della controversia.

3. Con il secondo motivo, si deduce violazione dell’art. 112 c.p.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, avendo la CTR omesso di rilevare che l’Ufficio non aveva integralmente ottemperato a quanto disposto con la citata ordinanza istruttoria, in particolare non verificando la sussistenza del dedotto errore di compilazione della dichiarazione IVA.

3.1. Il motivo risulta, innanzitutto, inammissibile per carenza di autosufficienza, non avendo la ricorrente minimamente riprodotto il contenuto della risposta dell’Ufficio concernente gli accertamenti eseguiti sulla base dell’ordinanza istruttoria della CTR, così non consentendo al Collegio di apprezzare, sulla base del ricorso, i presupposti della evocata doglianza (nel senso che il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci l’omessa od inesatta valutazione di atti o documenti prodotti in giudizio è onerato, a pena di inammissibilità del ricorso, non solo della specifica indicazione del documento e della chiara indicazione del nesso eziologico tra l’errore denunciato e la pronuncia emessa in concreto, ma anche della completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti e dei documenti così da rendere immediatamente apprezzabile dalla Suprema Corte il vizio dedotto, cfr. Cass. Sez. 5, 07/06/2017, n. 14107, Rv. 644546 – 01). E’, altresì, inammissibile in quanto il motivo, come reso evidente dalla sua formulazione, è, comunque, diretto ad ottenere il riesame di aspetti strettamente attinenti al merito della controversia.

3.2. Per completezza espositiva, infine, deve osservarsi che, anche a voler prescindere dai superiori rilievi, lo stesso risulterebbe comunque infondato, in quanto la pronuncia di inammissibilità della questione concernente l’emendabilità della dichiarazione per errori di fatto e/o di diritto commessi dal contribuente nella sua compilazione, a causa della sua novità, precludeva ogni possibilità di analizzare il materiale probatorio concernente lo stesso tema.

4. Con il terzo motivo, la ricorrente censura la decisione impugnata per violazione degli artt. 53 e 97 Cost., nonchè del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 23 e 54, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avendo statuito, da un lato, che la questione relativa alla emendabilità della dichiarazione era stata prospettata dal contribuente soltanto in appello e, pertanto, incorreva nel divieto di nuove eccezioni e, dall’altro, che l’Ufficio, costituitosi tardivamente in appello, non aveva assolto all’onere della prova della pretesa impositiva.

4.1. Con riferimento al primo dei profili evocati – la mancata espressa menzione del parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 non impedisce comunque di ricostruire la natura ed il contenuto della censura, alla luce dello svolgimento del motivo – le Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 13378 del 30/06/2016, Rv. 640206 – 01) hanno affermato che “In caso di errori od omissioni nella dichiarazione dei redditi, la dichiarazione integrativa può essere presentata non oltre i termini di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 se diretta ad evitare un danno per la P.A. (D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8), mentre, se intesa, ai sensi del successivo comma 8 bis, ad emendare errori od omissioni in danno del contribuente, incontra il termine per la presentazione della dichiarazione per il periodo d’imposta successivo, con compensazione del credito eventualmente risultante, fermo restando che il contribuente può chiedere il rimborso entro quarantotto mesi dal versamento ed, in ogni caso, opporsi, in sede contenziosa, alla maggiore pretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria”.

L’arresto delle Sezioni Unite pone in chiara evidenza che la dichiarazione dei redditi, nei limiti in cui costituisca dichiarazione di scienza, non è un elemento intangibile ma, di fronte alle richieste del Fisco, è suscettibile di emenda e ritrattazione, sì da influire sulla pretesa dell’erario.

L’emendabilità degli errori di fatto o di diritto, anche omissivi ed anche non meramente materiali o di calcolo, commessi dal contribuente nelle dichiarazioni fiscale (come gli errori di calcolo o liquidazione degli importi dei componenti positivi e negativi del reddito, l’inesatta qualificazione giuridica dei componenti di reddito, l’errata collocazione delle singole poste nelle voci del modello di dichiarazione ecc.), laddove da essi possano derivare oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli imposti dalla legge, rappresenta l’espressione di un principio generale del sistema tributario, ispirato all’art. 53 Cost. (ex multis, Cass. n. 11396 del 2015, n. 9872 del 2011). E ciò non solo nei limiti temporali in cui la legge prevede il diritto al rimborso, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, ovvero la dichiarazione integrativa nel termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, D.P.R. n. 322 del 1998, ex art. 2, comma 8-bis, ma anche in sede contenziosa, per opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell’amministrazione finanziaria (Cass. n. 3574 del 2014), fatti salvi i limiti temporali derivanti dall’esaurimento della fattispecie per trascorrere del tempo, o dal sopravvenire di decadenze; tale possibilità per il contribuente è stata pacificamente riconosciuta anche nei casi di diretta iscrizione a ruolo a seguito di mero controllo automatizzato (quando, beninteso, l’opposizione miri a limitare o contrastare la pretesa fiscale che si sia tradotta nell’emissione di una cartella esattoriale o di altro atto impositivo, ma non anche per introdurre una nuova e contrapposta richiesta di rimborso ovvero per far valere un credito da parte del contribuente: cfr. Cass. n. 21730 del 20/09/2017; Cass. n. 21242 del 13/09/2017).

4.2. Tali principi, peraltro, non possono non essere coordinati con la disciplina processuale, caratterizzata dal divieto di “nova” in appello, in quanto giudizio di tipo impugnatorio, circoscritto alla verifica della legittimità della pretesa effettivamente avanzata con l’atto impugnato, alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in esso indicati, ed avente un oggetto rigidamente delimitato dalle contestazioni mosse dal contribuente con i motivi specificamente dedotti nel ricorso introduttivo in primo grado, onde in sede di gravame le parti non possono proporre nuove domande ed eccezioni, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57.

Orbene, va osservato che tale divieto, come noto, riguarda, oltre alle domande, anche le eccezioni in senso tecnico, intese come lo strumento processuale con cui il contribuente, in qualità di convenuto in senso sostanziale nel giudizio di impugnazione di cartella esattoriale, fa valere un fatto giuridico avente efficacia impeditiva, modificativa o estintiva della pretesa fiscale, da cui deriva un mutamento degli elementi materiali del fatto costitutivo della pretesa ed il conseguente ampliamento del tema della decisione, implicando la deduzione di fatti che richiedono una specifica indagine, non effettuabile per la prima volta in appello.

In tale prospettiva, la deduzione da parte del contribuente di un errore nella compilazione della dichiarazione discendente dall’asserita erronea individuazione del regime fiscale applicabile ai fini Iva, con allegate ricadute sul piano del calcolo delle sanzioni, integra la deduzione di un fatto modificativo (o, se si vuole, parzialmente impeditivo) che comporta un ampliamento del thema decidendum e che integra, pertanto, eccezione in senso tecnico e non mera difesa, essendo quest’ultima limitata alla mera contestazione della pretesa tributaria senza immutare i fatti costitutivi della stessa, per come indicati nell’atto impositivo (Cass. Sez. 6 – 5, 07/06/2013, n. 14486, Rv. 627157 – 01; Cass. Sez. 6 – 5, 29/12/2017, n. 31224, Rv. 646995 – 01; Cass. Sez. 6 – 5, del 21/11/2016, n. 23587, Rv. 641749 – 01; Cass. Sez. 5, 22/09/2017, n. 22105, Rv. 645639 – 01).

Nel medesimo senso, questa Corte (Cass. Sez. 5, 28/12/2016, n. 27127, Rv. 642379 – 01) ha avuto modo di affermare che “nel giudizio d’impugnazione della cartella di pagamento emessa dall’Amministrazione finanziaria D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36-bis, spetta al contribuente, che “ritratta” la propria dichiarazione, fornire la prova, in applicazione dell’art. 2697 c.c., del fatto impedivo dell’obbligazione tributaria” (nella specie, l’asserita mancanza del requisito dell’autonoma organizzazione ai fini Irap da parte di un contribuente che aveva presentato la dichiarazione dei redditi affermando di essere soggetto all’Irap), così confermando la qualificazione di eccezioni in senso stretto delle deduzioni del contribuente volte a “correggere” il contenuto della dichiarazione dallo stesso presentata.

4.3. La decisione della CTR sul punto, attenendosi ai principi superiormente evidenziati, si sottrae alle dedotte censure; nè la ricorrente ha provato, e tantomeno allegato, di aver dedotto già nel giudizio di primo grado la prospettata questione, indicando in quale specifico atto ciò sia eventualmente avvenuto e riportandone il contenuto nella parte di rilievo, in ossequio al principio di autosufficienza.

Il motivo di ricorso, sotto il profilo in considerazione, deve essere, pertanto, rigettato.

4.4. Quanto alla seconda questione sollevata con il motivo in esame, relativo all’onere della prova in tema di opposizione a cartella di pagamento, la stessa è parimenti infondata, in quanto nel giudizio d’impugnazione della cartella di pagamento emessa D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36-bis, grava integralmente sul contribuente l’onere di provare la corrispondenza tra quanto versato e il ruolo oggetto della controversia; così, come già osservato, spetta allo stesso contribuente che “ritratta” la propria dichiarazione fornire la prova, ai sensi dell’art. 2697 c.c., del fatto impeditivo dell’obbligazione tributaria (conf. Cass. Sez. 5, 09/03/2018, n. 5728, Rv. 647217 – 02 Sez. 5, 28/12/2016, n. 27127, Rv. 642379 – 01).

In una prospettiva sostanzialmente analoga, questa Corte ha affermato il principio, al quale il Collegio intende dare continuità, che “nel giudizio tributario, la cartella emessa D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis non ha natura impositiva poichè deriva da una mera liquidazione dei tributi già esposti dal contribuente e, con riferimento alle sanzioni, da un riscontro meramente formale dell’omissione, sicchè, nel caso in cui dai dati esposti dal contribuente emerga un tardivo versamento delle ritenute operate, incombe sullo stesso l’onere di dimostrare l’erroneità della dichiarazione, mediante prova della data effettiva e della tempestività dei pagamenti delle retribuzioni e delle contestuali ritenute”. (Cass. Sez. 5, 15/01/2016, n. 548, Rv. 638334 – 01).

5. Il quarto ed il sesto motivo possono essere esaminati congiuntamente, alla luce della loro sostanziale sovrapponibilità.

5.1. con il quarto motivo, la ricorrente si lamenta violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54-bis, L. n. 212 del 2000, art. 6 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non aver ritenuto la nullità della cartella di pagamento impugnata per omesso invio della comunicazione di irregolarità, pur avendo lo stesso Ufficio ritenuto la stessa quale atto presupposto e necessario, tanto da menzionare la sua predisposizione (peraltro non seguita da notificazione) nella motivazione dell’opposta cartella.

5.2. Con il sesto motivo si censura, sempre a mente dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione della L. n. 212 ddel 2000, art. 6 in relazione al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, lamentando, parimenti, l’omesso invio al contribuente della comunicazione di irregolarità.

La contribuente richiama, in tale ottica, il complessivo contenuto del citato art. 6, che pone l’obbligo in capo all’amministrazione finanziaria di comunicare al contribuente gli atti a lui destinati ed i rilievi da cui possono derivare sanzioni, ponendo l’accento sulla previsione del comma 5, ossia sull’obbligo, previsto a pena di nullità, di invitare il contribuente, in caso di incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, “a fornire i chiarimenti necessari o a produrre documenti mancanti”.

5.3. I predetti motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, alla luce della loro stretta connessione, risultano infondati.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, “in tema di riscossione delle imposte, la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 6, comma 5, non impone l’obbligo del contraddittorio preventivo in tutti i casi in cui si debba procedere ad iscrizione a ruolo, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36 bis ma soltanto “qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione”, situazione, quest’ultima, che non ricorre necessariamente nei casi soggetti alla disposizione appena indicata, la quale implica un controllo di tipo documentale sui dati contabili direttamente riportati in dichiarazione, senza margini di tipo interpretativo; del resto, se il legislatore avesse voluto imporre il contraddittorio preventivo in tutti i casi di iscrizione a ruolo derivante dalla liquidazione dei tributi risultanti dalla dichiarazione, non avrebbe posto la condizione di cui al citato inciso”. (Cass. Sez. 6 – 5, 21/11/2017, n. 27716; Cass. Sez. 5, 12/04/2017, n. 9463, Rv. 643769 – 01).

La giurisprudenza di questa Corte, in particolare, ha individuato due possibili ipotesi nei controlli eseguiti ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, comma 3, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, comma 3: la prima di esse è ricollegabile al riscontro di errori od omissioni meramente materiali – come l’aver dichiarato un importo di imposta cui non corrisponda il conseguente versamento, oppure l’aver erroneamente effettuato il calcolo aritmetico in ordine al reddito percepito, agli oneri deducibili ed alle detrazioni ai fini della quantificazione dell’imposta dovuta -, casi nei quali con il controllo automatizzato si dà luogo alla correzione di un mero errore che non richiede interlocuzione con il contribuente e, dunque, comunicazioni preventive alla emissione della cartella. La seconda ipotesi, invece, comprende i controlli automatizzati che non richiedano un mero ricalcolo ma preventive rettifiche dei medesimi dati; essa, secondo Cass. Sez. 5, n. 1711/2018, Rv. 646922 – 01 va a sua volta distinta “in due sottoipotesi, il cui discrimine è segnato dalla presenza di incertezze su aspetti qualificabili come rilevanti o meno della dichiarazione; in tali ipotesi la comunicazione è dovuta, ma la sua omissione può costituire una mera irregolarità, non incidente sulla validità della cartella di pagamento successivamente emessa, qualora le incertezze riguardino aspetti meno rilevanti della dichiarazione; oppure può incidere più radicalmente sulla validità della procedura automatizzata di liquidazione dei tributi e sulla successiva cartella, qualora il diverso risultato del controllo riveli incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione”. (analoga prospettiva ispira anche Cass. Sez. 5, n. 13759/2016, Rv. 640341-01 secondo cui “ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, l’invio al contribuente della comunicazione di irregolarità, al fine di evitare la reiterazione di errori e di consentire la regolarizzazione degli aspetti formali, è dovuto solo ove dai controlli automatici emerga un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione ovvero un’imposta o una maggiore imposta e, comunque, la sua omissione determina una mera irregolarità e non preclude, una volta ricevuta la notifica della cartella, di corrispondere quanto dovuto con riduzione della sanzione, mentre tale adempimento non è prescritto in caso di omessi o tardivi versamenti, ipotesi in cui, peraltro, non spetta la riduzione delle sanzioni amministrative ai sensi del D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 2, comma 2”.

Per completezza ricostruttiva, va aggiunto che, in ipotesi di mancato versamento di imposta dichiarata dallo stesso contribuente, la previsione del preventivo invito al pagamento, contenuta nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 60, comma 6, quale adempimento prodromico alla iscrizione a ruolo dell’imposta, non è prevista a pena di nullità di tale iscrizione e degli atti successivi, ma comporta, in caso di omissione, una mera irregolarità, inidonea ad incidere sull’efficacia dell’atto, sia perchè non si tratta di condizione di validità – stante la mancata espressa sanzione della nullità -, avendo il previo invito al pagamento l’unica funzione di dare al contribuente la possibilità di attenuare le conseguenze sanzionatorie dell’omissione di versamento, sia perchè l’interessato può comunque pagare, per estinguere la pretesa fiscale, con riduzione della sanzione, una volta ricevuta la notifica della cartella. In tal senso, si è ritenuto che la predetta norma sia stata implicitamente caducata per effetto del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 13, comma 1, del che, nel ridurre la sanzione inizialmente prevista dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 44 (dal cento per cento al trenta per cento dell’importo non versato), ha fatto venir meno ogni interesse del contribuente ad un adempimento dal quale non potrebbe più trarre alcun vantaggio (cfr. Cass. sez. 6 5, n. 21676 del 23/10/2015, Rv. 636848 – 01; Cass. 20040/15; Cass. n. 3366/13; Cass. sez. 6 – 5, n. 18140 del 22/10/2012, Rv. 624273 – 01).

5.4. Nel caso di specie, i Giudici di merito hanno affermato, con accertamento in fatto incensurabile in questa sede, che la cartella aveva ad oggetto il mancato o tardivo versamento degli importi risultanti a debito della società contribuente in base alla sua stessa dichiarazione, con conseguente inesistenza di incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione. Nè, d’altro canto, il fatto che l’Ufficio abbia comunque dato atto di aver predisposto una comunicazione di irregolarità che la società afferma di non aver ricevuto può modificare le illustrate conclusioni, posto che, in ogni caso, tale adempimento non era previsto a pena di nullità, non avendo l’Ufficio proceduto alla rettifica dei dati indicati nella dichiarazione della ricorrente ed essendosi limitato ad attivare il procedimento di riscossione delle imposte auto-liquidate dalla società e dalla stessa non versate o tardivamente versate.

Ciò posto, non è configurabile nella specie alcuna delle violazioni di legge dedotte.

6. Con il quinto motivo, con cui si deduce violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, n. 4 e art. 61; art. 132 c.p.c., n. 4 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la ricorrente lamenta che la motivazione della decisione impugnata sarebbe viziata in quanto, nell’escludere la necessità di notificazione della comunicazione di irregolarità, si è limitata a richiamare per relationem un precedente giurisprudenziale (il richiamo, benchè non esplicitato nel ricorso, è evidentemente a Cass. Sez. 5, 28/10/2010, n. 22035), senza riprodurne i contenuti.

6.1. Il motivo è infondato, in quanto il richiamo alla pronuncia della Suprema Corte è formulato non in termini generici, ma specificamente confermativi del convincimento espresso dalla CTR in punto di insussistenza di un obbligo di emissione e/o notificazione dell’invito al versamento delle somme dovute in caso di iscrizione a ruolo e di emissione di cartella relativa all’imposta non versata dal contribuente così come risultante dalla dichiarazione dello stesso; dunque, il richiamo al precedente, anche se non trascritto nell’integralità del suo contenuto, consente pur sempre di enucleare il percorso logico giuridico seguito per pervenire alla decisione, onde l’autonomia e la esaustività del ragionamento decisorio e la riconducibilità dei fatti esaminati al principio di diritto richiamato risulta assicurata, così sottraendosi a censure di illegittimità (cfr. Cass. Sez. L, 03/06/2016, n. 11508, Rv. 639841 – 01; Cass. Sez. L, del 03/07/2015 n. 13708, Rv. 636457 – 01, secondo cui “Quando la motivazione richiama un orientamento giurisprudenziale consolidato, riportando anche le massime in cui esso si è espresso, la motivazione deve ritenersi correttamente esposta da tale richiamo, che rinvia – in evidente ossequio al principio di economia processuale e di ragionevole durata del processo, che giustifica ampiamente la mancata ripetizione delle argomentazioni di un orientamento giurisprudenziale consolidato, ove condivise dal giudicante e non combattute dal litigante con argomenti nuovi – appunto alla motivazione risultante dai provvedimenti richiamati, sicchè il dovere costituzionale di motivazione risulta adempiuto “per relationem”, per essere detta motivazione espressa in provvedimenti il cui contenuto è conoscibile”).

7. Con il settimo motivo di ricorso si allega violazione di legge, per gli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis.

7.1. Per una parte, il motivo si sovrappone e duplica quelli già esaminati sub 1, 2, 3, 4 e 6, nella parte in cui muove dal fatto che nella motivazione della cartella l’Ufficio dava atto di aver predisposto una comunicazione di irregolarità; dal che, secondo la ricorrente, dovrebbe desumersi o il rilievo di errori rilevanti commessi dal contribuente in sede di dichiarazione, con conseguente possibilità di emendare gli stessi in sede giudiziale senza incorrere in preclusioni di sorta, o il fatto che, in realtà, non si tratterebbe di controllo puramente formale ma di un’ipotesi di esercizio del potere accertativo che avrebbe richiesto la notifica di un vero e proprio avviso di accertamento.

In questa parte, premesso che la predisposizione della citata comunicazione da parte dell’Ufficio non significa necessariamente che essa fosse obbligatoria a pena di nullità, il motivo è infondato in forza delle medesime considerazioni già illustrate trattando dei motivi nn. 1, 2, 3 e 4,che qui si richiamano.

7.2. Sotto un secondo profilo, lamenta la ricorrente che, essendo il procedimento regolato dalla norma limitato “a casi tassativi”, il ricorso ad esso nella specie “non è legittimo in quanto l’omesso o insufficiente versamento e le sanzioni e gli interessi rappresentano casi non disciplinati” dalle norme in rassegna, richiedendosi al riguardo “l’emissione da parte dell’amministrazione finanziaria di un avviso di accertamento”.

Anche in questa parte il motivo è infondato.

Invero, la denunciata violazione è palesemente insussistente dal momento che gli artt. 36-bis e 54-bis citati prevedono espressamente – rispettivamente alla lett. f) ed alla lett. c) – il potere dell’amministrazione di “controllare la rispondenza con la dichiarazione e la tempestività dei versamenti…”, sicchè i rilievi operati dall’ufficio in tema di omesso, tardivo o insufficiente versamento ricadono esattamente nell’ambito delle richiamate disposizioni, i cui limiti di tassatività non risultano, perciò, violati neppure con riferimento all’irrogazione delle sanzioni e all’applicazione degli interessi, le une (Cass. Sez. 5, 28/01/2015, n. 1571) e gli altri (Cass. Sez. 6-5, 21/01/2014, n. 173/15) costituendo effetti legali delle violazioni.

8. Con l’ottavo motivo di ricorso si deduce violazione del D.L. 17 giugno 2005, n. 106, art. 5 ter (rectius, art. 1, comma 5 ter), lett. c) convertito in L. 31 luglio 2005, n. 156, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per avere la CTR affermato che la cartella in oggetto andava notificata, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre 2008, terzo anno successivo a quello di presentazione delle dichiarazioni, mentre, secondo la ricorrente, alla fattispecie avrebbe dovuto applicarsi la norma di legge citata, secondo cui il termine avrebbe dovuto scadere al 31 dicembre “del secondo anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo, per le somme dovute in base agli accertamenti d’ufficio”.

Il motivo è infondato.

In tema di accertamenti e controlli delle dichiarazioni tributarie D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis la legittimità della pretesa erariale è subordinata, alla luce dell’intervento legislativo realizzato con il D.L. n. 106 del 2005, art. 1, commi 5 bis e 5 ter, convertito nella L. n. 156 del 2005, alla notificazione della cartella di pagamento al contribuente entro il termine di decadenza ivi indicato.

In particolare, l’art. 1, comma 5-bis prevede che “Al fine di garantire l’interesse del contribuente alla conoscenza, in termini certi, della pretesa tributaria derivante dalla liquidazione delle dichiarazioni e di assicurare l’interesse pubblico alla riscossione dei crediti tributari, la notifica delle relative cartelle di pagamento è effettuata, a pena di decadenza: a) entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, con riferimento alle dichiarazioni presentate a decorrere dal 1 gennaio 2004(…)”. Il successivo comma 5-ter recita: “In conseguenza di quanto previsto dal comma 5-bis e al fine di conseguire, altresì, la necessaria uniformità del sistema di riscossione mediante ruolo delle imposte sui redditi e dell’imposta sul valore aggiunto:

a) al decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, sono apportate le seguenti modificazioni:

(…) 2) all’art. 25, comma 1, le parole da: “l’ultimo giorno del dodicesimo mese” fino a: “straordinario” sono sostituite dalle seguenti: “il 31 dicembre: a) del terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, per le somme che risultano dovute a seguito dell’attività di liquidazione prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis”.

Nella specie, tale termine è individuabile nel 31 dicembre 2009, trattandosi di dichiarazione presentata nell’anno 2006 in relazione all’anno di imposta 2005, con conseguente tempestività della cartella, notificata il 14 maggio 2009 (come ricordato dalla stessa sentenza della CTR in esame).

La ricorrente, per affermare l’applicabilità del diverso termine di cui all’art. 25, comma 1 cit., lett. c come modificato dal predetto D.L. n. 106 del 2005, art. 1, comma 5-ter (“secondo anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo, per le somme dovute in base agli accertamenti dell’ufficio”), postula che, a causa del mancato invio della comunicazione di irregolarità, l’Ufficio non avrebbe operato secondo le previsioni e modalità di cui agli artt. 36-bis e 54-bis cit. onde verrebbe a delinearsi un accertamento di ufficio.

Il venir meno di tale indimostrata premessa argomentativa, sulla base delle considerazioni che si sono ampiamente illustrate, comporta, invero, la carenza di fondamento della tesi in esame.

In conclusione, il ricorso deve essere, nel suo complesso, rigettato. Non v’è luogo a pronuncia sulle spese, essendo l’Agenzia rimasta intimata.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quanto dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 26 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018

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