Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2755 del 30/01/2019

Cassazione civile sez. un., 30/01/2019, (ud. 04/12/2018, dep. 30/01/2019), n.2755

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente f.f. –

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente di Sez. –

Dott. MANNA Antonio – Presidente di Sez. –

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente di Sez. –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21886-2018 proposto da:

B.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SILVIO PELLICO

24, presso lo studio dell’avvocato CESARE ROMANO CARELLO,

rappresentata e difesa dall’avvocato FAUSTO MALUCCHI;

– ricorrente –

contro

CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI PISTOIA, CONSIGLIO NAZIONALE

FORENSE, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 56/2018 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE,

depositata il 25/05/2018.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/12/2018 dal Consigliere ANTONIO ORICCHIO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale LUCIO CAPASSO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato Fausto Malucchi.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Avv. B.E. proponeva ricorso al Consiglio Nazionale Forense avverso la decisione del Consiglio dell’ordine degli Avvocati di Pistoia del 12 novembre 2014. Con quest’ultima le veniva irrogata la sanzione dell’avvertimento (n.d.a.: in ricorso si parla di “censura”) per omessa comunicazione di rinuncia al mandato e violazione dei doveri di diligenza ex artt. 8 e 38 C.D. e di informazione e di adeguato preavviso ex artt. 40 e 47 C.D..

L’adito Consiglio nazionale, con sentenza n. 56/18 confermava la suddetta irrogata sanzione dell’avvertimento, con rigetto del ricorso salvo il parziale proscioglimento dell’incolpata odierna ricorrente in relazione alla contestazione dell’omessa comunicazione alla persona assistita della rinuncia al mandato.

Avverso la suddetta decisione del Consiglio nazionale, di cui chiede la cassazione, ricorre la B. con atto affidato a tre ordini di motivi.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo del ricorso si censura il vizio di violazione dell’art. 47 C.D. previgente e del L. n. 247 del 2012, artt. 3 e 65, nonchè difetto di motivazione e/o insufficiente e illogicità della stessa.

Quanto al profilo relativo alla svolta censura di carenza motivazionale il motivo è inammissibile.

Parte ricorrente svolge la detta censura presupponendo come ancora esistente (ed applicabile nella concreta fattispecie) il controllo di legittimità sulla motivazione della sentenza nei termini in cui esso era possibile prima della modifica dell’art. 360 c.p.c., n. 5 apportata dal D.L. n. 83 del 2012, convertito nella L. n. 134 del 2012, essendo viceversa denunciabile soltanto l’omesso esame di uno specifico fatto decisivo che sia stato oggetto di discussione tra le parti, rimanendo – alla stregua della detta novella legislativa -esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. civ., SS.UU., Sent. n. 8053/2014).

Nel resto il motivo in esame tende, in sostanza, ad una ricostruzione, in fatto, delle vicende del rapporto professionale della legale ricorrente con l’assistita.

Più specificamente parte ricorrente sostiene che la vicenda andava e deve essere analizzata sotto il profilo della revoca e non della rinuncia al mandato, per la quale ultima fattispecie -secondo la medesima ricorrente- manca nell’art. 47 cit. una specifica disciplina.

Il motivo è, in punto, infondato.

Senza dover e voler in questa sede ripercorrere le vicende, in fatto, del controverso rapporto professionale che diede origine alla vicenda va evidenziato quanto segue.

Il dovere di comunicazione della professionista nei confronti della persona già assistita persisteva comunque nella fattispecie.

Tanto indipendentemente dall’accertamento della sussistenza, in concreto, di una ipotesi di rinuncia ovvero di revoca del mandato conferito.

Al riguardo non può che condividersi l’orientamento secondo cui pur se l’art. 47 (ora 32) del codice deontologico disciplina la sola fattispecie della rinuncia al mandato, tuttavia la fattispecie, seppur diversa, della revoca deve ritenersi fonte dei medesimi obblighi di comunicazione da parte del professionista.

Tanto in quanto anche la revoca del mandato costituisce, al pari della rinuncia, una analoga soluzione di continuità nell’assistenza tecnica e, quindi, deve ritenersi sottoposta ad identiche ragioni di tutela in favore della parte assistita con conseguente sussistenza in capo al difensore, ancorchè revocato, dei medesimi obblighi informativi necessari al fine di non pregiudicare la difesa dell’assistito.

Va, inoltre, evidenziato che nella concreta fattispecie in esame l’omessa comunicazione alla parte del rinvio di udienza avrebbe consentito più opportunamente la difesa dell’assistita a mezzo di memoria istruttoria con eventuale nuovo difensore e, pertanto, la sanzionata condotta della ricorrente rilevava comunque almeno sotto il profilo della correttezza e diligenza (artt. 6 e 8 cod. deontologico previgente e 9 e 12 codice deontologico vigente).

Infine va evidenziato che, anche per il caso di fattispecie non espressamente tipizzata, è pur sempre possibile ricondurre in via analogica una condotta deontologicamente rilevante alla previsione di analogo illecito considerato espressamente dalla norma regolamentare deontologica.

Il motivo va, quindi, respinto.

2.- Con il secondo motivo del ricorso si deduce il vizio di violazione dell’art. 360 c.p.c. e dell’art. 132 c.p.c., n. 4. Parte ricorrente adduce ancora la circostanza che nell’ipotesi, il mandato professionale ebbe ad interrompersi per revoca e si duole che il Consiglio Nazionale Forense, pur riconoscendo tal fatto, non avrebbe conseguentemente fatto venir meno ogni sanzione disciplinare a proprio carico. Il motivo non è fondato.

Per lo stesso ordine di ragioni già esposte sub 1. il motivo qui in esame non è fondato.

La rilevanza in ogni caso, della condotta deontologicamente scorretta e sanzionata esclude la fondatezza del motivo.

Quest’ultimo deve, dunque,essere respinto.

3.- Con il terzo motivo del ricorso si prospetta il vizio di violazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3 bis.

Parte ricorrente adduce la possibilità,sul presupposto della applicabilità analogica di norma di cui al procedimento disciplinare vigente nell’ambito della magistratura, di configurare l’illecito disciplina ascrittole come “fatto di scarsa importanza”.

Il motivo è del tutto infondato.

A differenza di quanto preteso col motivo in esame dalla parte ricorrente non vi è, nella fattispecie, possibilità configurare l’illecito de quo come “fatto è di scarsa rilevanza” in virtù di una invocata applicazione analogica della accennata normativa ispirata ad altri principi e destinata a diversa categoria professionale.

Il motivo va, quindi, respinto.

4.- Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.

5.- Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 4 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2019

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