Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2755 del 06/02/2018

Cassazione civile, sez. II, 05/02/2018, (ud. 09/11/2017, dep.05/02/2018),  n. 2755

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Con atto di citazione notificato in data 14 gennaio 1999, E.V., + ALTRI OMESSI convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Trani, la Edil Cosbu S.r.l. quale venditrice di alcune porzioni immobiliari facenti parte del complesso condominiale sito in (OMISSIS), acquistate dagli attori, al fine di sentir accertare la presenza dei vizi e/o difetti costruttivi specificamente descritti in narrativa e condannare la società convenuta al risarcimento dei danni ammontanti a Lire 206.800.000, di cui Lire 60.800.000 in favore della sola D.G., oltre IVA e onorari tecnici, ovvero alla diversa somma determinata in corso di giudizio, con la rivalutazione monetaria e gli interessi legali, nonchè con vittoria delle spese.

Costituitasi in giudizio, la società convenuta eccepiva la prescrizione dell’azione di garanzia, in quanto proposta decorso un anno dalla consegna degli immobili, oltre alla decadenza per la mancata denuncia dei vizi entro il termine di otto giorni dalla consegna, ovvero dalla loro successiva scoperta, nonchè l’infondatezza della domanda, essendo i pregiudizi lamentati dipendenti da omessa manutenzione piuttosto che da vizi costruttivi. La convenuta era inoltre autorizzata a chiamare in causa De.Lu.Ag. che aveva eseguito le opere di impermeabilizzazione e di posa della pavimentazione industriale, al fine di essere garantita nell’ipotesi di accoglimento della domanda.

Espletata consulenza tecnica d’ufficio e prova per testi, con sentenza depositata il 27 agosto 2007, il Tribunale di Trani respingeva la domanda ritenendo che gli attori non avessero fornito la prova di aver denunciato i vizi entro gli otto giorni dalla scoperta e che fosse decorso l’anno dall’acquisto o dalla consegna e, quindi, dalla presa di possesso degli immobili (artt. 1494 – 1495 c.c.). Quanto all’azione di responsabilità extracontrattuale ai sensi dell’art. 1669 c.c., la stessa doveva considerarsi nuova rispetto a quella inizialmente formulata di natura contrattuale e, pertanto, tardivamente proposta in sede di comparsa conclusionale. Compensava integralmente tra le parti le spese di giudizio.

2. – Avverso tale pronuncia proponevano appello gli attori con l’eccezione di P.G. e la partecipazione, al posto di quest’ultimo, di T.T. nella qualità di successore a titolo particolare, avendone acquistato l’immobile.

Si costituiva la Edil Cosbu S.r.l. chiedendo il rigetto dell’appello.

Il De.Lu. restava contumace.

Con sentenza depositata il 22 agosto 2013, la Corte d’appello di Bari ha accolto il gravame, condannando la Edil Cosbu S.r.l. al risarcimento dei danni in favore degli appellanti nella misura indicata in dispositivo. La corte ha ritenuto tempestiva la denuncia dei vizi, specificando che la denunzia era stata fatta a seguito della piena consapevolezza dei vizi riscontrati da parte degli acquirenti, acquisita solo a seguito della consulenza tecnica di parte, e che, nel caso di specie, era applicabile anche l’art. 1495 c.c., comma 2, in quanto la ditta ricorrente aveva riconosciuto l’esistenza dei vizi lamentati con lettera del legale rappresentante. Accolto il profilo della responsabilità contrattuale, si riteneva assorbito l’esame della domanda introdotta ai sensi dell’art. 1669 c.c., ponendo a carico della società il pagamento dei danni in favore di ciascun proprietario e le spese dei due gradi di giudizio.

3. – Per la cassazione della decisione della corte d’appello ha proposto ricorso la Edil Cosbu S.r.l. in liquidazione sulla base di cinque motivi.

E.V., + ALTRI OMESSI si sono costituiti con controricorso.

In prossimità dell’udienza, le parti hanno depositato memoria difensiva ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo di ricorso si denuncia la nullità dell’atto di citazione introduttivo del primo grado di giudizio e di tutti gli atti conseguenti ai sensi dell’art. 164 c.c., comma 4, e art. 159 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Secondo parte ricorrente, l’azione proposta in primo grado era caratterizzata da una situazione di litisconsorzio facoltativo improprio tra acquirenti diversi di unità immobiliari costruite e vendute dalla Edil Cosbu S.r.l., i quali avevano agito in un solo processo nei confronti della predetta società, pur vantando nei confronti della medesima ragioni creditorie distinte, ma connesse per titolo, trattandosi di vizi costruttivi di un unico fabbricato. Ciascuno degli attori, con l’atto introduttivo del giudizio, avrebbe dunque dovuto definire quale fosse il bene giuridico individualmente domandato, distinguendo la pretesa dell’uno da quella dell’altro, non essendo consentito cumulare le diverse e plurime domande risarcitorie in una cifra indefinita e complessiva in cui non si distinguesse quanto richiesto singolarmente da ciascuno di essi, nè quanto oggetto di eventuale richiesta congiunta. La lettura dell’atto di citazione introduttivo del primo grado evidenziava, invece, che tutti gli attori avevano denunciato vizi immobiliari che riguardavano sia parti comuni sia porzioni individuali, avanzando per tutti la richiesta complessiva e indistinta della somma di Lire 146.000.000 e quella aggiuntiva di Lire 60.200.000 per la sola attrice D.G., oltre ad IVA e onorari tecnici. L’assoluta incertezza delle somme richieste da ognuno degli attori, nelle distinte cause connesse solo cumulativamente proposte, comporterebbe la nullità della citazione per indeterminatezza dell’oggetto, ai sensi dell’art. 164 c.p.c., comma 4.

1.1. – Il motivo è infondato.

Secondo l’insegnamento di questa Corte, l’eventuale nullità, non sanata, dell’atto introduttivo, carente dei requisiti prescritti dall’art. 163 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4) – cui fa riferimento l’art. 164 c.p.c., comma 4, – risolvendosi in motivo di nullità della sentenza conclusiva del giudizio di primo grado, ove non sia fatta valere nel giudizio di appello nè dal soccombente nè dal vincitore, assolto dalla domanda di merito proposta nei suoi confronti, non può essere dedotta per la prima volta nella fase di cassazione, a causa della intervenuta preclusione derivante dal principio, affermato dall’art. 161 c.p.c., di conversione dei motivi di nullità della sentenza in motivi d’impugnazione (Cass. 3 novembre 2000, n. 14348; Cass. 15 novembre 1995, n. 11827).

La nullità avrebbe dovuto quindi essere sollevata in primo grado. Il profilo dedotto, peraltro, non ha impedito alla Edil Cosbu S.r.l. di difendersi in giudizio, per cui non risulta essere stato menomato il suo diritto di difesa.

2. – Con il secondo motivo di ricorso si prospetta la nullità della sentenza ex art. 112 c.p.c. per la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4). Parte ricorrente evidenza che quand’anche si ritenesse non sussistere il vizio denunciato di nullità della citazione per indeterminatezza dell’oggetto, la richiesta di una somma risarcitoria unitaria e complessiva per tutti, ove consentita, avrebbe dovuto precludere alla corte territoriale l’attribuzione a ciascuno degli appellanti di importi individuali, da essi non richiesti. La corte d’appello nell’attribuire a ciascun proprietario, in via individuale, delle somme distinte per ognuno di essi avrebbe violato il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato poichè con l’atto introduttivo del giudizio, con la sola eccezione della pretesa individuale avanzata da D.G., era stata richiesta cumulativamente solo una somma unitaria.

2.1. – Il motivo è infondato.

Il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, fissato dall’art. 112 c.p.c. – che implica il divieto per il giudice di attribuire alla parte un bene non richiesto o comunque di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nella domanda deve ritenersi violato ogni qual volta il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri alcuno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione (petitum e causa petendi), attribuendo o negando ad alcuno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nella domanda, ovvero, pur mantenendosi nell’ambito del petitum, rilevi d’ufficio un’eccezione in senso stretto che, essendo diretta a impugnare il diritto fatto valere in giudizio dall’attore, può essere sollevata soltanto dall’interessato, oppure ponga a fondamento della decisione fatti e situazioni estranei alla materia del contendere, introducendo nel processo un titolo (causa petendi) nuovo e diverso da quellò enunciato dalla parte a sostegno della domanda (Cass. 22 marzo 2007, n. 6945; Cass. 11 dicembre 2003. n. 18991; Cass. 3 febbraio 1999, n. 919).

Gli attori, nel caso di specie, hanno chiesto il riconoscimento del diritto al risarcimento dei danni subiti a causa dei vizi o dei difetti costruttivi accertati nel corso del giudizio, indicando la somma complessiva richiesta e facendo riferimento, in subordine, alla diversa somma maggiore o minore determinata nel corso del giudizio. La ripartizione delle somme dovute a titolo di risarcimento in favore dei singoli proprietari non ha violato quindi la corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, avendo la corte d’appello semplicemente specificato la quota spettante a ciascun attore, riconducibile alla richiesta complessiva di risarcimento dei danni avanzata nell’atto di citazione e che afferiva, in tutta evidenza, ai danni subiti da ciascuna unità abitativa acquistata dagli attori e facente parte dell’unico complesso condominiale e quindi, in definitiva, ricompresa nel petitum.

3. – Con il terzo motivo si deduce la nullità della sentenza per violazione degli artt. 102,111 e 331 c.p.c. a causa del difetto di integrità del contraddittorio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) per avere la corte d’appello totalmente trascurato di considerare che il gravame era stato proposto anche da T.T., qualificatosi successore a titolo particolare dell’attore P.G., mentre tale dante causa non risultava partecipare al secondo grado del giudizio. Se l’art. 111 c.p.c. sancisce il principio secondo cui, qaulora nel corso del processo il diritto controverso si trasferisca per atto tra vivi a titolo particolare, il processo prosegue tra le parti originarie, il successore a titolo particolare può intervenire o essere chiamato nel processo e anche impugnare la sentenza intervenuta in confronto del suo dante causa, con la precisazione che l’alienante, in tali casi, può essere estromesso dal giudizio solo se le altre parti vi consentono.

3.1. – Il motivo è infondato.

L’interpretazione giurisprudenziale dell’art. 111 c.p.c. configura, accanto all’estromissione espressa, la possibilità di una estromissione tacita. Secondo l’insegnamento di questa Corte, ove il giudizio di impugnazione si sia svolto senza l’evocazione in giudizio dell’alienante del diritto controverso, ma con la partecipazione del successore a titolo particolare, allorchè il primo abbia dimostrato il suo disinteresse al gravame e l’altra parte, senza formulare eccezioni al riguardo, abbia accettato il contraddittorio nei confronti del successore, sussistono i presupposti per l’estromissione tacita dal giudizio dell’alienante, con conseguente perdita della qualità di litisconsorte necessario della parte originaria (Cass. 30 agosto 2017, n. 20533; Cass. 8 febbraio 2011, n. 3056; Cass. 17 maggio 2010, n. 12035; Cass. 7 aprile 2009, n. 8395).

Nel caso di specie, l’appello è stato proposto direttamente da T.T., nella qualità di successore a titolo particolare dell’attore P.G. e, quindi, al posto di quest’ultimo, avendone acquistato l’immobile. Tale specificazione figura al principio dell’atto d’appello e controparte nulla ha eccepito al riguardo nel giudizio di gravame, accettando dunque tacitamente l’estromissione del dante causa e la stessa pronuncia d’appello è stata resa soltanto nei riguardi del cessionario.

4. – Con il quarto motivo si prospetta la violazione dell’art. 1491 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) e degli artt. 115 e 116 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 4). La corte d’appello ha accolto il primo motivo di gravame, con cui era stata censurata la pronuncia di prescrizione dell’azione di garanzia, sostenendo che tale prescrizione non potesse decorrere prima dell’acquisto del bene. La corte territoriale non si sarebbe avveduta che, dalla documentazione prodotta dagli stessi attori-appellanti (le “messe in mora” effettuate dagli attori) emergeva invece con chiarezza che i difetti denunciati si erano verificati – ed erano stati rilevati dagli attori (mediante descrizione analitica, sostanzialmente identica a quella contenuta nell’atto di citazione introduttivo del giudizio) – già subito dopo la consegna.

La corte d’appello, quindi, avrebbe violato la norma di cui all’art. 1491 c.c., che esclude la garanzia allorquando il compratore, al momento dell’acquisto, conoscesse i vizi della cosa venduta, violando altresì gli artt. 115 e 116 c.p.c. in tema di disponibilità e” di valutazione delle prove, da cui emergerebbe che gli appellanti avessero avuto piena conoscenza dell’esistenza dei difetti degli immobili già subito dopo averne ricevuto la consegna.

Si deduce, inoltre, che l’acquisto delle unità immobiliari avvenuto in epoca successiva alle consegne, nella consapevolezza della sussistenza dei vizi, precludeva la nascita stessa della garanzia, dovendosi ritenere che gli acquirenti, edotti dei vizi, avessero deliberatamente accettato il bene nello stato in cui si trovava.

4.1. – Il motivo è infondato.

In tema di contratto preliminare, la consegna dell’immobile, effettuata prima della stipula del definitivo non determina la decorrenza del termine di decadenza per opporre i vizi noti, nè comunque di quello di prescrizione, presupponendo l’onere della tempestiva denuncia l’avvenuto trasferimento del diritto, sicchè il promissario acquirente, anticipatamente immesso nella disponibilità materiale del bene, risultato successivamente affetto da vizi, può chiedere l’adempimento in forma specifica del preliminare, ai sensi dell’art. 2932 c.c., e contemporaneamente agire con l’azione quanti minoris per la diminuzione del prezzo, senza che gli si possa opporre la decadenza o la prescrizione (Cass. 15 aprile 2016; Cass. 14 gennaio 2010, n. 477).

Nel caso di specie, peraltro, la corte d’appello ha indicato una duplice ratio per escludere la prescrizione dell’azione di garanzia, evidenziando non solo che gli appellanti avessero dimostrato che la piena consapevolezza dei vizi denunciati e delle loro cause fosse stata acquisita solo a seguito della consulenza di parte ma che la società costruttrice avesse pienamente riconosciuto le anomalie denunciate, ripromettendosi di porvi rimedio. La corte ha così ritenuto che il tema della tempestività della denuncia dovesse ritenersi superato.

Tale aspetto, di per sè sufficiente a giustificare la decisione assunta, non risulta essere stato contestato col motivo in esame.

Del tutto nuova e, pertanto, inammissibile è invece l’eccezione concernente la rinuncia alla garanzia, da ritenersi implicita nell’accettazione del bene nello stato in cui si trovava.

5. – Con il quinto motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1490,1492 e 1494 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Richiamando la pronuncia Cass., Sez. Un., 13 novembre 2012, n. 19702, parte ricorrente evidenzia l’inammissibilità della pretesa degli appellanti di assoggettare la società venditrice non già alle azioni alternativamente previste per i vizi della cosa venduta – actio estimatoria, ovvero actio redibitoria – bensì a un’azione, qualificata come risarcitoria, diretta al pagamento del costo delle riparazioni occorrenti, in quanto non prevista dall’ordinamento. L’azione proposta non poteva peraltro essere sussunta entro lo schema dell’azione risarcitoria di cui all’art. 1494 c.c., poichè tale norma, secondo interpretazione delle Sezioni Unite, configura come risarcimento per equivalente unicamente quello riguardante la lesione dell’interesse negativo che compete al compratore in aggiunta alle azioni di garanzia, collegandolo necessariamente alla riduzione del prezzo o alla risoluzione del contratto, che presuppongono la mancata riparazione del bene.

5.1. – Il motivo è infondato.

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, l’azione di risarcimento dei danni proposta dall’acquirente, ai sensi dell’art. 1494 c.c., non si identifica nè con le azioni di garanzia, di cui all’art. 1492 c.c., nè con quella di esatto adempimento, in quanto, mentre queste prescindono dalla colpa e sono volte solo a eliminare lo squilibrio determinato dall’inadempimento del venditore, l’azione risarcitoria, presupponendo la colpa di quest’ultimo, consistente nell’omissione della diligenza necessaria a scongiurare I’eventuàle presenza di vizi della cosa, può estendersi a tutti i danni subiti dall’acquirente, e quindi non solo a quelli relativi alle spese necessarie per l’eliminazione dei difetti accertati, ma anche a quelli inerenti alla mancata o parziale utilizzazione del bene o al lucro cessante per la mancata rivendita dello stesso (Cass. 5 febbraio 2015, n. 2115; Cass. 29 novembre 2013, n. 26852; Cass. 7 marzo 2007, n. 5202; Cass. 7 giugno 2000, n. 7718). Ne consegue che l’azione di risarcimento può essere proposta in via alternativa, o anche cumulativa, rispetto alle azioni di adempimento, di riduzione del prezzo o di risoluzione del contratto.

Cass., Sez. Un., n. 19702 del 2012, richiamata dalla ricorrente, si pronuncia sulla questione dell’esaustività dei rimedi ex artt. 1490 c.c. e ss. al fine di escludere un’azione “di esatto adempimento”, alternativa alle azioni edilizie, ma non impedisce di ricorrere al risarcimento del danno ai sensi dell’art. 1494 c.c.

Il compratore, che abbia subito un danno a causa dei vizi della cosa, può quindi rinunciare a proporre l’azione per la risoluzione del contratto o per la riduzione del prezzo ed esercitare la sola azione di risarcimento del danno dipendente dall’inadempimento del venditore, sempre che in tal caso ricorrano – come nel caso di specie – tutti i presupposti dell’azione di garanzia e, quindi, siano dimostrate la sussistenza e la rilevanza dei vizi ed osservati i termini di decadenza e di prescrizione e, in genere, tutte le condizioni stabilite per l’esercizio di tale azione (Cass. 6 dicembre 2001, n. 15481).

6. – Il ricorso va pertanto respinto.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

7. – Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dai controricorrenti, che si liquidano in complessivi Euro 7200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali nella misura del 15% e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 14 dicembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 5 febbraio 2018

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