Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27556 del 21/11/2017


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Civile Ord. Sez. 3 Num. 27556 Anno 2017
Presidente: SPIRITO ANGELO
Relatore: ROSSETTI MARCO

ORDINANZA

sul ricorso 5404-2015 proposto da:
GALIZIA

VINCENZO,

MAGGI

ANNA,

elettivamente

domiciliati in ROMA, V.LE LIEGI 42, presso lo studio
dell’avvocato ROBERTO GIOVANNI ALOISIO, che li
rappresenta e difende unitamente all’avvocato LORENZO
DURANO giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrenti contro

COMUNE OSTUNI , in persona del Sindaco p.t. e legale
rappresentante, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
GOLAMETTO 4 (TEL 06.3724212), presso lo studio
dell’avvocato LORENZO GIUA, che lo rappresenta e
difende unitamente all’avvocato ALFREDO TANZARELLA

Data pubblicazione: 21/11/2017

giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 509/2014 della CORTE D’APPELLO
di LECCE, depositata il 08/07/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 10/10/2017 dal Consigliere Dott. MARCO

ROSSETTI;

2

R.G.N. 5404/15
Udienza del 10 ottobre 2017

FATTI DI CAUSA
1. Nel 2011 Vincenzo Galizia e Anna Maggi convennero dinanzi al
Tribunale di Brindisi, sezione di Ostuni, l’amministrazione comunale di
quest’ultima città, esponendo che:
(-) nel 1992 avevano acquistato un immobile sito in Ostuni,

(-) tale immobile era stato costruito in assenza di concessione
edilizia, e su un suolo abusivamente lottizzato;
(-) al momento dell’acquisto gli acquirenti avevano fatto
affidamento sulla regolarità amministrativa dell’immobile, dal
momento che al contratto di compravendita era stata allegata la
domanda di rilascio di concessione edilizia in sanatoria, presentata dai
venditori alle competenti autorità, e corredata delle ricevute di
pagamento della prescritta oblazione e degli oneri accessori;
(-) cionondimeno, in prosieguo di tempo i venditori vennero rinviati
a giudizio e condannati per il reato di lottizzazione abusiva, e l’immobile
da essi acquistato sottoposto a confisca penale;
(-) la confisca dell’immobile aveva loro arrecato un danno
patrimoniale, consistito sia nella perdita dell’immobile stesso, sia nella
vanificazione delle spese sostenute per la sua sistemazione e per il suo
miglioramento;
(-) di questo pregiudizio doveva

ritenersi responsabile

l’amministrazione comunale di Ostuni, per non avere impedito che sul
proprio territorio avvenisse una imponente lottizzazione abusiva, e la
successiva edificazione di 44 villini nella medesima area, in violazione
degli obblighi di vigilanza e controllo cui l’amministrazione era tenuta;
(-) se l’amministrazione comunale avesse con solerzia svolto tali
compiti, gli attori non sarebbero stati indotti in errore dai venditori
dell’immobile, in quanto quest’ultimo era stato edificato all’inizio degli
anni ’80: sicché, nei 12 anni intercorsi tra l’edificazione ed il rogito,

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contrada Abate Melchiorre n. 16;

R.G.N. 5404/15
Udienza del 10 ottobre 2017

l’amministrazione comunale avrebbe potuto, con l’uso dell’ordinaria
diligenza da essa esigibile, individuare l’abuso e reprimerlo, evitando
così che esso fosse portato a conseguenze ulteriori in danno degli ignari
acquirenti;
(-) in subordine, gli attori formularono una domanda di

dell’amministrazione comunale.

2. Con sentenza 27 maggio 2013 n. 66 il Tribunale di Brindisi,
sezione di Ostuni, rigettò la domanda.
La Corte d’appello di Lecce, con sentenza 8 luglio 2014 n. 509,
rigettò il gravame proposto dai soccombenti.
La Corte d’appello fondò la propria decisione sul duplice rilievo, da
un lato, che gli attori avessero incautamente acquistato un immobile
abusivo senza avere la certezza né della condonabilità dell’abuso, né
della regolarità della lottizzazione del suolo su cui quell’immobile era
sorto; e dall’altro che “causa” in senso giuridico del danno lamentato
dagli attori fu il reato di lottizzazione abusiva commesso dai venditori,
non la condotta del Comune.

3. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da
Vincenzo Galizia ed Anna Maggi, con ricorso fondato su sei motivi; ha
resistito il Comune di Ostuni con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso.
1.1. Col primo motivo di ricorso i ricorrenti sostengono che la sentenza
impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi
dell’art. 360, n. 3, c.p.c.. E’ denunciata, in particolare, la violazione
degli artt. 31, 35, 38,40 della I. 28.2.1985 n. 47; 30 del d.p.r. 6.6.2001
n. 380.

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ingiustificato arricchimento ex articolo 2041 c.c. nei confronti

c/

R.G.N. 5404/15
Udienza del 10 ottobre 2017

Deducono che la Corte d’appello avrebbe violato le suddette norme per
avere ritenuto che gli appellanti fossero in colpa per avere acquistato
un immobile abusivo. I ricorrenti sostengono che tale statuizione
sarebbe erronea, e articolano al riguardo una tesi giuridica così
riassumibile:

allegata la domanda di concessione in sanatoria;
(b) se l’atto d’acquisto non era nullo, il bene era commerciabile;
(c) ergo, se il bene era commerciabile, esso non poteva essere abusivo.

1.2. Il motivo è manifestamente infondato.
La Corte d’appello ha rigettato la domanda sul presupposto che gli
acquirenti dell’immobile fossero stati negligenti, per avere acquistato
un villino senza avere certezza della sua regolarità amministrativa. Tale
certezza, secondo la Corte d’appello, non poteva sussistere, giacché
all’atto di vendita era allegata soltanto la domanda di concessione in
sanatoria, ma non il provvedimento amministrativo di rilascio della
concessione in sanatoria.
Rispetto a tale decisione, sono inconferenti le norme richiamate dai
ricorrenti: la Corte d’appello ha infatti rigettato la domanda non perché
l’atto di vendita fosse nullo; ma sul presupposto che gli acquirenti
l’avessero stipulato incautamente.
Pertanto, se è vero che l’atto di vendita d’un immobile edificato in
violazione delle leggi urbanistiche, ma cui sia allegata l’istanza di
rilascio di concessione in sanatoria, non può dirsi nullo, ai sensi
dell’articolo 40 della legge n. 47/85, è altresì vero che stipulare un
contratto valido non vuol dire per ciò solo non essere stati incauti.
Nullità dell’atto e concausazione del danno da parte della vittima
(ai sensi dell’art. 1227 c.c.) sono infatti concetti eterogenei, sicché è

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(a) l’atto di acquisto dell’immobile non era nullo, perché al rogito era

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Udienza del 10 ottobre 2017

ben possibile stipulare un atto nullo senza colpa, ovvero stipulare un
atto valido, ma rovinoso, per propria negligenza.
La difesa dei ricorrenti confonde dunque il problema della validità
del negozio di vendita, con quello ben diverso della prevedibilità, da
parte degli acquirenti, del rischio che l’immobile fosse irregolare dal

La conclusione è che la Corte d’appello non ha violato l’articolo 40
della legge urbanistica n. 47 del 1985 (applicabile al presente giudizio
ratione temporis), né le altre norme invocate dai ricorrenti, perché non
ha affatto dichiarato nullo un contratto che era valido.
La Corte d’appello ha semplicemente ritenuto che acquistare un
immobile corredato solo da una domanda di concessione in sanatoria,
ma non del relativo provvedimento amministrativo, è un acquisto
incauto, e tale valutazione è ineccepibile, dal momento che:
(a) non tutti gli abusi edilizi sono condonabili (art. 33 I. 47/85)
(b)

in mancanza di un formale provvedimento di concessione in

sanatoria l’acquirente non può che formulare una generica previsione
sull’esito della domanda di rilascio della concessione in sanatoria, senza
averne però alcuna certezza;
(c) non è dato sapere, nel caso di specie, se l’opera rientrasse o meno
fra quelle assolutamente non condonabili;
(d)

il rilascio della concessione in sanatoria non vale a sanare

l’illegittimità derivante dall’essere stato l’immobile edificato su un
fondo abusivamente lottizzato, ai sensi dell’art. 35, comma 13, della
legge n. 47/85, applicabile ratione temporis al caso di specie.

1.3. I princìpi appena esposti non sono nuovi nella giurisprudenza di
questa Corte, la quale ha già più volte stabilito che:

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punto di vista urbanistico.

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Udienza del 10 ottobre 2017

(a) il rilascio d’una concessione in sanatoria “non estende i suoi effetti

convalidanti alla nullità del trasferimento del suolo” (Sez. 2, Sentenza
n. 19526 del 07/10/2005);
(b) è nulla la vendita di un immobile appartenente a lottizzazione
accertata in sede penale come abusiva, relativamente alla quale è

giustificare solo l’azione risarcitoria o restitutoria nei confronti del
venditore (Sez. 3, Sentenza n. 4070 del 03/05/1996);
(c) (quel che più rileva nel presente caso) la vendita d’un immobile
costruito senza concessione od in difformità dalla stessa, anche se
corredata della domanda di concessione in sanatoria, ha pur sempre
ad oggetto un bene che

“ancorché commercia/Dile, è pur sempre

esposto al rischio del rigetto della domanda di concessione in sanatoria”
(Sez. 2, Sentenza n. 1501 del 23/02/1999; Sez. 2, Sentenza n. 10276
del 16/05/2005).

2. Il secondo motivo di ricorso.
2.1. Col secondo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano il vizio di
nullità processuale, ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c., per avere la Corte
d’appello pronunciato la sua decisione ultra petita.
Deducono che, col loro atto d’appello, avevano chiesto alla Corte
d’appello di affermare che il Comune di Ostuni, per difetto di vigilanza,
non aveva impedito la realizzazione di un imponente programma
edificatorio edilizio, e che tale condotta omissiva aveva reso possibile
la successiva alienazione degli immobili così edificati a terzi incolpevoli,
concausando il danno da questi ultimi subiti.
La sentenza impugnata, invece (secondo la personalissima lettura
che di essa dànno i ricorrenti), rigettò la domanda sul presupposto che
causa della perdita patrimoniale degli acquirenti fu la confisca
dell’immobile; la confisca fu conseguenza del delitto di lottizzazione

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irrilevante la buona fede dell’acquirente, che, se dimostrata, può

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Udienza del 10 ottobre 2017

abusiva, e la lottizzazione abusiva fu commessa non certo dal Comune,
ma dai venditori dell’immobile.
Sostengono dunque i ricorrenti che la loro domanda, in quanto
avente ad oggetto l’accertamento di un illecito omissivo da parte
dell’amministrazione comunale, non consentiva alla Corte d’appello di

fosse l’autore del reato.

2.2. Il motivo è manifestamente infondato.
La Corte d’appello doveva stabilire se la perdita patrimoniale subita
dagli attori fosse ascrivibile alla condotta del Comune, ovvero
esclusivamente alla loro negligenza.
Ha optato per questa seconda soluzione, sul presupposto che la
confisca era avvenuta in conseguenza del delitto di lottizzazione
abusiva, e che al momento della stipula gli acquirenti non disponevano
di alcun elemento certo dal quale desumere la regolarità della
lottizzazione: di conseguenza, se decisero ugualmente di procedere
all’acquisto, ciò fecero a loro rischio e pericolo.
La Corte d’appello, pertanto, ha provveduto sulla esatta domanda
proposta dagli attori (risarcimento del danno), rigettandola sul
presupposto che il danno fosse stato concausato dagli attori a se stessi,
e non vi è stata alcuna violazione del principio di corrispondenza tra
chiesto e pronunciato

3. Il terzo motivo di ricorso.
3.1. Col terzo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano che la
sentenza impugnata sarebbe affetta sia da un vizio di violazione di
legge, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c. (si lamenta, in particolare, la
violazione degli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c.); sia dal un vizio di nullità
processuale, ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c..

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sindacare quale fosse la causa della confisca penale del bene, né chi

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Deducono, al riguardo, che nella motivazione della sentenza
impugnata la Corte d’appello ha affermato che gli appellanti avevano
domandato al giudice dell’esecuzione penale la revoca della confisca,
invocando la loro buona fede, e che tale istanza era stata rigettata.
In tal modo, secondo i ricorrenti, la Corte d’appello “in palese

gli estremi della decisione penale, pronunciando così una motivazione
nulla.

3.2. Il motivo è manifestamente infondato.
Solo, infatti, con una buona dose di nonchalance potrebbe definirsi
“nulla” per totale mancanza di motivazione la sentenza qui impugnata.
La Corte d’appello ha spiegato in modo non equivocabile perché ha
ritenuto non fondata la domanda attorea, ed il fugace riferimento alla
vicenda penale costituisce un mero obiter dictum nell’economia della
sentenza d’appello, le cui parti restanti sono ampiamente sufficienti a
sorreggere la decisione e renderla intelligibile.

4. Il quarto ed il quinto motivo di ricorso.
4.1. Il quarto ed il quinto motivo di ricorso possono essere
esaminati congiuntamente, perché pongono questioni analoghe.
Con essi i ricorrenti lamentano che la Corte d’appello avrebbe
violato sia l’articolo 2043 c.c. (quinto motivo), sia le norme speciali che
attribuiscono alle amministrazioni comunali il potere di vigilanza e
controllo del territorio.
Tali norme, secondo i ricorrenti, sarebbero state violate perché la
Corte d’appello ha negato che il Comune di Ostuni fosse in colpa, ed ha
negato in ogni caso che dalla sua condotta omissiva fosse derivata con
nesso causale immediato e diretto la confisca penale e di conseguenza
il danno lamentato dagli attori.

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violazione del principio di autosufficienza” avrebbe omesso di riportare

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Il nucleo delle censure formulate con ambedue i motivi consiste
dunque in ciò: che se il Comune di Ostuni avesse fatto il suo dovere,
la lottizzazione abusiva sarebbe stata prontamente intercettata; gli
immobili eventualmente realizzati sarebbero stati demoliti, e gli odierni
ricorrenti non avrebbero speso denari per acquistare un immobile poi

Col quinto motivo, inoltre, i ricorrenti lamentano altresì che la
sentenza impugnata sarebbe sostanzialmente immotivata, nella parte
in cui ha escluso la colpa del Comune ed il nesso di causa tra la condotta
di questo e il danno.

4 .2.

Ambedue i motivi sono manifestamente inammissibili.

Stabilire se tra una condotta omissiva ed un evento di danno
sussista o meno un valido nesso causale è un tipico accertamento di
fatto, riservato al giudice di merito e non sindacabile in sede di
legittimità.
I ricorrenti pertanto, se pure formalmente lamentano che la
sentenza impugnata abbia violato la legge, nella sostanza censurano il
modo in cui il giudice di merito ha ricostruito i fatti.
L’inammissibilità della censura in punto di contestazione del nesso
di causa rende superfluo esaminare il problema della colpa del Comune,
dal momento che anche in presenza d’una condotta colposa la ritenuta
inesistenza del nesso causale impedirebbe il sorgere della
responsabilità.

4.3. Nella parte, infine, in cui lamenta la nullità della sentenza per
mancanza di motivazione, il motivo è del pari inammissibile.
Un vizio della motivazione, per effetto della riforma dell’articolo 360,
in. 5, c.p.c., è censurabile in sede di legittimità solo in due casi: quando

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confiscato.

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Udienza del 10 ottobre 2017

una motivazione manchi del tutto, ovvero quando sia assolutamente
incomprensibile.
Le Sezioni Unite di questa Corte, infatti, nel chiarire il senso del
novellato art. 360, n. 5, c.p.c., hanno stabilito che per effetto della
riforma “è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che

attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal
testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le
risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza
assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella
“motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni
inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente
incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di
“sufficienza” della motivazione” (Sez. U, Sentenza n. 8053 del
07/04/2014).
Non sussiste, dunque, alcun vizio censurabile in sede di legittimità
né quando la motivazione, pur esistente, non sia logicamente
impeccabile; né quando il giudice abbia trascurato di dare conto di
alcuni elementi di prova, quando abbia comunque ricostruito il fatto
costitutivo della domanda o dell’eccezione ritenendo esaustive le altre
e diverse prove offerte dalle parti.
Nel caso di specie, La Corte d’appello ha negato il nesso di causa
tra la condotta dell’amministrazione comunale e il danno lamentato
dagli attori con quattro affermazioni:
(a) “causa” in senso giuridico del danno fu la commissione del reato
di lottizzazione abusiva, non la condotta del Comune (p. 7, terzo
capoverso);
(b) gli attori non avevano concretamente provato una condotta
colposa del Comune (ivi, quinto capoverso);

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..

si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto

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(c)

il terreno abusivamente lottizzato era distante dal centro

cittadino (ivi, sesto capoverso);
(d) al Comune erano state presentate 5.000 domande di rilascio di
concessione in sanatoria (ibidem).
Una motivazione di questo tipo non può dirsi né mancante, né

sentenza, ai sensi dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c..

6. Il sesto motivo di ricorso.
6.1. Col sesto motivo di ricorso i ricorrenti sostengono che la
sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge,
ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c.. E’ denunciata, in particolare, la
violazione degli artt. 1175 e 1375 c.c..
Deducono, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe violato gli
articoli 1175 e 1375 c.c., perché se il Comune di Ostuni avesse vigilato
sulla gestione del proprio territorio, si sarebbe avveduto che l’immobile
acquistato dai signori Galizia-Maggi era stato edificato su un suolo
abusivamente lottizzato, ed avrebbe provveduto a comunicare
tempestivamente il diniego di rilascio della concessione in sanatoria. Il
mancato compimento di tale atto dovuto indusse dunque in errore gli
attori, e si sarebbe dovuto considerare la causa del danno da essi patito.

6.2. Il motivo è manifestamente infondato.
L’art. 1375 c.c. disciplina la condotta di chi ha stipulato un contratto,
che nel nostro caso ovviamente manca. Violazione di quella norma
dunque, da parte della Corte d’appello, non poté esservi, perché quella
norma non doveva applicarsi nel caso concreto.
Quanto all’art. 1175 c.c., il dovere di correttezza ivi previsto
presuppone l’esistenza almeno d’un rapporto obbligatorio che preesista

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inintelligibile, e ciò basta ad escludere l’invocato vizio di nullità della

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alla violazione del dovere di correttezza, come rende evidente il
riferimento alle figure del “debitore” e del “creditore”.
Nel caso di specie, invece, gli attori hanno invocato nei confronti
dell’amministrazione Comunale una tipica responsabilità da fatto
illecito: e da molti secoli, per definizione, la responsabilità da fatto

preesistenza d’un vincolo obbligatorio tra danneggiante e danneggiato.
In materia di fatti illeciti, pertanto, l’art. 1175 c.c. è insuscettibile
di applicazione, perché prima del fatto illecito vittima e responsabile
non sono legati da alcuna obbligazione, e non è mestieri parlare di
“correttezza” nell’adempimento; dopo il fatto illecito è sorta
l’obbligazione risarcitoria, e solo rispetto a quest’ultima sarebbe
concepibile la violazione del dovere di correttezza nell’adempimento.
Ove, poi, col riferimento ai doveri di correttezza e buona fede, gli
attori avessero inteso (sia pure impropriamente) sostenere che il
Comune si sarebbe dovuto comunque ritenere responsabile, per avere
tenuto una condotta colposa, il motivo resta assorbito dal rigetto del
quarto e del quinto motivo di ricorso. Infatti, una volta passata in
giudicato la statuizione con cui la Corte d’appello ha escluso il nesso di
causa tra la condotta del Comune ed il danno, diventa irrilevante
stabilire se la condotta tenuta dal Comune fu imprudente, imperita o
negligente.

7. Le spese.
7.1. Non è luogo a provvedere sulle spese del presente giudizio di
legittimità, a causa dell’inammissibilità del controricorso del Comune di
Ostuni.
L’inammissibilità va dichiarata per difetto della procura.
Il Comune di Ostuni si è infatti difeso col ministero degli avvocati
Alfredo Tanzarella e Lorenzo Giva, i quali nell’epigrafe del controricorso

Pagina 13

illecito si distingue da quella contrattuale perché prescinde dalla

9,/

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Udienza del 10 ottobre 2017

hanno dichiarato di essere legittimati a tanto “giusta mandato in calce

al presente atto”.
Sull’ultima pagina del controricorso, che non costituisce continuazione
del testo presente sulle altre pagine, è impresso a stampa il seguente
testo:

Avv. Alfredo Tanzarella, avv. Lorenzo Giva
nella mia qualità di sindaco del Comune di Ostuni e giusta deliberazione
G.C. n. 46 del 2 marzo 2015 esecutiva, vi conferiscono mandato per
rappresentare e difendere il Comune di Ostuni in ogni stato e grado
della presente procedura, conferendo ogni facoltà di legge, compresa
quella di transigere, conciliare, nominare sostituti consulenti tecnici di
parte, chiamare in causa terzi.
Eleggo con voi domicilio in Roma, via Golametto, 4 (studio avv. Giva).
Ostuni [senza data].
Seguono le firme del sindaco e degli avv.ti Alfredo Tanzarella e Lorenzo

Giva.

7.2. La procura sopra trascritta e priva del requisito della specialità
richiesta dall’art. 365 c.p.c..
Come noto, “procura speciale” è quella che sia conferita al solo ed
esclusivo scopo di proporre un ricorso per cassazione (e non un
qualsiasi giudizio), ed avverso una ben determinata sentenza (e non
una sentenza purchessia, anche eventuale o futura).
Il requisito della specialità va dimostrato attraverso la riferibilità
della procura alla sentenza impugnata: e dunque vuoi apponendo la
procura in margine al ricorso (sul presupposto che chi sottoscriva una
procura in margine al ricorso non può non conoscere e far proprio il
contenuto di tale atto); vuoi, se la procura sia apposta in calce al

Pagina 14

“Procura speciale

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Udienza del 10 ottobre 2017

ricorso, richiamando nel testo di essa gli estremi della sentenza che si
intenda impugnare.
Nel caso di specie:
– la procura è apposta in calce, a non al margine del ricorso;
– nel testo di essa manca qualsiasi riferimento alla sentenza impugnata

“deliberazione G.C. n. 46 del 2.3.2015”);
– quel che più rileva, la procura assegna ai due avvocati cui venne
conferita poteri inconcepibili rispetto alla struttura del giudizio di
legittimità: tali sono il potere di “nominare consulenti di parte” e

“chiamare in causa terzi”.
Sicché, mancando il requisito della certa riferibilità della procura al
controricorso, manca di conseguenza il requisito della specialità di essa,
come già affermato da questa Corte (segnatamente da Sez. 6 – 3,
Ordinanza n. 18257 del 24/07/2017, la quale ha stabilito che

“è

inammissibile il ricorso per cassazione allorquando la procura, apposta
su foglio separato e materialmente congiunto al ricorso ex art. 83,
comma 2, c.p.c., contenga espressioni incompatibili con la proposizione
dell’impugnazione ed univocamente dirette ad attività proprie di altri
giudizi e fasi processuali”).

7.3. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà
atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte
ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater,
d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (nel testo introdotto dall’art. 1, comma
17, legge 24 dicembre 2012, n. 228).
Per questi motivi
la Corte di cassazione:
(-) rigetta il ricorso;

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(ovviamente insufficiente, in tal senso, è il mero e criptico rinvio alla

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(-) dichiara inammissibile il controricorso;
(-) dichiara non luogo a provvedere sulle spese;
(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dall’art. 13, comma 1
quater, d.p.r. 30.5.2002 n. 115, per il versamento da parte di Vincenzo
Galizia e Anna Maggi, in solido, di un ulteriore importo a titolo di

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile
della Corte di cassazione, addì 10 ottobre 2017.

contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

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