Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27561 del 21/11/2017


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 27561 Anno 2017
Presidente: SPIRITO ANGELO
Relatore: VINCENTI ENZO

SENTENZA
sul ricorso 4095-2015 proposto da:
VALMORI SIMONE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE G.
MAZZINI 140, presso lo studio dell’avvocato PIERLUIGI LUCATTONI,
che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MASSIMO
MAMBELLI giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente contro
DOMUS NOVA S.P.A., in persona del Presidente del Consiglio di
Amministrazione Dott. STEFANO GRANDI, elettivamente domiciliata in
ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 35, presso lo studio dell’avvocato
MARCO VINCENTI, che la rappresenta e difende giusta procura speciale

AeS

in calce al controricorso;
GIANEZIO PARIBELLI, elettivamente domiciliato in ROMA,
V.ANTONIO GRAMSCI 9, presso lo studio dell’avvocato ARCANGELO
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Data pubblicazione: 21/11/2017

GUZZO, rappresentato e difeso dall’avvocato PIERGIORGIO
SANGIORGI giusta procura speciale a margine del controricorso;
– con troricorrenti –

avverso la sentenza n. 1429/2014 della CORTE D’APPELLO di
BOLOGNA, depositata il 06/06/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
CORRADO MISTRI, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato MARCO VINCENTI;
udito l’Avvocato PAOLA RESTAINO per delega orale.
FATTI DI CAUSA

1. – Simone Valmori convenne in giudizio la Casa di cura Domus
Nova e Gianezio Paribelli, medico ivi operante, per sentirli condannare
in solido al risarcimento dei danni patiti in conseguenza dell’intervento
chirurgico di ricostruzione del legamento crociato anteriore sinistro,
effettuato il 14 dicembre 1995 dal Paribelli presso l’anzidetta Casa di
cura, all’esito del quale ebbe a patire un deficit estensorio del ginocchio
sinistro.
L’adito Tribunale di Ravenna – nel contraddittorio con i convenuti
ed espletata, nel corso dell’istruzione probatoria, c.t.u. medico-legale
– respinse la domanda attorea con sentenza del marzo 2009.
2. – Avverso tale decisione proponeva impugnazione il Valmori,
che la Corte di appello di Bologna, con sentenza resa pubblica il 6
giugno 2014, rigettava.
2.1. – Per quanto ancora rileva in questa sede, la Corte territoriale
riteneva convincente la conclusione del c.t.u. sulla corretta esecuzione
dell’intervento chirurgico, in quanto valutazione basata “sugli atti ed in
particolare sulla documentazione clinica prodotta dall’odierno
appellante (relativa anche ai successivi ricoveri), che appare
estremamente precisa e non lacunosa”.

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17/10/2017 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI;

2.2. – Il giudice di appello, quindi, osservava, sulla scorta delle
risultanze della c.t.u., che l’unica evenienza eventualmente imputabile
al sanitario” [delle quattro cause possibili del deficit di estensione del
ginocchio del paziente, tra cui: a) fisiokinesiterapia non corretta; b)
anomala cicatrizzazione; c) crescita di tessuto nella gola
intercondiloidea] era quella del “posizionannento troppo anteriore del

cliniche della casa di cura che descrive l’intervento secondo la giusta
tecnica” e, peraltro, anche «nelle cartelle cliniche dei due ulteriori
ricoveri presso l’ospedale civile di Forlì, che descriveva il legamento
“ben sinovializzato, molto teso in estensione completa”, non venivano
descritti posizionamenti errati».
2.3. – La Corte felsinea soggiungeva, poi, che “se l’intervento non
fosse pienamente riuscito, il paziente non avrebbe potuto dopo nove
mesi riprendere l’attività agonistica e giocare il campionato” (di basket)
“senza problemi”, rilevando, altresì, che “le problematiche ulteriori
erano insorte dopo tre anni e mezzo, a causa della protratta attività
agonistica”, rendendo “necessari altri due interventi”.
3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre Simone Valmori
affidando le sorti dell’impugnazione a due motivi, illustrati da memoria.
Resistono con separati controricorsi Gianezio Paribelli e la Casa
di cura Domus Nova S.p.A.

RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Con il primo mezzo è denunciato, ai sensi dell’art. 360, primo
comma, n. 5, cod. proc. civ., “omesso esame di un fatto decisivo per il
giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in ragione alla
mancata valutazione delle risultanze processuali di cui alla consulenza
tecnica d’ufficio concernenti la lacunosità e le incongruenze delle
cartelle cliniche”.
La Corte d’appello avrebbe erroneamente escluso la
responsabilità della struttura sanitaria e del medico sulla base delle
risultanze della c.t.u. e della cartella clinica in atti, omettendo, tuttavia,
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tunnel tibiale”; ciò che “non si evince(va) dall’analisi delle cartelle

di considerare che la stessa cartella clinica non risultava completa, in
quanto carente di indicazioni circa la manovra operatoria effettuata e,
segnatamente, in ordine all’esatta posizione in cui il crociato fu
ricostruito (avuto riferimento al tunnel tibiale). La lacunosità della
cartella clinica avrebbe, dunque, precluso al giudice di appello qualsiasi
accertamento della causa effettiva del danno riportato e impedito di

l’onere probatorio gravante sulle controparti fosse stato assolto.
2. – Con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo
comma, n. 3, cod. proc. civ., “violazione di legge per irriducibile
contraddittorietà della motivazione e motivazione apparente”.
Il ragionamento seguito dalla Corte d’appello sarebbe affetto da
un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate (ossia, in
particolare, la riconducibilità della lesione all’attività sportiva
agonistica, ripresa dopo nove mesi dall’intervento chirurgico) e le
risultanze della c.t.u. recepite in sentenza (che mai avevano fatto
riferimento a detta causa); tale contrasto non consentirebbe
l’identificazione del procedimento logico giuridico posto alla base della
decisione di secondo grado.
Inoltre, l’apparenza di motivazione sarebbe riscontrabile anche
nel rilievo dato dal giudice di secondo grado alle cartelle cliniche dei
successivi ricoveri, a distanza di quattro e cinque anni dal primo
intervento chirurgico, che non avrebbero assolutamente alcun legame
con l’operato del Paribelli.
3. – I motivi, da scrutinarsi congiuntamente in quanto connessi,
non possono trovare accoglimento.
3.1. – Questa Corte, in più di un’occasione, ha affermato che, in
tema di responsabilità medica, la difettosa tenuta della cartella clinica
da parte dei sanitari non può pregiudicare sul piano probatorio il
paziente, cui anzi, in ossequio al principio di vicinanza della prova, è
dato ricorrere a presunzioni se sia impossibile la prova diretta a causa
del comportamento della parte contro la quale doveva dimostrarsi il
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apprezzare se l’intervento fosse stato correttamente eseguito e se

fatto invocato (tra le altre, Cass., 26 gennaio 2010, n. 1538; Cass., 27
aprile 2010, n. 10060; Cass., 31 marzo 2016, n. 6209).
In tale prospettiva si è, quindi, precisato che l’incompletezza
della cartella clinica è circostanza di fatto che il giudice di merito può
utilizzare per ritenere dimostrata l’esistenza d’un valido nesso causale
tra l’operato del medico e il danno patito dal paziente, essendo, però,

del medico e danno del paziente non possa essere accertata proprio a
causa della incompletezza della cartella, sia che il medico abbia
comunque posto in essere una condotta astrattamente idonea a
causare il danno (Cass., 12 giugno 2015, n. 12218).
3.2. – Nella specie, come evidenziato in sintesi ai §§ 2.1., 2.2. e
2.3. dei “Fatti di causa”, la Corte felsinea, correttamente collocandosi
nella delineata prospettiva, non solo ha escluso l’esistenza di carenze
nella documentazione prodotta in atti (ponendo anche in risalto che in
esse l’intervento chirurgico era descritto “secondo la giusta tecnica”),
ma, soprattutto, ha compiuto un accertamento in positivo sulla
insussistenza del nesso causale tra la condotta del chirurgo e l’evento
in pregiudizio del paziente (ossia, il deficit estensorio del ginocchio
sinistro), traendo siffatto convincimento anche dagli esiti delle ulteriori
cartelle cliniche prodotte dallo stesso attore, che non evidenziavano
“posizionamenti errati” del tunnel tibiale (né “problematiche inerenti al
primo intervento”: cfr. p. 6 sentenza di appello), altresì soggiungendo,
quale argomento rafforzativo del proprio convincimento, che l’aver il
Valmori nuovamente intrapreso l’attività agonistica sportiva (di
giocatore di basket) appena nove mesi dopo l’intervento chirurgico (per
poi protrarla per più di tre anni), dimostrava che l’intervento chirurgico
era stato correttamente effettuato dal Paribelli.
3.3. – Sicché, non è dato ravvisare il vizio veicolato (con il primo
motivo) ai sensi del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., giacché, oltre ad
essere stata esaminata dal giudice di appello la circostanza della
completezza della cartella clinica e della sua rappresentazione nella
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a tal fine necessario sia che l’esistenza del nesso di causa tra condotta

c.t.u. medico-legale espletata in corso di giudizio (là dove, poi, il
ricorrente non ha assolto l’onere, posto a pena di inammissibilità della
doglianza, di rendere pienamente intelligibili i contenuti della c.t.u.
medico-legale e delle cartelle cliniche versate in atti, dei quali fornisce
solo stralci decontestualizzati, oltre a non provvedere ad idonea
localizzazione processuale di detti atti, alla stregua di quanto imposto

carattere di decisività l’asserito omesso esame del fatto storico, stante
l’anzidetto accertamento in positivo comunque raggiunto dal giudice
del merito (segnatamente, in forza dell’ulteriore documentazione
clinica in atti) in ordine alla mancanza di nesso causale tra condotta
medica e danno lamentato dal paziente, ciò che rende inconsistente,
altresì, ogni ulteriore profilo di critica (seppur solo conseguenziale alla
censura su cui è imperniato il motivo) concernente gli esiti del riparto
dell’onere di prova in punto di causa rimasta ignota.
3.4. – E’, poi, da escludere, con tutta evidenza, che siano
riconoscibili nella motivazione della sentenza impugnata i caratteri
tipici del vizio in questa sede denunciabile (e veicolato con il secondo
motivo) ai sensi della norma di cui all’art. 132, primo comma, n. 4,
cod. proc. civ., in forza della quale il sindacato di legittimità è
circoscritto nell’alveo del c.d. “minimo costituzionale” della
motivazione, ossia di quella anomalia motivazionale che si tramuta in
violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente
all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della
sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze
processuali. Anomalia che si esaurisce nella “mancanza assoluta di
motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione
apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e
nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”,
esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della
motivazione (tra le tante, Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053).

dall’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ.), neppure assume

Nella specie, come messo in risalto anche al § 3.2. che precede
(oltre che nella già richiamata sintesi dei “Fatti di causa”), la
motivazione resa dalla Corte territoriale si snoda in guisa tutt’altro che
apparente, esibendo un percorso logico-giuridico intelligibile e non
affatto evidenziante insanabili contrasti tra asserzioni tra loro
inconciliabili: tali non essendo affatto quelle che attribuiscono rilievo

riguardanti proprio la sede anatomica dal medesimo attinta; né gli
argomenti che richiamano il pronto recupero all’attività sportiva del
paziente, i quali (sebbene non valorizzati dal c.t.u., in ogni caso) si
innestano coerentemente nel complessivo ragionamento del giudice del
merito (cui unicamente spetta ogni valutazione decisoria), fornendone
ulteriore supporto.
4. – Il ricorso va, dunque, rigettato e il ricorrente condannato al
pagamento, in favore di ciascuna parte controricorrente, delle spese
del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo in conformità ai
parametri del d.m. n. 55 del 2014.
PER QUESTI MOTIVI
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del giudizio di legittimità, che liquida, in favore di ciascuna parte
controricorrente, in euro 7.000,00, per compensi, oltre alle spese
forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro
200,00, e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002,

dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte
del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari
a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis del citato art.

13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione

alle risultanze cliniche successive all’intervento chirurgico, ma

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