Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27550 del 30/10/2018

Cassazione civile sez. trib., 30/10/2018, (ud. 20/04/2018, dep. 30/10/2018), n.27550

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 28805/2011 R.G. e sui ricorsi riuniti

iscritti ai nn. 28803/2011, 28806/2011, 28808/2011, 28809/2011,

4481/2012 e 4603/2012 proposti da:

Gruppo Z. Costruzioni s.r.l. (incorporante della Edizioni

Ciociare s.r.l.), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, viale Mazzini n. 123, presso lo

studio dell’avv. Maria Cuozzo, rappresentato e difeso dall’avv.

Rocco Baldassini, giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente (proc. nn. 28805, 28803, 28806, 28808 e 28809 del 2011)

– controricorrente (proc. nn. 4481 e 4603 del 2012) –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente (proc. nn. 28805, 28803, 28806, 28808 e 28809 del

2011) –

– ricorrente (proc. nn. 4481 e 4603 del 2012) –

avverso le sentenze della Commissione tributaria regionale del Lazio,

sezione staccata di Latina, nn. 645/40/10, 643/40/10, 644/40/10,

646/40/10, 649/40/10, 647/40/10 e 648/40/10, tutte depositate il 22

dicembre 2010.

Udito il P.M., nella persona del sostituto procuratore generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per l’inammissibilità o, in

subordine, per il rigetto dei ricorsi nn. 28805, 28803, 28806, 28808

e 28809 del 2011, nonchè per l’accoglimento dei ricorsi nn. 4481 e

4603 del 2012.

Udita la relazione delle cause riunite svolta nella pubblica udienza

del 20 aprile 2018 dal Consigliere Dott. Giacomo Maria Nonno e dal

Consigliere Pierpaolo Gori (limitatamente al proc. n. 28803/2011).

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con le sentenze indicate in epigrafe la CTR del Lazio, sezione distaccata di Latina: a) accoglieva gli appelli proposti dall’Agenzia delle entrate avverso le sentenze della CTP di Latina nn. 507/01/08, 229/05/07, 510/01/08, 509/01/08 e 508/01/08, che avevano a loro volta accolto l’impugnazione della Edizioni Ciociare s.r.l., poi incorporata nella Gruppo Z. Costruzioni s.r.l. (d’ora in avanti solo Z.), nei confronti di alcuni avvisi di accertamento a fini IRPEG, IRAP e IVA con riferimento agli anni d’imposta 1999-2003; b) respingeva gli appelli proposti dall’Agenzia delle entrate avverso le sentenze della CTP di Latina nn. 60/02/09 e 61/02/09, che avevano accolto l’impugnazione della Edizioni Ciociare s.r.l. nei confronti di alcuni atti di contestazione e irrogazione sanzioni a fini IRPEG, IRAP e IVA inerenti agli accertamenti di cui sub a) e relativi al periodo 20002003.

1.1. Come si evinceva dalle varie sentenze della CTR: a) la Edizioni Ciociare s.r.l. in data 5/05/1999 aveva stipulato un contratto, poi più volte modificato, con la Effe Cooperativa Editoriale s.r.l. in forza del quale la prima aveva affidato la propria testata giornalistica “(OMISSIS)” alla seconda, che si era impegnata a gestire la testata stessa, al fine di curarne la collocazione sul mercato, non avendo l’affidante il know-how necessario; b) l’Agenzia delle entrate contestava alla affidante la circostanza che la stipulazione dei contratti di affidamento aveva avuto “lo scopo di creare costi che la società poteva ammortizzare subito e incondizionatamente”, sicchè le parti non avevano “stipulato effettivamente un contratto di gestione, ma si erano avvalse di detta contrattazione per poter dedurre con immediatezza i costi”, con conseguente violazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 108 e della normativa relativa al recupero dell’IVA, nonchè irrogazione delle relative sanzioni; c) la CTP accoglieva i ricorsi proposti dalla ricorrente sul presupposto che tra le due società fosse stato stipulato un effettivo contratto di affidamento, con l’indicazione, di prestazioni e relativi compensi e, conseguentemente, riteneva che non erano dovute le comminate sanzioni; d) le sentenze della CTP venivano tutte impugnate dalla Agenzia delle entrate.

1.2. La CTR motivava la propria decisione (accoglimento dell’appello con riferimento agli avvisi di accertamento, rigetto dell’appello con riferimento agli atti di contestazione sanzioni) evidenziando che: a) occorreva prendere le mosse dalla qualificazione giuridica dei contratti di affidamento stipulati tra la Edizioni Ciociare e la Effe Cooperativa, con i quali le parti avevano inteso utilizzare uno strumento contrattuale formalmente lecito finalizzandolo all’ottenimento di un risultato vietato dall’ordinamento giuridico, qual è l’elusione fiscale (cd. abuso del diritto); b) le somme versate dalla Edizioni Ciociare alla Effe Cooperativa, dapprima a nessun titolo e quindi per lo sviluppo della testata, costituivano in realtà dei finanziamenti indeducibili ai fini delle imposte dirette e indetraibili a fini IVA, che, per lo più, non avevano alcun riferimento ai deficit gestionali della Effe Cooperativa, a fronte dei quali non era previsto il pagamento di interessi; c) il canone concordato per l’utilizzo della testata da parte della Effe Cooperativa era stato previsto “nella misura apodittica e non controllabile del 50% degli utili risultanti dal bilancio di questa attività”, successivamente modificato in un valore di lire 14.000.000 e, quindi, aumentato a lire 180.000.000, misura comunque inferiore al finanziamento versato; d) ulteriori elementi a sostegno della tesi elusiva erano costituiti dall’esonero da ogni responsabilità concordato con il contratto del 15/11/2000; dalla mancata presentazione di un piano di redazione da parte della Effe Cooperativa; dalla necessaria approvazione del direttore responsabile della testata giornalistica da parte della Edizioni Ciociare; e) quanto alle sanzioni, si evidenziava che l’attuale sistema sanzionatorio amministrativo tributario era dominato dal principio di legalità o della riserva di legge; conseguentemente, poichè l’abuso del diritto “è previsto dal sistema comunitario costituzionale, ma non dal nostro ordinamento, che pertanto non può avere ipotizzato nessuna sanzione”, si doveva concludere per l’annullamento delle sanzioni.

2. Avverso le sentenze della CTR relative agli avvisi di accertamento la Z. proponeva tempestivi ricorsi per cassazione (proc. nn. 28805, 28803, 28806, 28808 e 28809 del 2011), tutti affidati a tre motivi di analogo contenuto; l’Agenzia delle entrate, invece, impugnava le sentenze della CTR relative agli atti di contestazione con distinti ricorsi (proc. nn. 4481 e 4603 del 2012), entrambi affidati a due motivi.

3. Sia l’Agenzia delle entrate che la Z. resistevano con controricorso; la prima depositava memorie ex art. 378 cod. proc. civ. con riferimento a tutte le cause salvo che per il proc. n. 28808/2011; la seconda depositava memorie nelle cause riguardanti i soli avvisi di accertamento.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va pregiudizialmente disposta la riunione di tutti i procedimenti pendenti a quello recante il n. 28805/2011, vertendo le cause tra le stesse parti ed essendo indiscutibile la connessione oggettiva delle questioni da affrontare.

1.1. Invero, “la riunione delle impugnazioni, che è obbligatoria, ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., ove investano lo stesso provvedimento, può altresì essere facoltativamente disposta, anche in sede di legittimità, ove esse siano proposte contro provvedimenti diversi ma fra loro connessi, quando la loro trattazione separata prospetti l’eventualità di soluzioni contrastanti, siano ravvisabili ragioni di economia processuale ovvero siano configurabili profili di unitarietà sostanziale e processuale delle controversie” (così Cass. S.U. n. 1521 del 23/01/2013).

I procedimenti concernenti le impugnazioni avverso gli avvisi di accertamento (proc. nn. 28805, 28803, 28806, 28808 e 28809 del 2011).

2. Con il primo motivo di ricorso nei procedimenti sopra menzionati la Z. deduce insufficiente motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nonchè violazione e falsa applicazione dei principi in materia di abuso del diritto, evidentemente in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

1.1. In buona sostanza, si sostiene che la CTR non ha motivato in maniera sufficiente e adeguata il proprio convincimento, avendo trascurato: a) di tenere conto delle ragioni economicamente apprezzabili che hanno condotto la società contribuente a stipulare il contratto di affidamento con la Effe Cooperativa (mancanza di know-how e di organizzazione necessaria per curare in proprio la pubblicazione della testata “(OMISSIS)”), tenuto anche conto che la testata sarebbe rientrata nella disponibilità dell’affidante alla scadenza del contratto; b) di considerare che per i primi due anni la Edizioni Ciociare non ha realizzato nessun risparmio di imposta e che, quindi, il risparmio d’imposta non potrebbe costituire la ragione che ha spinto la società alla stipula del contratto di affidamento; c) il risparmio di imposta ottenuto per i successivi tre anni è, comunque, di gran lunga inferiore alle somme impiegate, ragion per cui lo scopo del contratto di affidamento risiederebbe altrove.

3. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziandosi che i successivi contratti stipulati dalla società contribuente con la Effe Cooperativa non integrano gli estremi degli atti, fatti o negozi con finalità elusiva specificamente indicati dalla disposizione richiamata e che l’avviso di accertamento è stato emanato in mancanza della previa richiesta di chiarimenti al contribuente in ordine all’esistenza di comportamenti elusivi.

4. Con il terzo motivo di ricorso si contesta, in via principale, l’insufficiente motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e, in via subordinata, la violazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 2 e 19, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

4.1. Sotto il primo profilo, posto che il fatto controverso è costituito dalla qualificazione quali cessioni di denaro senza giustificazione dei trasferimenti di somme della Edizioni Ciociare alla Effe Cooperativa, si evidenzia come tale assunto deve ritenersi insufficientemente motivato alla luce del contratto stipulato in data 15/11/2000, secondo il quale tali trasferimenti devono essere inquadrati come adempimenti prestati per sostenere finanziariamente lo sviluppo della testata giornalistica “(OMISSIS)”.

4.2. Sotto il secondo profilo, si sottolinea come tale inquadramento dei trasferimenti di denaro dalla società affidante alla società affidata impedirebbe la loro sussunzione sotto la fattispecie regolata dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 2,comma 3, lett. a), (non costituiscono cessioni di beni “le cessioni che hanno oggetto denaro o crediti di denaro”) e la stessa configurabilità dell’abuso del diritto, in quanto per il principio della neutralità dell’IVA non sarebbe stato conseguito alcun vantaggio fiscale.

5. I motivi, tutti involgenti la problematica dell’abuso del diritto, possono essere esaminati congiuntamente e sono infondati per quanto subito si dirà, anche se la motivazione della CTR va corretta ex art. 384 c.p.c., comma 4.

5.1. Dagli avvisi di accertamento, per come riassunti in ricorso, si evince che l’Ufficio ha fondato la ripresa, sotto il profilo delle imposte dirette, sul comportàmento antieconomico della Edizioni Ciociare, che ha versato alla Effe Cooperativa contributi in misura non predefinita e, comunque, superiori al canone che quest’ultima avrebbe dovuto corrispondere alla prima per l’affidamento della testata. Tali contributi, qualificati come costi di start up e capitalizzati tra le immobilizzazioni immateriali assoggettate ad ammortamento in quote quinquennali, costituirebbero in realtà dei finanziamenti a fondo perduto indeducibili, anche sotto il profilo del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 108, comma 4, prevedendone tale norma la deducibilità unicamente a far data dall’esercizio in cui sono conseguiti i primi ricavi.

Per quanto riguarda l’IVA, invece, i contributi versati dalla società affidante alla società affidataria dovrebbero essere qualificati come semplici dazioni di denaro e non già come prestazioni di servizi, con conseguente applicabilità del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 2, comma 3, esenzione dal campo di applicazione dell’IVA ed indetraibilità di quest’ultima.

5.2. A fronte di tale ricostruzione da parte dell’Amministrazione finanziaria, la CTR non presta apodittica adesione alla ripresa dell’Agenzia, ma, con accertamento in fatto congruamente motivato e, dunque, incensurabile in cassazione, rileva che le erogazioni in denaro previste dai sopra menzionati contratti costituiscono un vero e proprio finanziamento a fondo perduto, erogato dalla Edizioni Ciociare in favore della Effe Cooperativa, avente finalità non di sviluppo della testata del quotidiano “(OMISSIS)”, ma, da un lato, di mantenimento in vita del giornale stesso, fornendo le risorse finanziarie ordinarie e straordinarie necessarie, e, dall’altro, di creare dei costi da ammortizzare subito ed incondizionatamente, in deroga alla previsione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 108, comma 4, per il quale i finanziamenti possono essere ammortizzati nell’esercizio in cui vengono in esistenza i primi ricavi.

Alla conclusione secondo cui si sarebbe trattato di finanziamenti a fondo perduto, la CTR giunge anche in forza di una valutazione di tipo economico, per la quale non vi sarebbe stata alcuna proporzione o logica di impresa nell’importo dei canoni oggetto dei contratti rispetto all’interesse patrimonialmente valutabile dell’affidataria, al punto da risultare insussistente una reale controprestazione sinallagmatica.

La CTR, inoltre, fa rientrare i rapporti intercorsi tra Edizioni Ciociare ed Effe Cooperativa nell’ambito del fenomeno dell’abuso del diritto, sul presupposto che la società contribuente avrebbe tratto indebiti vantaggi fiscali dall’uso distorto, benchè legittimo, “di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustificano l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale” ed ha indicato gli elementi sintomatici da cui emergerebbe l’intento elusivo delle parti.

5.3. Ne consegue che, secondo la CTR, le somme immediatamente dedotte dalla Edizioni Ciociare come ammortamento ai fini delle imposte dirette non sarebbero deducibili ai sensi del citato D.P.R. n. 917 del 1986, art. 108, comma 4; nè l’IVA sulle fatture sarebbe detraibile, trattandosi di cessioni di denaro e dovendo trovare applicazione il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 2, comma 3, lett. a).

5.4. Orbene, rileva questa Corte che la ricostruzione in fatto della CTR è pienamente logica e coerente e non può essere rivalutata in sede di legittimità, tenuto anche conto della circostanza che, con riferimento all’antieconomicità dell’operazione, fermo restando che rilevano solo i risultati economici dell’anno di imposta oggetto degli accertamenti impugnati con i ricorsi riuniti, non è dimostrato che i prospetti numerici contenuti in ricorso siano stati prodotti nei precedenti gradi di giudizio e sottoposti al vaglio del giudice di merito.

5.5. Tuttavia, non può essere condivisa la qualificazione giuridica della fattispecie in termini di abuso del diritto, dal momento che l’abuso del diritto non può trovare applicazione in un caso di evasione, qual è quello di specie.

5.6. E’ noto che “in materia tributaria, alla stregua dell’elaborazione giurisprudenziale comunitaria e nazionale, costituisce pratica abusiva l’operazione economica che, attraverso l’impiego “improprio” e “distorto” dello strumento negoziale, abbia quale scopo predominante e assorbente (seppur non esclusivo) l’elusione della norma tributaria, mentre la mera astratta configurabilità di un vantaggio fiscale non è sufficiente ad integrare la fattispecie abusiva, poichè è richiesta la concomitante condizione di inesistenza di ragioni economiche diverse dal semplice risparmio di imposta e l’accertamento della effettiva volontà dei contraenti di conseguire un indebito vantaggio fiscale” (così Cass. n. 25758 del 05/12/2014; si vedano, altresì, Cass. n. 19234 del 7 novembre 2012; Cass. n. 21782 del 20/10/2011; Cass. S.U. n. 30055 del 23 dicembre 2008).

Con specifico riferimento alle imposte dirette, poi, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo che trova fondamento, dapprima, negli stessi principi costituzionali che informano l’ordinamento tributario italiano (Cass. n. 3938 del 19/02/2014; Cass. n. 4604 del 26/02/2014) e, soprattutto nel D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37 bis (Cass. n. 405 del 14/01/2015; Cass. n. 4561 del 06/03/2015), che consente all’Amministrazione finanziaria di disconoscere e dichiarare non opponibili le operazioni e gli atti, in sè privi di valide ragioni economiche e diretti al solo scopo di conseguire vantaggi fiscali diversamente non spettanti.

Per completezza, occorre aggiungere che la clausola antielusiva è stata oggi tradotta in una norma generale (non applicabile alla fattispecie), la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10 bis che, al comma 1, così recita: “Configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. Tali operazioni non sono opponibili all’amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni”.

5.7. Perchè, dunque, operi la clausola antielusiva occorre che il contribuente faccia un uso improprio o distorto dello strumento negoziale e che tale uso sia posto in essere con lo specifico scopo (seppure non esclusivo) di eludere la norma tributaria e di ottenere in questo modo un vantaggio fiscale.

Nel caso di specie, in realtà, la CTR si è limitata a qualificare giuridicamente il negozio posto in essere tra la Edizioni Ciociare e la Effe Cooperativa in termini di finanziamento e ne ha fatto conseguire la violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 108, comma 4, in tema di imposte dirette e quella del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 2, comma 3, lett. a), in tema di IVA (essendo il finanziamento un’operazione fuori campo IVA).

Non può dirsi, pertanto, che la Edizioni Ciociare abbia stipulato il contratto con la Effe Cooperativa allo scopo specifico di eludere le norme tributarie ed ottenere un vantaggio fiscale, ma la società contribuente si è, in realtà, limitata a porre in essere un comportamento evasivo delle imposte che avrebbe dovuto versare in relazione all’operazione economica posta in essere, non potendo portare immediatamente in deduzione i costi conseguenti al finanziamento erogato, nè detrarre l’IVA sulle fatture rilasciate dalla Effe Cooperativa, trattandosi di operazioni fuori campo IVA (il che esclude che venga in rilievo il principio di neutralità dell’imposta).

5.8. Va, dunque, enunciato il seguente principio di diritto: “Il contribuente che non versa le imposte dovute a seguito della stipulazione di un negozio, correttamente qualificato sotto il profilo giuridico da parte dell’Amministrazione finanziaria, non pone in essere un, comportamento elusivo, volto a conseguire un vantaggio fiscale in ragione di un uso distorto della normativa tributaria, ma risponde semplicemente della relativa evasione d’imposta e, pertanto, non trovano applicazione le disposizioni di legge e i principi elaborati dalla giurisprudenza, interna e unionale, in tema di abuso del diritto”.

6. In conclusione, i ricorsi nn. 28805, 28803, 28806, 28808 e 28809 del 2011 avverso le sentenze della CTR che hanno definito gli avvisi di accertamento vanno rigettati.

I procedimenti concernenti le impugnazioni avverso gli atti di contestazione sanzioni (proc. nn. 4481 e 4603 del 2012).

7. Venendo ai ricorsi proposti dall’Agenzia delle entrate avverso le sentenze della CTR in materia di sanzioni, gli stessi sono affidati a due motivi di analogo contenuto, anche se il ricorso n. 4481 non ne riporta l’intestazione.

7.1. I ricorsi (e ì due motivi), diversamente da quanto ritenuto da parte controricorrente, sono ammissibili, in quanto: a) indicano in maniera sufficientemente chiara l’esposizione dei fatti di causa; b) sebbene il ricorso n. 4481 sembra cumulare i due motivi di censura senza intestarli, è agevole distinguerli, riguardando la prima censura i paragrafi non contrassegnati da alcuna numerazione e la seconda censura i paragrafi contrassegnati dal n. 2; c) benchè nel ricorso n. 4481 non siano indicate le norme che si assumono violate o la tipologia del vizio lamentato ai sensi dell’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., è possibile agevolmente evincere sia le une che l’altro dalla complessiva articolazione dei singoli motivi (cfr. Cass. S.U. n. 17931 del 24/07/2013: “il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con riguardo all’art. 112 c.p.c., purchè il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorchè sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge”).

8. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate deduce un vizio di ultrapetizione in violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, evidenziando che la società contribuente non avrebbe mai sollevato in giudizio la questione della insussistenza della previsione di una sanzione per le fattispecie di abuso del diritto.

9. Il motivo è infondato.

9.1. La Z. ha evidenziato di avere dedotto con le controdeduzioni in appello, trascrivendo il relativo passaggio ai fini del requisito dell’autosufficienza, in ordine all’inapplicabilità delle sanzioni in caso di sussistenza di comportamento abusivo, segnalando l’esistenza di decisioni giurisprudenziali che avevano ritenuto l’inapplicabilità delle sanzioni in caso di abuso del diritto.

9.2. Ne consegue che la CTR non ha inammissibilmente rilevato d’ufficio la questione, come argomentato dall’Agenzia delle entrate, ma ha deciso su di una precisa istanza in questo senso della società contribuente.

10. Con il secondo motivo di ricorso, proposto in via subordinata, l’Agenzia delle entrate deduce la violazione della direttiva n. 77/388/CEE del 17 maggio 1977 (cd. sesta direttiva), del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37 bis, dei principi in materia di abuso del diritto, del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 32 e del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziando che le norme che introducono le sanzioni applicate dall’Ufficio (D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 32, comma 2, e D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 1, comma 2) non considerano quale criterio scriminante la violazione di legge o la sua elusione o aggiramento, essendo necessario e sufficiente che vi sia un’indebita detrazione e che le imposte evidenziate nella dichiarazione siano inferiori a quelle accertate o siano indebite.

11. Il motivo è fondato.

11.1. La CTR ha escluso l’applicazione delle sanzioni richiamando le sentenze relative agli avvisi di accertamento e affermando che la condotta abusiva non era specificamente considerata dalla legge ai fini della loro applicazione.

11.2. Peraltro, come si è visto in precedenza, l’accertamento in fatto contenuto nelle sentenze richiamate dalla CTR implica che la società contribuente non ha posto in essere alcun comportamento elusivo, ma ha evaso il pagamento delle imposte in ragione della semplice violazione di specifiche norme (il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 108, comma 4, in tema di imposte dirette; il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 2, comma 3, lett. a), in tema di IVA).

11.3. Del resto, la censura della difesa erariale involge sia le conseguenze della qualificazione in termini di abuso del diritto che ha dato (erroneamente) la CTR, sia il menzionato accertamento di fatto, che induce a ritenere la semplice evasione fiscale.

11.4. Orbene, da un lato, questa Corte ha già affermato che “il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, che trova fondamento nel D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37 bis, secondo il quale l’Amministrazione finanziaria disconosce e dichiara non opponibili le operazioni e gli atti, privi di valide ragioni economiche, diretti solo a conseguire vantaggi fiscali, in relazione ai quali gli organi accertatori emettono avviso di accertamento, applicano ed iscrivono a ruolo le sanzioni di cui al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 1, comma 2, comminate dalla legge per il solo fatto di avere il contribuente indicato in dichiarazione un reddito imponibile inferiore a quello accertato, rendendo così evidente come il legislatore non ritenga gli atti elusivi quale criterio scriminante per l’applicazione delle sanzioni, che, al contrario, sono irrogate quale naturale conseguenza dell’esito dell’accertamento volto a contrastare il fenomeno l’abuso del diritto” (Cass. n. 25537 del 30/11/2011).

Dall’altro, la semplice evasione d’imposta implica di per sè la comminatoria delle sanzioni applicate dall’Ufficio con gli atti di contestazione impugnati (D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 32, comma 2, e D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 1, comma 2), sicchè le stesse sono dovute.

12. In conclusione, va accolto il secondo motivo dei ricorsi nn. 4481 e 4603 del 2012, rigettato il primo; le sentenze della CTR impugnate vanno cassate e, non essendovi ulteriori questioni di fatto da esaminare, la causa va decisa nel merito, con conseguente rigetto degli originari ricorsi della Z..

13. Quanto alle spese di lite, tenuto conto delle peculiari questioni di diritto affrontate nella presente controversia, sussistono valide ragioni per l’integrale compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio, con riferimento ai ricorsi nn. 28805/2011 28803/2011, 28806/2011, 28808/2011 e 28809/2011 e delle spese dell’intero giudizio con riferimento ai ricorsi nn. 4481/2012 e 4603/2012.

P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi nn. 28805/2011 28803/2011, 28806/2011, 28808/2011 e 28809/2011; con riferimento ai ricorsi nn. 4481/2012 e 4603/2012, accoglie il secondo motivo, rigettato il primo; cassa le sentenze impugnate e, decidendo nel merito, rigetta gli originari ricorsi proposti dalla ricorrente; dichiara interamente compensate tra le parti le spese del presente grado di giudizio con riferimento ai ricorsi nn. 28805/2011 28803/2011, 28806/2011, 28808/2011 e 28809/2011 e dell’intero giudizio con riferimento ai ricorsi nn. 4481/2012 e 4603/2012.

Così deciso in Roma, il 12 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018

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