Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27557 del 02/12/2020

Cassazione civile sez. lav., 02/12/2020, (ud. 23/09/2020, dep. 02/12/2020), n.27557

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7958-2015 proposto da:

I.L., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato VINCENZO RICCARDI;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONELLA

PATTERI, LUIGI CALIULO, SERGIO PREDEN;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 487/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 05/03/2014 R.G.N. 2480/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/09/2020 dal Consigliere Dott. LUIGI CAVALLARO.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza depositata il 5.4.2014, la Corte d’appello di Napoli ha confermato, con diversa motivazione, la pronuncia di primo grado che aveva rigettato la domanda di I.L. volta ad ottenere il beneficio della rivalutazione contributiva L. n. 257 del 1992, ex art. 13, per i periodi di lavoro in cui era stato esposto ad amianto in qualità di allestitore addetto al deposito-officina di (OMISSIS) dell’Azienda Napoletana Mobilità;

che avverso tale pronuncia I.L. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo cinque motivi di censura, successivamente illustrati con memoria;

che l’INPS ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il primo motivo, il ricorrente denuncia violazione dell’art. 2697 c.c. per avere la Corte di merito ritenuto, in contrasto con la documentazione versata in atti, che la presenza di significativi valori di concentrazione di amianto fosse stata accertata solo in due dei depositi-officina dell’azienda ove egli prestava servizio, con esclusione di quello cui egli era addetto;

che, con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 257 del 1992, art. 13, per avere la Corte territoriale ritenuto che il beneficio della rivalutazione spettasse in relazione alle mansioni espletate e non in funzione dell’esposizione all’amianto;

che, con il terzo motivo, la medesima censura di violazione di legge è reiterata per avere la Corte di merito ritenuto l’assenza di esposizione ultradecennale al rischio amianto, nonostante vi fossero in atti tutti gli elementi probatori;

che, con il quarto motivo, il ricorrente si duole di violazione degli artt. 421,437 e 213 c.p.c. per non avere la Corte territoriale disposto accertamenti d’ufficio al fine di pervenire comunque a chiarire la verità materiale;

che, con il sesto motivo, il ricorrente deduce violazione degli artt. 424 e 61 c.p.c. per non avere la Corte di merito fatto ricorso a CTU;

che il primo motivo è inammissibile, essendo consolidato il principio secondo cui una violazione dell’art. 2697 c.c. censurabile per cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 3 è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni, non anche quando – come nella specie – la censura concerna la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti, che invece è sindacabile in sede di legittimità entro i limiti dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. da ult. Cass. n. 13395 del 2018);

che il secondo motivo è infondato, evincendosi dalla sentenza impugnata che lo svolgimento di determinate mansioni piuttosto che di altre è stato utilizzato dai giudici territoriali soltanto come criterio per valutare la probabilità di una esposizione significativa del lavoratore alla sostanza morbigena (cfr. pagg. 14 – 15 della sentenza cit.);

che, con riguardo al terzo motivo, va preliminarmente ricordato che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità se non nei ristretti limiti dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. tra le più recenti Cass. nn. 24155 del 2017 e 3340 del 2019);

che, nella specie, il motivo di censura incorre precisamente nella confusione dianzi chiarita, dal momento che, pur essendo formulato con riguardo ad una presunta violazione delle disposizioni di legge indicate nella rubrica, pretende inammissibilmente di criticare l’accertamento di fatto che la Corte territoriale ha compiuto circa l’insussistenza, in specie, di prova di esposizione ultradecennale qualificata al rischio amianto;

che del pari inammissibile è il quarto motivo, giacchè, costituendo il potere discrezionale di cui all’art. 437 c.p.c. nient’altro che una manifestazione di quel potere-dovere volto a contemperare il principio dispositivo che regge il processo del lavoro con quello della ricerca della verità materiale (cfr. ad es. in tal senso Cass. n. 19305 del 2016), la sua censurabilità in sede di legittimità deve ritenersi possibile, analogamente a quanto previsto a proposito del simmetrico potere di cui all’art. 421 c.p.c., solo qualora la parte abbia preventivamente investito il giudice di una specifica richiesta in tal senso (cfr. Cass. n. 14731 del 2006), ciò di cui nel ricorso per cassazione non vi è traccia alcuna;

che infondato, infine, è il quinto motivo, atteso che il giudizio sulla necessità ed utilità di far ricorso allo strumento della consulenza tecnica rientra nel potere discrezionale del giudice del merito, la cui decisione è, di regola, incensurabile in sede di legittimità, salvo il caso che la decisione della controversia dipende unicamente dalla risoluzione di una questione tecnica, nel senso che i fatti da porre a base del giudizio non possono essere altrimenti provati ed accertati (Cass. n. 4853 del 2007 e, proprio con riferimento al rischio amianto, Cass. n. 6543 del 2017), ciò che nella specie è avvenuto, avendo fatto i giudici di merito ricorso a relazioni tecniche e consulenze tecniche d’ufficio disposte in altro processo e acquisite agli atti (cfr. pagg. 1516 della sentenza impugnata);

che il ricorso, conclusivamente, va rigettato, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, giusta il criterio della soccombenza;

che, in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 3.200,00, di cui Euro 3.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15 % e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 23 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2020

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